Nella giornata di venerdì, il Papa ha incontrato il rettore dell’Università delle Religioni e delle Denimonazioni dell’Iran: secondo quanto riportato dall’agenzia iraniana, Francesco avrebbe detto che«non abbiamo problemi con gli ebrei, l’unico problema è con Netanyahu che ignora le leggi internazionali e i diritti umani»
ROMA – Nessuna smentita, a distanza di ore, giunge dal Vaticano. Mentre si apre un nuovo capitolo ad alta tensione nella storia dei difficili rapporti tra papa Francesco e il governo di Benjamin Netanyahu.
Stavolta Bergoglio non ha usato, come due mesi fa, la parola «genocidio» a proposito dell’assedio israeliano a Gaza, ma ci è andato vicino.
Due giorni fa, ha incontrato in Vaticano il rettore dell’Università delle Religioni e delle Denominazioni dell’Iran, Abolhassan Navab. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Irna, che ha ricostruito nei dettagli il loro colloquio, a Navab che lodava apertamente «la posizione coraggiosa del Papa nella difesa del popolo palestinese», aggiungendo che «l’Iran non ha alcun problema con il popolo ebraico, il nostro problema è con assassini come il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu», papa Francesco avrebbe risposto testualmente: «Anche noi non abbiamo problemi con gli ebrei; l’unico problema è con Netanyahu che, ignorando le leggi internazionali e i diritti umani, ha creato crisi nella regione e nel mondo. Le organizzazioni internazionali devono affrontare urgentemente questa questione…». E ancora: «Non c’è nessuno che abbia il diritto di calpestare i diritti umani e limitare la loro libertà — avrebbe detto il Papa, citato da Irna —. Ma oggi ci sono coloro che vogliono schiavizzare gli esseri umani e l’umanità per raggiungere i propri obiettivi».
D’accordo con lui, il rettore iraniano: «Non dobbiamo rimanere in silenzio nella difesa degli oppressi, indipendentemente da razza, colore, etnia e religione».
Insomma, ce n’è abbastanza per riaprire la ferita con Israele, tanto più che ieri sull’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, è comparso anche un articolo sull’incontro a Damasco il 31 dicembre scorso tra il nuovo leader siriano Abu Mohammed al Jolani e Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa. E le parole di Jolani non sono certo passate inosservate: «Provo grande ammirazione, stima e rispetto per papa Francesco. Lui è un vero uomo di pace, ho apprezzato i suoi appelli e le sue azioni a favore della pace e dei popoli in difficoltà. I cristiani sono parte integrante della Siria».
Della pace il Papa ha parlato poi ieri sera anche al Tg1 facendo gli auguri all’Italia per il nuovo anno: «Preghiamo per la pace e l’Italia vada sempre avanti, che i politici si mettano d’accordo».
Così, sul fronte diplomatico, per ora c’è da registrare solo che nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, la statua del Bambinello del presepe non è più adagiata su una kefiah, il tipico copricapo palestinese, ma giace sulla paglia. Grandi polemiche, infatti, aveva suscitato l’iniziale installazione donata da un gruppo di artisti di Betlemme.
Ma due mesi fa, quando uscirono le anticipazioni del libro di Francesco per il Giubileo (La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore), aveva fatto molto più rumore quella sua frase fatidica: «A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali». Ne seguirono le proteste tra gli altri del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, della scrittrice scrittrice Edith Bruck. E ora ecco un nuovo capitolo.
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