Gianna Nannini: «Ho avuto un tilt cerebrale e sono nata senza genere sessuale. Quanta violenza sulla mia età quando aspettavo mia figlia»

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di Andrea Laffranchi

Intervista a Gianna Nannini, che pubblica il disco «Sei nel l’anima»: «Ero persa ai tempi di «Fotoromanza», mi mandavano in tv ma se recuperate i video dell’epoca si vede che non c’ero tutta. Quando ero incinta c’è stata violenza sulla mia età»

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Ripubblichiamo l’intervista di Andrea Laffranchi a Gianna Nannini, pubblicata a marzo, una delle più apprezzate dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024

Non è un errore grafico. Il titolo del nuovo album di Gianna Nannini, esce oggi, è «Sei nel l’anima», con quello spazio fra preposizione e articolo. «Un po’ per distinguerlo dalla mia canzone di qualche tempo fa, un po’ perché volevo mettere l’attenzione sull’anima. Sono partita da quella parola che è il nostro modo per dire soul». E a quel mondo musicale si rifanno le atmosfere fornite dai produttori Andy Wright (Massive Attack e Jeff Beck) e Troy Miller, che era nella band di Amy Winehouse. Emozioni, arrangiamenti imponenti: spiccano la melodia e i synth anni 80 del nuovo singolo «Io voglio te» e la tensione emotiva di «Mi mancava una canzone che parlasse di te», solo voce e la chitarra classica dello spagnolo Raül Refree. «Ho creato la mia vocalità con il soul e il blues, Etta James, Janis Joplin, Otis Redding. Poi Connie Plank, il produttore che ha inventato il suono europeo, mi fece capire che dovevo seguire la mia anima mediterranea. Dopo svariate epoche torno a quel punto di partenza».




















































Arriva da questo viaggio musicale il grido «sono nata senza genere» di «1983», il rock-blues teso che apre il disco?

«No no, lì intendo senza genere sessuale, non appartengo a una categoria. Quando sei bambino non capisci le differenze — bianco-nero, uomo-donna — che la società amplifica per creare divari. Nell’adolescenza ho vissuto altre difficoltà, non mi sono mai identificata».

In quel brano dice di essere nata nel 1983… Una data centrale nella sua vita attorno a cui ruota anche il film sui suoi primi suoi 30 anni di vita in arrivo su Netflix, tratto dalla sua autobiografia. Cosa è accaduto?

«Era il periodo di “Fotoromanza”: ho perso me stessa. Ho sperimentato la vera follia, il non capire chi sei, il capire che se non esci da lì è finita… È stato difficile ma ci sono riuscita: la mia mente ha fatto tutto. Quindi sono nata nel 1983 e se qualcuno non ci crede peggio per lui».

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«So che si pensa a quello, ma no. Non so cosa sia accaduto quella volta nello studio di registrazione di Plank e lui ormai è morto e non lo può raccontare. Era un momento in cui stavo facendo il disco, ero nel cast di Sogno di una notte d’estate di Salvatores… non dormivo la notte. È stato un tilt cerebrale».

Pressione, aspettative? Sangiovanni dopo Sanremo ha deciso di fermarsi…

«Quando sei dentro non ti accorgi della pressione. Mi mandavano in tv, da Mike Bongiorno e da Pippo Baudo, ma se recuperate i video dell’epoca si vede che non c’ero tutta. Ero tornata, ma ero ancora piccola, appena nata. La ripresa piena è arrivata nel 1990 con “Scandalo”».

Sempre da «1983»: «La morte è obbligatoria, l’età facoltativa». Quando è nata sua figlia Penelope è stata bombardata dagli hater perché aveva 56 anni…

«Quando ero incinta c’è stata violenza sulla mia età… È stato anche un massacro mediatico. Ma chi può permettersi di giudicare?»

Nel 1995 scalò l’ambasciata francese per protestare contro gli esperimenti nucleari a Mururoa. Oggi?

«Un gesto eclatante è meglio di tante chiacchiere politiche. Allora in Italia non c’era molta informazione sull’ambiente e feci questo gesto con l’appoggio di Greenpeace. Oggi vedo l’appropriarsi di cause altrui per farsi belli. Fare qualcosa con il disco in uscita sarebbe sbagliato».

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In «Lento lontano» canta «Dio non risponde al telefono»…

«Magari non c’è veramente… Questo brano non lo posso ascoltare (se ne va e torna commossa ndr), ho faticato a cantarla perché mi ricorda mio padre».

«Il buio nei miei occhi» è l’adattamento in italiano di «I’d Rather Go Blind» di Etta James: un omaggio alle origini?

«All’inizio avevo pensato a un intero disco di cover soul-blues. Ho lavorato ai testi con De Gregori e Pacifico (che firma tre brani ndr), ma alla fine i titolari dei diritti non mi davano l’ok sugli adattamenti, volevano i provini. Ci sono rimasta male e ho deciso che avrei scritto io le mie canzoni soul».

Il 24 novembre da Ginevra parte un tour che avrà poi nove date in Germania e cinque palazzetti in Italia…

«L’ultima volta che ho suonato in Germania un paio d’anni fa è stato strepitoso e per questa volta abbiamo scelto arene più grandi che non facevo da tempo. In Germania il pubblico è rock, anche nell’atteggiamento fisico. Nei posti piccoli si alzano in piedi tutti subito, se lo fai a teatro in Italia quello che sta seduto dietro inizia a discutere».

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