Proprio ieri mattina, in un supermercato di un paese di ventimila abitanti della Lombardia, operosa e ricca, sulla soglia di una crisi delle sue due più importanti industrie, ho incontrato dei conoscenti che discutevano animatamente delle disfunzioni della sanità. Di quelle liste di attesa obese che impediscono i cittadini di curarsi. Che ha ricordato il Presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno. Il tema, se hai soldi ti salvi oppure muori, si lega appieno con le altre parole capofila dei ragionamenti fatti dal Capo dello Stato, dal rispetto alla speranza. Abbiate fede, oggi la politica tutta applaudirà al suo messaggio alla nazione. Ne scrissi anche lo scorso anno rilevando come, allora, il plauso scrosciante dei partiti nascondeva il loro limite. Che non l’avevano capito. Si sa in venti minuti di conversazione non si può che applicare l’arte giapponese del kintsugi, del rimettere insieme i pezzi.
La civiltà di uno Stato e quindi il ‘rispetto’ verso la comunità si misura nel garantire una vita dignitosa ai propri amministrati. Sapere che in tante parti d’Italia, nel 2025, ci sono persone poste di fronte al dilemma vita o morte non mi fa dormire. E dovrebbe agitare i sonni della classe dirigente. Come dare una mancetta di poco meno due euro al mese alle pensioni sociali. Per motivi di tempo Mattarella ha segnalato i salari bassi, ma quando si annuncia un aumento di gas e luce per il 2025 del 30%, qualche matematico sapiente, rispetto al pensionato da 650 euro il mese (che paga un affitto, la rottura imprevista della caldaia) deve spiegarmi il valore, il senso stesso della legge di bilancio, varata dal Governo Meloni. Qui stiamo all’assenza della civiltà del rispetto. Soprattutto quando abbiamo sentito da Mattarella che si spende per le armi otto volte dei denari destinati alla difesa del clima malato. Anche l’Italia sta partecipando a questa corsa al riarmo. Perché dobbiamo difenderci, ha detto il Presidente. Ma quando la coperta è corta dobbiamo saper scegliere. E questo dovrebbe valere per il ragionamento sui pochi fondi destinati alla ricerca. Che non può andare avanti con donazioni. Mia madre manda bollettini a raffica. Io la devo frenare perché sono convinto che prima di tutto sia compito di uno Stato finanziare gli studi di tanti nostri scienziati operosi (sarebbe anche il modo per bloccare il cosiddetto fenomeno dei cervelli in fuga). E’ la diligenza del buon padre di famiglia che latita. E che fa perdere speranza e fiducia. Conteggiata nell’alto astensionismo delle consultazioni elettorali. Dove si percepisce quel senso di rassegnazione (di frustrazione, di torpore) che sarà arduo scansare.
Vero, mai come ora c’è bisogno di pace. Per tutte le guerre. Con franchezza, lo ricordiamo al Presidente, questo gran daffare dell’Europa per la pace nel conflitto russo-ucraino non l’abbiamo registrato. Piuttosto, fin dai primi momenti, c’è stata approssimazione, confusione, scelte a metà, che ha costatato, questo sì, un’assenza di ruolo dell’Unione europea che, al contrario, ha convenuto ad alimentare un conflitto che ha portato a quelle divisioni del mondo di cui ha fatto accenno Mattarella. Già a un mese dall’inizio della guerra in Ucraina c’era un piano di pace che non è stato colto. E poi ancora altre due, tre, quattro occasioni. Fino ad oggi dove la Russia si trova in una posizione di maggior forza rispetto agli inizi. Col risultato di una nazione, l’Ucraina, distrutta, migliaia di morti e uno sperpero di denaro senza precedenti. Un conflitto, per stare al sentiment degli italiani manifestato dai sondaggi, visto con pesante criticità. Dall’invio di armi. Fino a ieri si è proseguito con la logica della ‘pace giusta’, uno slogan compassionevole che non vuol dire nulla. La pace giusta non esiste. C’è la realpolitik (solo Papa Francesco ne fece accenno, la bandiera bianca, il negoziato non è mai una resa) che evidentemente è mancata a una buona fetta d’improvvisati leader di paesi europei. Dialogo, parlarsi, mediazione. Il Vecchio Continente l’ha dovuto capirlo da Trump come s’imbastisce un processo di pace.
Il risultato odierno è la crisi dell’Europa. L’economia della Germania è in panne. Segue la Francia. A zona c’è l’Italia (legata a doppio filo). E in buona parte i motivi della crisi vanno ricercate in quelle mosse azzardate durante il conflitto russo-ucraino. Dove formalmente l’Europa è entrata in guerra con la Russia. Movimentando così il mondo. I gruppi di nazioni cementati in blocchi granitici in un’accesa lotta di civiltà. L’Europa non ha mai avuto il fisico del ruolo. Quel suo procedere tentennante, disordinato, e rancoroso, non ha fatto i conti con l’assenza totale di comunità e di solidarietà dentro l’Europa (con i paesi scivolati paradossalmente in una direzione sovranista con linee di autarchia). Guardiamo al decoupage in materia energetica (e materie prime che ha generato la crisi economica dei paesi europei). L’Austria e la Slovacchia si ritrovano senza gas russo perché l’Ucraina ha chiuso i rubinetti del gasdotto. Noi italiani siamo ancora alle prese con costi esorbitanti delle bollette perché quel mercato del gas non è stato mai riformato dopo l’interruzione dell’alimentatore russo.
Tutto questo fortifica i ragionamenti di Mattarella sulla pace che grida la sua urgenza, senza dimenticare che per diversi motivi gli aspetti economici sono molto legati e attingono a quella diligenza del buon padre di famiglia di cui accennavo prima, alla cura delle comunità, tutte, per evitare di cadere nella privazione della sussistenza minima quotidiana.
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