Fa parte del collettivo«Rotte balcaniche», con altri due insegnanti è stata arrestata e poi rilasciata dopo giorni.«Ci hanno segnalato 3 egiziani al gelo, ma non siamo riusciti a raggiungerli per colpa del fermo. E sono morti»
Professoressa di storia e filosofia in un liceo di Casale Monferrato, Lucia Randone è una dei tre insegnanti torinesi arrestati in Bulgaria alla vigilia di Natale. «Facciamo parte del collettivo “Rotte balcaniche”, da anni nei Balcani – racconta –. In Bosnia e Serbia abbiamo ascoltato i racconti sulla violenza della polizia bulgara, così abbiamo deciso di spostarci lì. Portiamo innanzitutto una solidarietà concreta, fatta di cibo, vestiti caldi, medicinali e anche una libreria itinerante. E poi c’è anche un obiettivo politico e di lotta: denunciamo quello che succede, di quel confine non si parla mai. Siamo concentrati su quello che avviene nel Mediterraneo, eppure quello bulgaro è il confine più violento di tutti».
E così, durante le vacanze natalizie, insieme ai colleghi Simone Zito e Virginia Speranza ha deciso di raggiungere la Bulgaria. «Il nostro desiderio sarebbe essere presenti tutto l’anno perché la popolazione locale non è a conoscenza della situazione sul confine e ci sono pochissime realtà che se ne occupano. Noi siamo insegnanti, così abbiamo sfruttato le vacanze natalizie. Altri membri del collettivo, tra cui tanti studenti universitari, andranno invece alla fine della sessione esami».
L’interesse per le missioni umanitarie nasce invece da vicino, da una Val di Susa frequentata durante le vacanze. «Una valle di passaggio e solidale, essendo di Torino ci vado da quando sono piccola. E proprio lì ho ascoltato per la prima volta il racconto di chi cercava di affrontare la montagna. Quelli che per me erano simboli di divertimento e di fine settimana in famiglia, per altri erano monti in cui si rischiava la vita. Le pratiche disumanizzanti mi fanno stare male e quelle che si attuano nei confronti dei migranti ne sono un esempio».
E così ha deciso di andare in prima persona a soccorrerli, restando sempre nei limiti della legalità: «Quando arriviamo nei boschi avvertiamo subito il numero di emergenza e, di conseguenza, la polizia di frontiera. Se non lo facessimo saremmo denunciati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il nostro obiettivo è essere presenti al loro arrivo, in modo da evitare respingimenti illegali. E ce ne hanno già raccontati molti, anche di minori, donne incinte e persone in fin di vita. La polizia adotta spesso comportamenti degradanti nei loro confronti, la nostra presenza fisica è importante anche per limitare la disumanizzazione».
Alla vigilia di Natale per Lucia e i due colleghi è scattato l’arresto, stessa sorte già capitata in passato ad altri volontari. «Ad ottobre altri membri del collettivi sono stati anche schiaffeggiati e gettati a terra, ad una giornalista hanno impedito di fare riprese. Ma niente di quello che facciamo noi è illegale».
Un episodio che, in ogni caso, non è stato il più spiacevole dell’esperienza in Bulgaria, terminata il 5 gennaio con il rientro a Torino. «Nella notte del 26 dicembre ci è arrivata la segnalazione di tre ragazzi egiziani tra i 15 e i 17 anni. La polizia ci ha fermati, non siamo riusciti a raggiungerli e loro sono morti. La detenzione non è stata piacevole ed è una cosa che segna, ma non è stato nulla in confronto a quello che è successo il 26: ci hanno impedito di intervenire, lasciando morire tre ragazzi».
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