Le guerre sono i killer del futuro

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In una recente indagine sulla visione degli italiani sul 2025, risulta che il maggiore elemento di preoccupazione sono le guerre (60%). Se queste sono percepite come i killer del futuro, la pace è per gli italiani il primo obiettivo. E’ il mondo intero che ne ha bisogno, al termine di un anno con un bilancio fallimentare.

Nel 1945 e nel 1948 – con lo Statuto delle Nazioni Unite e con la Dichiarazione universale dei diritti umani – si scrissero parole che significavano: “mai più la guerra”. Tanto più dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki.

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La mia generazione ricorda bene il 1991, la fine dell’Urss. Doveva essere nel contempo, si disse, la “fine della storia”: invece da lì nacquero a poco a poco i mostri dei nostri incubi odierni. Nel 1991 “l’orologio della fine del mondo” segnava 17 minuti alla mezzanotte, cioè all’apocalisse atomica, oggi segna solo 90 secondi. Ho visitato la Russia negli anni successivi: in dieci anni il reddito per persona diminuì del 40%. A Mosca vidi i poveri che non c’erano quando c’era la dittatura. Ora il reddito per persona è maggiore del 30% rispetto al ‘91: anche così si spiega il consenso al nuovo dittatore. In Occidente iniziò l’epoca delle diseguaglianze crescenti e delle enormi ricchezze: le 85 persone più ricche hanno la stessa ricchezza del restante 99% della popolazione del pianeta. La democrazia in Occidente è entrata in crisi profonda perché è dominata dai super-ricchi e dal big business. Nel frattempo si è sviluppata la Cina: il reddito per persona è cresciuto di 13 volte, il Pil totale ha ormai superato quello americano. Altri Paesi sono cresciuti, i cosiddetti “Brics”: il loro contributo all’economia mondiale è del 44%, contro il 20% dei Paesi del G7. L’America come la conoscevamo è finita, il mondo non è e non sarà a stelle e a strisce: tutto il contrario della “fine della storia”.

I più giovani hanno sperato nella globalizzazione nata in quel 1991: un fenomeno di liberazione, di collegamento di Paesi e persone, di relazioni, di amicizie. Che ha creato anche un nuovo tipo di sapere, originato soprattutto da internet. Molti di loro si stanno però rendendo conto che l’esito della globalizzazione non sono solamente i grattacieli e la possibilità di consumare. Lo sono anche le diseguaglianze, la crisi climatica e, più che mai, le guerre. L’America che sta perdendo il suo ruolo egemonico, la Russia con le sue ricchezze naturali e la ricerca di un nuovo ruolo nel mondo, la Cina diventata potenza tecnologica, il Medio Oriente con le sue risorse energetiche: così si spiegano la folle corsa al riarmo – nel 2024 le grandi fabbriche d’armi di tutto il pianeta hanno avuto ordini, ricavi e profitti record – e lo scoppio delle guerre. E’ la corsa all’accaparramento dei beni della terra.

Abbiamo bisogno, come non si stanca di dire Francesco, della speranza che viene dal dialogo e dal negoziato. Si parla con tutti, amici e nemici, e si negozia col nemico. Il negoziato non è la resa: è l’unica soluzione nell’epoca atomica. Come ci ha insegnato Jimmy Carter, presidente americano dal 1977 al 1981. Il più sottovalutato, ma il migliore. Se ne è andato pochi giorni fa, dopo una vita centenaria dedicata alla pace: come fece nel 2003 battendosi contro la guerra americana in Iraq. Purtroppo non ha avuto eredi nel suo Paese. Nemmeno Obama, nonostante le speranze iniziali.

Certo, il negoziato non è mai facile. Guardiamo alla guerra in Ucraina. Ora Zelensky dice: “Non possiamo perdere decine di migliaia di uomini per la Crimea”: meglio “la via diplomatica”. Ma bisogna convincere Putin, che sta vincendo sul terreno. Purtroppo Biden, con l’inglese Johnson, si è sempre opposto ai negoziati, facendo saltare l’intesa già raggiunta a Istanbul nel 2022, molto più vantaggiosa per l’Ucraina di quelle di cui si discute adesso. Era l’illusione che si potesse vincere contro una potenza nucleare. In America Trump in qualche modo svolterà. In Europa invece si resiste ancora, non ci si arrende all’evidenza. Basta chiedere agli ucraini cosa vogliono: e scoprire quanto sono stanchi, stanchissimi della guerra, in un Paese distrutto.

L’Ucraina è solo un esempio: il partito della guerra è impegnato in conflitti senza sosta in tutto il mondo. Come in Medio Oriente: nessun crimine, per quanto atroce come quello del 7 ottobre, giustifica un genocidio. E’ una parola che fatico a scrivere: ma se i bambini muoiono non solo per le bombe ma anche per la fame e per il freddo, che altro termine usare? Oggi Gaza non esiste più. Uno degli imperativi morali dell’Olocausto degli ebrei non è forse che dobbiamo sempre ascoltare la voce delle vittime?

Servirebbe, nel mondo, una forza socialista. Ma quando crollò il comunismo crollò anche la socialdemocrazia, diventata liberista e bellicista. Crollarono la liberaldemocrazia, l’umanesimo, la solidarietà. Oggi la “sinistra militare”, come la destra, vuole l’indebitamento europeo non per salvare lo Stato sociale e il clima, come si cominciò a fare dopo il Covid, ma per finanziare le guerre.

Restano tuttavia frammenti di partiti di sinistra o progressisti, e movimenti, e persone.

Il negoziato è difficile se lo si lascia in mano alle oligarchie. Servono le donne e gli uomini di pace. Da noi può ripartire la speranza per l’Anno Nuovo.

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Firenze, manifestazione per la pace, 26 ottobre 2024 (foto Giorgio Pagano)

 

Post scriptum:

Le fotografie di oggi sono state scattate a Firenze, alla manifestazione per la pace del 26 ottobre 2024.

Sulla guerra in Medio Oriente rimando al mio ultimo articolo: “Il diritto internazionale contro la soluzione finale di Netanyahu”, pubblicato su “Critica Sociale” e leggibile su www.funzionarisenzafrontiere.org

 

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