Il giornale torinese di Elkann per la fine dell’anno ha fatto una sovracopertina intitolandola 2025 l’anno della libertà. Un titolo altisonante che introduce contenuti prevedibili, assemblati con i soliti prodotti. Anziché rivolgere lo sguardo al presente e al futuro ha cucinato per il fine anno un minestrone con i soliti ingredienti che, per carità sono pure materie prime apprezzabili, ma riproporlo tutti i giorni alla fine crediamo che cominci a venire a noia, se non a nausea, anche ai suoi lettori. Il minestrone è quello dell’antifascismo che, anche se condito con tutte le salse da cenone di capodanno, col tempo diventa banale se non indigesto. Il delitto Matteotti di cento anni fa, la resistenza ottant’anni fa, il duce e così via con l’elenco, i valori, la costituzione più bella del mondo che non invecchia mai, i diritti e tutte le nequizie del regime e tutto il buono dell’Italia e del mondo che è nato dalle canne dei fucili dei partigiani che hanno vinto la seconda guerra mondiale, ecc. ecc. Certo qualche altro ingrediente si sarebbe potuto aggiungere al minestrone propinato dal quotidiano di Elkann. Per rendere più saporita la pietanza si sarebbe potuto aggiungere una bella analisi sulla desertificazione industriale di Torino e il pressoché azzeramento dell’industria automobilistica in Italia e delle scelte catastrofiche del suo padrone. Da chi ha supportato quest’ultimo da un punto di vista comunicazionale nelle sue strategie. Alle migliaia di cassaintegrati e licenziati degli stabilimenti Stellantis, Maserati e dell’indotto. Forse questi “ingredienti” avrebbero interessato di più che non le solite elucubrazioni sul fascismo e l’antifascismo; cascami di una guerra civile il cui ricordo è tanto più riattizzato quanto più c’è da buttare fumo negli occhi per non guardare dritto e fare nomi e cognomi di chi ha provocato, per i propri interessi di bottega, anzi di bottegona, il disastro dell’industria automobilistica italiana. E neanche appassiona, in questo fine d’anno triste degli operai di Mirafiori, il sapere se Elkann e i suoi consulenti, anche dei paradisi fiscali, hanno fatto le cose per bene nell’eredità Agnelli o la mamma Margherita è stata presa in mezzo come sostiene lei. Non interessa, il DNA è lo stesso.
La narrativa dell’antifascismo domina le pagine del giornale, ignorando l’esigenza di guardare al presente e al futuro. Il quotidiano torinese preferisce rimestare nel passato remoto, ignorando temi più urgenti come la desertificazione industriale di Torino, il declino dell’industria automobilistica italiana e le scelte disastrose del gruppo Stellantis. Mirafiori, un tempo simbolo della prosperità industriale italiana, oggi rappresenta solo licenziamenti e cassa integrazione. La sofferenza dei lavoratori e il tracollo della città meritavano più attenzione, anziché i consueti allarmi sull’incombenza del fascismo, ormai incapaci di mobilitare il consenso. La reiterazione dell’antifascismo è diventata un’arma politica sempre meno efficace. Come ha osservato Goffredo Bettini, esponente del Partito Democratico, “la battaglia contro Fratelli d’Italia basata sul tema dell’antifascismo è perdente”. Eppure, il quotidiano insiste, evocando continuamente il pericolo fascista come una cortina fumogena per evitare di affrontare le responsabilità di ha creato in problemi del Paese. Questa narrativa appare come un residuo di una strategia che, nei decenni passati, aveva senso per delegittimare gli avversari politici e legittimare la sinistra comunista. Oggi, però, l’antifascismo è più uno strumento retorico che una risposta concreta alle necessità dei cittadini.
Come sottolineato da Giovanni Belardelli su Il Foglio, questa insistenza richiama il linguaggio dei sovietici che tacciavano di “fascismo” chiunque non si allineasse alle direttive di Mosca, il muro di Berlino, costruito nel 1961, era il muro contro il fascismo! L’antifascismo era l’alibi per i partigiani comunisti per legittimarsi, visto che la libertà per i seguaci di Stalin quali erano, era un concetto e un simbolo di cui non potevano fregiarsi. Ma in un contesto contemporaneo, dove il lavoro, il futuro economico e le disuguaglianze sono le vere priorità, continuare su questa linea significa perdere ulteriormente contatto con la realtà. Il ruolo di Elkann e del gruppo Stellantis in questa crisi è cruciale, ma accuratamente ammorbidito dalle pagine del giornale. Luca Montezemolo e Carlo Calenda hanno più volte denunciato le responsabilità di Stellantis e la carenza di visione strategica dell’industria italiana. Stellantis è diventato un colosso globale, ma a che prezzo? Torino è stata lasciata indietro, e con essa migliaia di lavoratori. Questo tema, ben più urgente, avrebbe potuto arricchire il menù del giornale, ma evidentemente sarebbe stato troppo indigesto per l’editore. Il quotidiano di Elkann, ormai è un foglio apertamente militante contro l’attuale governo. Criticare il governo è legittimo, ma ignorare le responsabilità del proprio editore nel declino industriale della città è un errore imperdonabile. Parlare di antifascismo non restituisce speranza agli operai di Mirafiori, non affronta il dramma della povertà e non risolve il futuro incerto di Torino. Se si volesse davvero rendere giustizia al titolo scelto per la sovracopertina “2025: l’anno della libertà”, sarebbe più utile affrontare i temi scomodi del presente. La vera libertà si conquista anche guardando avanti, non rimestando nel minestrone del passato.
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