Gli attori di Ravenna che portano Charles Manson nei teatri d’Italia: «Provocazione, anche oscena, che lo riconvoca davanti ad una giuria postuma»

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di
Roberta Bezzi

Per incarnare il più grande criminale Usa, la compagnia ha studiato il suo accento e riproprone gli audio originali

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La compagnia ravennate Fanny & Alexander entra nei labirinti del delitto con l’ultima produzione “Charles Manson” che ricostruisce la storia di uno dei criminali più efferati che in scena ha il volto di Andrea Argentieri. Poco più che trentenne, alla fine degli anni Sessanta, Charles Manson fondò una setta in una comune hippy, con adepti disposti a tutto pur di compiacerlo, anche a uccidere. Come accadde nell’agosto 1969 a Los Angeles, ai danni dell’attrice Sharon Tate, 25enne moglie di Roman Polanski, all’ottavo mese di gravidanza, massacrata nella sua villa insieme ad altri tre ospiti e a un ragazzo di 18 anni. Lo spettacolo dal 15 al 19 gennaio sarà al Teatro delle Moline di Bologna e poi a Ravenna,  dal 30 gennaio al primo febbraio, per poi proseguire il tour nei teatri d’Italia.

«Dopo Primo Levi e Nina Simone, ecco un nuovo ritratto mimetico – spiega il regista Luigi De Angelis, fondatore della compagnia ravennate insieme a Chiara Lagani –. Lo spettacolo fa parte di un progetto in cui, di tanto in tanto, intercettiamo figure emblematiche nel bene e nel male di un certo momento. Manson negli Stati Uniti è quasi una figura mitologica, incarnazione della violenza. Manson non ci interessa come personaggio teatrale, ma reale, per questo abbiamo utilizzato le sue stesse parole, prese dalle interviste rilasciate alle tv dal carcere, non lavorate, non ‘igienizzate’. In tal senso l’attore Argentieri è un ‘magnetofono’ diretto». Di fronte a Manson un po’ tutti hanno già un’idea, tutti sanno cosa è successo e che è stato condannato, il suo è stato il primo processo televisivo mondiale. Per la prima volta viene convocato davanti a una giuria postuma e, durante lo spettacolo, il pubblico viene messo nello scomodo ruolo di giuria. Manson invita gli spettatori a fargli delle domande, a pescare in un elenco di trentadue domande consegnato all’ingresso a teatro, per poi rispondere in inglese, sopra-titolato. Scavando nell’animo criminale di Manson che racconterà di essere stato ‘formato’ in carcere dove ha imparato il linguaggio della violenza, ne viene fuori anche il ritratto di una società avvelenato dalla logica della violenza stessa. D’altra parte Manson, che non si è mai dichiarato colpevole, ha spesso ripetuto: «Sono il vostro riflesso». 




















































«Lo spettacolo è diviso in due parti – aggiunge De Angelis –. La prima è un radiodramma immersivo avvolto nel buio con scritte che raccontano l’antefatto per trovarsi di fronte a quanto successo, una sorta di podcast tridimensionale. Nella seconda, c’è l’epifania, Manson compare e si rende disponibile per rispondere alle domande». Da segnalare al riguardo che l’attore Argentieri ha fatto un percorso di Actor’s Studio per lavorare sull’inflessione del dialetto dell’Ohio di Manson, porta in scena la cuffia in cui ascolta la sua voce originale. Si tratta di una performance molto fisica, complessa, rabbiosa, a tratti provocatoria. Come quando Manson si chiede perché la gente pianga così tanto le persone uccise sulle colline di Los Angeles, mentre nessuno lo faccia per le tante persone che il presidente degli Usa manda in guerra. 

«Siamo tutti così presi e poi dopo non ci interroghiamo su tante altre morti meno ‘importanti’». «Il nostro è un teatro contemporaneo che pone domande e invita a riflettere – conclude il regista –. Non crediamo in un teatro educativo, perché il teatro è sempre spudorato. Nei nostri ritratti mimetici, quando usciamo l’anima ‘non igienizzata’ con parole dirette, siamo per forza un po’ osceni, sospesi tra realtà e teatro, in una dimensione diversa, più paurosa. Il prossimo ritratto mimetico? Quello su Freddie Mercury, il famoso cantante dei Queen».

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7 gennaio 2025

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