“Ai pazienti chiediamo di pazientare”: è questo l’avviso che accoglie chi in questi giorni si reca presso gli ambulatori dei propri medici. Dopo la bocciatura del decreto Tariffe infatti la sanità italiana si trova nel caos con le Regioni chiamate a riaggionare i sistemi di prenotazione di visite ed esami appena adeguati ai nuovi nomenclatori. Ma facciamo un passo indietro per capire l’origine del caos.
Lo stop al decreto tariffe
Ieri 30 dicembre doveva entrare in vigore il nuovo decreto tariffe che avrebbe dovuto introdurre il nuovo tariffario per visite ed esami, ma anche nuove prestazioni coperte dal sistema sanitario nazionale, e quindi gratuite o dietro il pagamento di un ticket. Tuttavia il tribunale amministrativo del Lazio ha accolto un ricorso presentato dagli operatori della sanità privata che hanno rilevato irregolarità nel testo tanto da sollevare presupposti di incostituzionalità.
La situazione è diventata surreale: le Regioni infatti avevano appena adeguato i nomenclatori con i nuovi codici delle prestazioni, ma – come disposto dal Tar – il Ministero della Salute dovrà dare attuazione alla sospensiva e quindi definire il ritorno ai vecchi codici per prenotare visite ed esami, in attesa di una sentenza definitiva del tribunale amministrativa attesa non prima di fine gennaio.
Le Asl usano già i nuovi codici, ma le Regioni dovranno ripristinare i sistemi con le vecchie tariffe, mentre le nuove prestazioni – come la Pma, screening e diagnosi di malattie rare – hanno codici del tutto nuovi che a questo punto non sono più validi.
Per medici e pazienti si tratta di un impasse con numeri enormi: nel giorno medio vengono infatti fatte circa 200 mila prenotazioni per visite ed esami. Uno stop anche solo di qualche giorno interesserà un numero importante di cittadini, già alle prese con tempi di attesa biblici.
Il pasticcio del governo sulla salute: bloccata la rivoluzione della sanità pubblica
Dai sindacati dei medici arriva la richiesta alle regioni di spiegare ai cittadini i disservizi derivanti dall’applicazione del catalogo unico regionale (Cur) delle prestazioni specialistiche prescrivibili relativo ai “nuovi LEA”, specificando che le criticità non dipendono dai medici prescrittori. “Come temevamo si sono verificati e tuttora si verificano una serie di disservizi e disallineamenti tra i vari Cup aziendali e il Cup regionale. Disallineamenti che hanno creato una serie interminabile di disagi per i medici prescrittori e per i cittadini, costretti a rimpalli tra gli studi medici e i centri unici per le prenotazioni” spiega Claudia Felici, responsabile medicina convenzionata per il Lazio del sindacato SMI. “Le criticità riguardano per esempio il disallineamento delle tariffe di pagamento delle prestazioni tra il vecchio e il nuovo nomenclatore, la difficoltà di dematerializzazione di prestazioni precedentemente dematerializzate, codici di erogazione di prestazione che non consentono di dematerializzare le stesse, salvo complessi passaggi informatici” continua Marina Pace, vice segretario vicario SMI Lazio.
Pertanto chi si recherà negli studi del proprio medico nei prossimi giorni potrà trovare avvisi come questo.
Ma quando terminerà il caos? Dopo 8 anni di rinvii i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) che comprendono nuove cure – dalla Procreazione medicalmente assistita a nuove terapie oncologiche, nuovi screening neonatali, diagnosi e monitoraggio di celiachia, endometriosi e diverse malattie rare solo per citarne alcune – sarebbero già disponibili, ma la sospensione dell’aggiornamento delle tariffe associate alle prestazioni di specialistica ambulatoriale rende tutto di nuovo in bilico.
Il 28 gennaio è stata fissata la trattazione collegiale: i giudici del Tar del Lazio dopo aver accordato la sospensiva dopo il ricorso di laboratori e strutture private che lavorano con il sistema sanitario nazionale e che denunciano di fatto un taglio dei rimborsi fino al 70%, dovranno confrontarsi con i legali del ministero della Salute che sta lavorando a un ricorso d’urgenza al Consiglio di Stato per “salvare” il nomenclatore, ricorrendo poi a un “intervento chirurgico” sul decreto per evitare il caos.
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