Sentenza il 10 gennaio Trump, primo presidente con condanna penale

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di Viviana Mazza

Riconosciuto colpevole di 34 reati, il verdetto spetta al giudice

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DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE 
NEW YORK – Il 10 gennaio, dieci giorni prima dell’insediamento alla Casa Bianca: è la data fissata dal giudice Juan Merchan per la sentenza contro Donald Trump nel caso di Stormy Daniels. Trump è stato già condannato a maggio da una giuria di dodici cittadini newyorkesi, ma spetta al giudice decidere la sentenza. Merchan ha respinto il tentativo degli avvocati di Trump di scartare il verdetto stesso della giuria che lo vede colpevole di 34 reati. Allo stesso tempo, però, il giudice ha indicato che non condannerà Trump al carcere (in teoria rischiava fino a quattro anni), riconoscendo che non si tratta di una opzione «praticabile», né lo punirà con libertà provvisoria, lavori sociali o multe.

La decisione del giudice però significa che a Trump resterà la macchia di essere il primo presidente con una condanna penale nella storia degli Stati Uniti. La sentenza — a meno che un tribunale di più alto livello la blocchi — riporterà inoltre l’attenzione alla vigilia del suo trionfale ritorno a Washington sui sordidi dettagli del caso, che riguarda pagamenti in nero di 130 mila dollari falsificando documenti finanziari per far tacere una pornostar su un rapporto sessuale che minacciava di rivelare durante la campagna elettorale del 2016.




















































La decisione del giudice è una sconfitta per Trump, che ha cercato di ottenere la totale archiviazione del caso e apre la strada ad una sua potenziale apparizione esplosiva in tribunale, anche se gli è data la possibilità di partecipare in collegamento virtuale (deve decidere entro oggi). I legali del presidente-eletto hanno accusato Merchan di aver «violato il principio di immunità» stabilito dalla Corte Suprema l’anno scorso e di aver preso una decisione incostituzionale. Il portavoce Steven Cheung ha dichiarato che il presidente dovrà essere in grado di condurre i suoi doveri senza gli ostacoli di questa o di altre «cacce alle streghe».

E lo stesso Trump ieri mattina ha continuato a negare la falsificazione di documenti: «Un’accusa inventata da un giudice corrotto che fa il lavoro del dipartimento di Ingiustizia di Biden/Harris, un attacco al loro rivale politico, io!». È tornato a criticare i giudici di altri due casi a New York: per frode contro la Trump Organization e per abusi sessuali alla giornalista E. Jean Carroll alla quale deve pagare quasi 100 milioni per diffamazione. E ha concluso: «Ho vinto contro quello squilibrato di Jack Smith!».

Trump ha tratto vantaggio dalla dottrina giuridica che vieta di perseguire presidenti in carica: i due casi federali condotti dal procuratore speciale Jack Smith sono stati volontariamente archiviati dopo la sua vittoria nelle elezioni di novembre. Merchan ha stabilito invece che la decisione della Corte Suprema sull’immunità presidenziale non tutela Trump dalla sentenza nel caso Stormy Daniels, notando che non è ancora il presidente, e ha respinto la richiesta di archiviazione alla luce della vittoria elettorale definendola un affronto all’intero sistema giuridico: «I precedenti non prevedono che un individuo, diventato presidente, possa in modo retroattivo liquidare gli atti criminali precedenti e non garantisce una generalizzata immunità al presidente-eletto». Lo stesso procuratore di Manhattan Alvin Bragg aveva chiesto che la sentenza venisse sospesa in attesa della fine del mandato presidenziale di 4 anni di Trump, ma il giudice ha rifiutato. I legali di Trump hanno detto che continueranno a «combattere» e forse potrebbero rivolgersi anche alla Corte Suprema.

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4 gennaio 2025

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