Ogni fine dicembre, da troppo tempo, è sempre la stessa storia. Anno dopo anno, sempre peggiore. Per toccare con mano il crescente degrado della politica, e di riflesso delle istituzioni rappresentative dei cittadini, non c’è che da osservare le scene che accompagnano le leggi finanziarie nazionali e regionali.
Nella finanziaria 2025 della Regione Lazio, per esempio, spunta l’istituzione di una curiosa «Consulta dell’imprenditoria giovanile e dei giovani professionisti» accanto a un finanziamento per il restauro del Divino Amore, e poi un gruzzoletto per sostenere la candidatura di Comuni dei Castelli Romani nella corsa al prestigioso titolo di «Città del vino», un bel po’ di soldi per i maestri di sci e denari per far fronte alla «morìa del kiwi», per il funzionamento dell’«Accademia regionale di polizia locale del Lazio»…
E fermiamoci qui anche se si potrebbe andare avanti per pagine e pagine, elencando con dovizia di particolari la pioggerellina dorata che cade su tutto il territorio nazionale, da Ragusa a Bolzano. Ecco il compito che assorbe gran parte delle energie della politica italiana, dei partiti attraverso cui è organizzata e degli eletti che dovrebbero rappresentare i cittadini ma che i cittadini non possono neppure scegliere sempre consapevolmente. È la conseguenza di una progressiva involuzione che ha precise ragioni. Cominciando dal Parlamento, sempre più espropriato dal ruolo assegnatogli dalla Costituzione: quello di fare le leggi.
Il ruolo del Parlamento
Ormai quelle più importanti le produce solo il governo con la decretazione d’urgenza. Ai parlamentari resta l’incombenza di pigiare il bottone rosso o verde a seconda dell’appartenenza a questo o quello schieramento, con ridottissimi margini d’autonomia individuale. Onorando la propria funzione con l’inondazione dei cassetti di Camera e Senato traboccanti migliaia di proposte di legge che nessuno discuterà mai. E quando succede di solito si tratta di questioni non troppo rilevanti per la collettività. Dice tutto la legge che ha tenuto per mesi impegnate le Camere per conferire il titolo di sacrario militare subacqueo al relitto del sommergibile Sciré affondato con tutti i suoi poveri marinai nel 1942 dagli inglesi, che giace da 82 anni a 30 metri di profondità nelle acque territoriali israeliane.
Stando così le cose, la legge finanziaria diventa il passaggio in cui i nostri eletti (la cui qualità, va detto, non ha fatto nelle ultime legislature clamorosi balzi in avanti) possono finalmente dare sfogo alla creatività. Necessaria per rispettare promesse, soddisfare amici e sodali, conservare il consenso. E parte l’offensiva, che sfocia regolarmente in un maxi-emendamento per accontentare il più possibile la platea dei questuanti, per definizione approvato con un voto di fiducia.
Non va meglio nelle Regioni. Anzi. Le riforme costituzionali partite negli anni ‘90 hanno concentrato tutto il potere nel presidente eletto a suffragio universale e nella sua giunta, limitando sempre di più le prerogative dei consiglieri regionali, ridotti essenzialmente a portatori di voti. A differenza dei parlamentari, tuttavia, gli eletti nelle Regioni non devono fare i conti con il voto di fiducia quando arriva la legge finanziaria regionale. Che si tramuta quindi nel momento dell’anno in cui i consiglieri regionali possono avere voce in capitolo. Senza la tagliola della fiducia anche l’opposizione ha un peso talvolta condizionante, e allora bisogna mettersi d’accordo. Con risultati intuibili, da far impallidire gli esegeti dell’assalto alla diligenza in Parlamento.
Le Regioni sono come lo Stato
Ma non c’è nulla di strano, considerando che le Regioni assomigliano quasi in tutto allo Stato centrale. Gestiscono risorse pubbliche rilevantissime, con i fondi per la sanità pubblica. Possiedono proprie società finanziarie con le quali distribuiscono sussidi alle imprese e all’economia locale. Sostengono attività culturali come il cinema. Hanno organismi di promozione del turismo. Controllano enormi patrimoni immobiliari. Amministrano con piena autorità ingenti fondi europei. Finanziano importanti interventi infrastrutturali e hanno competenze pressoché esclusive nel settore ambientale.
Questo modo di procedere nelle Regioni è ormai regola dalla quale è impossibile derogare. Il potere di condizionamento dello Stato nella formazione delle finanziarie regionali risulta di fatto inesistente. Ogni residua barriera è caduta con il nuovo titolo V della Costituzione, e se questo è l’andazzo possiamo soltanto immaginare che cosa potrà accadere con le autonomie differenziate.
Da trent’anni almeno la legge finanziaria è immediatamente seguita da un decreto governativo per prorogare tutte le scadenze stabilite da leggi ma non rispettate dallo Stato che le ha fissate. Un provvedimento che rappresenta una specie di ruota di scorta, utilizzato talvolta per far passare misure rimaste per qualche motivo fuori dalla Legge di Bilancio. E nel quale si replica il rituale della finanziaria, con voto di fiducia finale.
Forse assisteremo a un nuovo salto di qualità anche nei livelli locali, dove imitare lo Stato è una necessità impellente. Magari sarà il Milleproroghe regionale; ci manca solo quello. E mai dire mai. L’esperienza insegna che ci si può aspettare di tutto. (riproduzione riservata)
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