«In questa legge di bilancio molto complicata l’unica cosa ad aumentare è stato il Fondo di Finanziamento Ordinario». La ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha negato fin da subito i tagli lineari al comparto della ricerca che la Conferenza dei Rettori (Crui) e le società scientifiche italiane, fra gli altri, contestavano al governo Meloni.
«Non esistono, chi ne parla è in malafede» oppure «non sa spendere», ha dichiarato a più riprese Bernini nel corso di questi mesi. Immersa anche lei nella realtà parallela immune alle contestazioni in cui vive la destra italiana, la ministra si è convinta di essere stata attaccata ingiustamente e di essere in debito di riconoscenza: «Molti rettori privatamente mi hanno ringraziato, attendo ansiosamente come regalo di Natale il ringraziamento pubblico della Crui».
In questi giorni però si sono stati chiusi e resi pubblici i bilanci di molti atenei e a una prima mappatura, sembra difficile che possano arrivare ringraziamenti da Bologna, ad esempio, dove il rettore dell’Alma Mater, Giovanni Molari, ha lanciato l’allarme: «la situazione sarà drammatica nel lungo periodo». «Il diverso assetto del Ffo ha determinato riduzioni pari a 62 milioni di euro nel triennio», denuncia Molari chiedendo un intervento nazionali per compensare anche «l’aumento dei costi non comprimibili degli atenei come l’incremento Istat, pari a 48 milioni di euro in tre anni». Preoccupazione condivisa dal sindaco della città che ospita l’ateneo più antico del mondo, Matteo Lepore, per il quale il definanziamento «costringerà la nostra università a fare dei salti mortali, come molte altre», dato che alle carenze del Ffo vanno sommati «anche i tagli sui fondi per l’abitare e il diritto allo studio per gli studenti, sono passi indietro notevoli».
Nel nord est la sforbiciata rispetto al 2023 è stata pari a 1,5 milioni di euro a Udine e di 3 milioni a Trieste. L’ateneo di Verona perde oltre 3,5 milioni di euro, 3 invece la Ca’ Foscari di Venezia. Lo Iuav tra taglio e mancati introiti perde 2,3 milioni di euro. Persino Padova, una delle sei università italiane a non subire decurtazioni al Ffo, tra mancati riconoscimenti economici e nuove spese gestirà 16 milioni di euro in meno del previsto. A Torino c’è un buco complessivo di 20 milioni di euro, di conseguenza l’ateneo ha deciso, non senza polemiche, di congelare 12,5 milioni di euro destinati alla ricerca locale.
L’università di Bergamo rende noto che «gli impegni assunti vengono mantenuti anche di fronte all’andamento, in controtendenza rispetto agli ultimi anni, dell’assegnazione del Ffo 2024, che complessivamente è stato inferiore di circa 5 milioni di euro rispetto all’anno precedente». A Pisa, come aveva dichiarato il rettore Riccardo Zucchi al manifesto, ci sono tagli da «16,5 milioni di euro e l’aumento degli stipendi dei docenti pesa per 6 milioni, inevitabilmente le assunzioni saranno rallentate e limitate».
L’Università di Firenze ha avuto una decurtazione di 17 milioni di euro. Per chiudere il bilancio, spiega la rettrice Alessandra Petrucci «sono state impiegate risorse patrimoniali in disponibilità dell’ateneo, che non potranno garantire la sostenibilità nel lungo periodo se non interverrà un’inversione di tendenza delle risorse assegnate con il Ffo». La rettrice ha comunicato che «già nel bilancio pluriennale 2026-2027, per la chiusura in pareggio è stato necessario prevedere importanti tagli delle spese generali e la sospensione della programmazione del personale».
A Siena non ci saranno assunzioni di docenti per tutto il 2025 a causa di una riduzione di 8,1 milioni di euro del Fondo. Al sud la stessa situazione: l’università di Palermo ridurrà il personale docente di 5.660 unità e quello Ata di 2.174 a causa di 12 milioni mancanti dal Ffo.
Altre università chiuderanno i bilanci in queste ore. La sensazione è che i ringraziamenti chiesti non arriveranno alla ministra neanche per Capodanno.
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