L’IRPEF di lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati: chi paga?

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Anche l’analisi della distribuzione del carico IRPEF per diverse tipologie di contribuenti evidenzia un disequilibrio poco sostenibile in cui pochi pagano per tutti: un sistema fortemente redistributivo che impone riflessioni sullo stato del mercato del lavoro e della politica fiscale del Paese

Bruno Bernasconi

Dall’analisi sulle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF dell’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate realizzato da Itinerari Previdenziali con il sostegno di CIDA emergono pesanti disequilibri sia tra le imposte versate dai redditi medio bassi e quelli più elevati sia a livello territoriale tra Nord e Sud. Ma qual è la distribuzione del carico IRPEF tra le diverse tipologie di contribuenti (lavoratore dipendente, pensionato, lavoratore autonomo e altri contribuenti)?

In primo luogo, occorre una nota di carattere metodologico: dato che l’individuazione delle tipologie di contribuenti sulla base della sola dichiarazione dei redditi non è univoca in quanto spesso il singolo contribuente ha ricavi da diverse tipologie di reddito, per l’attribuzione a una delle categorie di dichiaranti viene considerato il cosiddetto “reddito prevalente” ricavato dai dati resi pubblici dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. 

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Nel 2022, su un totale di IRPEF ordinaria versata netta di 174 miliardi dai circa 42 milioni di contribuenti totali, i lavoratori dipendenti, pari a 22,22 milioni che rappresentano il 53% del totale contribuenti (includendo anche posizioni temporanee di dipendenti privati e pubblici), ne pagano 91,192 miliardi, che divengono però 86,581 al netto dell’effetto TIR, pari al 52,35% del totale. Suddividendo i dipendenti per fasce di reddito, si nota che il 13,90% dei lavoratori dipendenti con redditi da 35mila in su paga il 62,76% di tutta l’IRPEF, mentre il 35,59%, ossia i lavoratori con redditi da 0 a 15mila euro pari a 7,9 milioni, non versano alcuna imposta grazie all’effetto TIR. In particolare, la fascia 15 e 29mila euro, che rappresenta il 40,46% dei contribuenti, versa imposte pari al 24,24% del totale con un’imposta media di 2.333 euro; chi dichiara tra 100 e 200mila euro di reddito (lo 0,83% dei lavoratori pari a circa 185 mila individui) versa il 10,34% dell’IRPEF con un’imposta media di 48.387 euro, a cui si aggiungono i 46.408 contribuenti (lo 0,21%) che paga il 9,27% del totale e un’imposta media di 172.867 euro. 

Tabella 1 – IRPEF 2022, lavoratori dipendenti per scaglioni di reddito al lordo e al netto del TIR

Tabella 1 - IRPEF 2022, lavoratori dipendenti per scaglioni di reddito al lordo e al netto del TIR

Fonte: elaborazioni Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali dati MEF e Agenzia delle Entrate

Numeri che dovrebbero far riflettere sulla struttura del mercato del lavoro dipendente italiano, considerando che solo il 13,9% riesce a superare i 35mila euro lordi di reddito con l’inevitabile conseguenza di alimentare ben noti fenomeni quali la “fuga dei cervelli” e la perdita di competenze e di lavoratori qualificati. 

I dati esposti sembrano altresì stridere con l’impegno dei diversi governi che si sono succeduti negli ultimi anni di continuare a ridurre ulteriormente le imposte e i contributi sociali alle fasce di reddito più basse che già oggi pagano poco o nulla e che sono totalmente a carico degli altri italiani per quanto riguarda le funzioni base del welfare, portando all’estremo il precetto costituzionale di progressività fiscale secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Un giusto assunto che si è però progressivamente avvicinato, nella realtà, a un più demagogico e meno sostenibile sistema in cui pochi pagano per tutti in virtù di diversi provvedimenti orientati all’assistenza che, almeno guardando ai dati sulla crescita dei salari, del PIL e del numero di famiglie in povertà dal 2000 in poi, sembrano essersi rivelati inefficaci rispetto a quanto avrebbero prodotto misure a sostegno della produttività e volte a migliorare la competitività del sistema imprenditoriale e del mercato del lavoro. 

Il rapporto tra redditi della fascia mediana, cioè quelli tra 15 e 20mila euro e quelli tra 200 e 300mila euro è pari a 14,28 volte, mentre il rapporto tra l’imposta media dei primi e quella dei secondi è pari a circa 87,16 volte, che diventano 91,97 volte al netto TIR. Tuttavia, la realtà racconta di un divario ancora più ampio considerando le indeducibilità previste per i dichiaranti redditi oltre i 35mila euro e superiori. Questa osservazione serve a sottolineare come nel Paese si parli sempre di redditi lordi che, a causa della doppia/tripla progressività d’imposta (per effetto del sistema delle indetraibilità e indeducibilità), è fuorviante e spesso porta a confronti errati nella sostanza.

Passando all’analisi dei lavoratori autonomi, categoria che include imprenditori, lavoratori autonomi abituali con partita IVA e partecipanti in società di persone e assimilate, ovvero le persone fisiche il cui reddito deriva in gran parte da attività indipendenti, in Italia si stiamo siano circa 5,83 milioni[1], di cui i dichiaranti sono però 2.232.942 (il 38,3%) e di questi solo 1.743.807 (il 29,9%) presenta redditi positivi. A questi andrebbero aggiunti i 398.307 autonomi diversi dal modello CU, i 14.209 lavoratori autonomi occasionali e i 21.018 allevatori-agricoltori. Il totale dell’IRPEF pagata da questi lavoratori è pari a 26,05 miliardi di euro, cioè il 15,36% del totale del gettito IRPEF del 2022 pur rappresentando solo il 5,31% dei contribuenti dichiaranti, mostrando anche per questa tipologia di contribuenti un elevato livello di concentrazione delle imposte. Il 55,48% dei contribuenti (redditi sopra i 20mila euro) paga circa il 96,72% dell’IRPEF dell’intera categoria e addirittura il solo 41,34%, cioè quelli con redditi superiori ai 29mila euro, ne paga il 92,05%. Chi dichiara sopra i 200mila euro lordi, ossia 51.401 soggetti, paga il 29,5% delle imposte ma rappresenta il 2,3% del totale dei dichiaranti.

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Infine, il capitolo pensionati: nel 2022 i soggetti in pensione erano 16.131.414, di cui circa 6,6 milioni con prestazioni parzialmente (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, quattordicesima mensilità, PdC, ecc.) o totalmente a carico della fiscalità generale (pensioni e assegni sociali, di guerra, invalidità, indennità di accompagnamento). Di questi, coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi sono stati 13,57 milioni e quelli che hanno pagato almeno 1 euro di imposte sono soltanto 10,764 milioni (erano 10,760 l’anno precedente), buona parte dei quali perché possiede altri redditi, per 50,96 miliardi di euro di IRPEF, pari al 30,05% del totale (sono il 32,68% dei dichiaranti). 

Il 40,78% dei pensionati dichiaranti con redditi da pensione e da altre entrate fino a 15mila euro e quindi per gran parte beneficiari della no tax area, versa un’IRPEF il 5,25% dell’IRPEF, mentre il 42,46% che ha pensioni (o anche altri redditi) oltre i 20mila euro lordi l’anno paga l’84,01% dell’intera IRPEF della categoria. In dettaglio, il 16,76% dei pensionati con redditi da 15 a 20mila euro paga il 10,74% dell’IRPEF; il successivo 22,94% di pensionati con redditi compresi tra 20 mila e 29mila euro paga il 25,85%, mentre i redditi compresi tra 29.000 e 35.000, pari all’8,56% del totale contribuenti pensionati, pagano il 15,55%. Da ultimo, il 10,95% con redditi superiori a 35mila euro corrisponde il 42,61% di tutta l’IRPEF, con un’imposta media che va dai 10.598 euro (redditi da 35 a 55mila euro) ai 95.052 euro (redditi tra 200 e 300mila euro). 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 7/1/2025


[1] Nel dettaglio dai dati dellÂ’Osservatorio INPS i lavoratori autonomi, per il 2022 sono: 1.502.200 artigiani, 2.000.000 commercianti, 431.500 imprenditori agricoli; 886.600 liberi professionisti non dipendenti, pari ai 2/3 di 1.329.900 professionisti iscritti alle Casse professionali privatizzate iscritti agli Albi professionali e con partita IVA e circa 925mila (stima pari al 60% dei 1.542.000 parasubordinati iscritti alla gestione separata INPS) che esercitano con o senza partita IVA una libera professione e non sono iscritti agli Albi professionali tradizionali.

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