Perché il referendum sull’autonomia differenziata potrà avere il via libera della Consulta

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L’ordinanza della Cassazione che ha considerato legittimo il referendum abrogativo della legge spiega il motivo per cui, nonostante il «massiccio effetto demolitorio» della sentenza della Consulta sulla legge stessa, quest’ultima continui a sopravvivere e, quindi, il referendum può svolgersi. Ora la parola sull’ammissibilità spetta alla Corte costituzionale

Dopo la sentenza con cui, il 14 novembre scorso, la Consulta ha dichiarato illegittime specifiche disposizioni della legge sull’autonomia differenziata (n. 86/2024), reputando invece non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, alcuni politici della maggioranza e commentatori schierati dalla stessa parte avevano minimizzato l’impatto della pronuncia sull’impianto regolatorio.

Ma quando l’Ufficio centrale per il referendum della Corte di cassazione, il 12 dicembre scorso, ha dichiarato la legittimità della consultazione volta ad abrogare l’intera normativa, i medesimi politici e commentatori hanno criticato la decisione, che a loro avviso consentirebbe il referendum su una legge che ormai praticamente non esiste più.

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In attesa della imminente pronuncia della Corte costituzionale, cui spetta la parola finale sull’ammissibilità della consultazione, può essere utile riprendere le fila del discorso.

Il referendum per la Cassazione

È possibile il referendum su una legge circa la quale sia profondamente intervenuta una sentenza della Corte costituzionale? Secondo l’Ufficio centrale, che richiama la stessa Corte (sent. n.174/2011), se non sono toccati «i principi ispiratori della complessiva disciplina», la consultazione non può essere bloccata. L’intervento operato dalla Consulta sulla legge in tema di autonomia differenziata non l’ha snaturata al punto da renderla tutt’altra rispetto a quella che il referendum vuole abrogare.

Ma soprattutto – dice la Cassazione – nonostante la Corte costituzionale «abbia inciso in maniera assai intensa sulla legge in questione, ravvisandone sotto plurimi profili l’illegittimità», «almeno tre ragioni depongono nel senso che il pur massiccio effetto demolitorio» della sentenza lasci sopravvivere la legge e, quindi, non determini l’arresto della procedura referendaria.

In primo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibili o rigettato tutti quei profili «che a detta delle Regioni ricorrenti» avrebbero dovuto determinare l’illegittimità costituzionale della «disciplina del trasferimento differenziato nella sua interezza». Quindi, la legge resta valida nel suo complesso, e può essere oggetto di referendum.

In secondo luogo, anche la circostanza che la Corte abbia dato di alcune norme un’interpretazione adeguatrice, volta a renderle «costituzionalmente compatibili», conferma «la permanenza di un nucleo normativo che (…) resta oggi normalmente vigente».

In terzo luogo, la Corte costituzionale ha detto che spetta al Parlamento colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate, e ciò dimostra che la legge sull’autonomia differenziata non è venuta meno. Essa è attualmente inapplicabile a causa di tali vuoti, ma costituisce comunque «un fondo regolativo (…) sufficiente a concretare la permanenza di materia referendaria».

La Corte costituzionale

Ora non resta che attendere la pronuncia della Consulta, il prossimo 20 gennaio, circa l’ammissibilità del referendum. Secondo la giurisprudenza costituzionale, per superare il vaglio della Corte, il quesito deve rispondere a criteri di razionalità, omogeneità e coerenza per essere comprensibile al corpo elettorale. Ma non è facile definire in concreto questi requisiti.

Secondo qualcuno, il fatto che, ad esempio, le norme sui livelli essenziali delle prestazioni (Lep) siano state dichiarate illegittime, mancando di principi e criteri direttivi precisi (art. 76 Costituzione), indurrebbe i votanti in confusione circa elementi essenziali del referendum, e ciò ne precluderebbe lo svolgimento. Altri giuristi sostengono, invece, che la dichiarazione di incostituzionalità di alcune disposizioni della legge sull’autonomia non abbia fatto venire meno la chiarezza, univocità e omogeneità del disegno politico complessivo, e ciò renderebbe il quesito comprensibile ai votanti. Alcuni passaggi, sopra riportati, dell’ordinanza della Cassazione farebbero propendere per questo secondo orientamento, e quindi per una pronuncia positiva della Corte costituzionale.

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E se quest’ultima dichiarasse ammissibile il referendum, ma prima del suo svolgimento il Parlamento apportasse alla legge modifiche idonee a sanarne i profili di illegittimità? Alla domanda risponde la Cassazione, richiamando la Consulta (sent. n. 68/1978): se, «malgrado le innovazioni formali o di dettaglio» apportate dalle Camere, «l’intenzione del legislatore rimane fondamentalmente identica», il referendum resta ammissibile, trasferendosi «dalla legislazione precedente alla legislazione così sopravvenuta». Se invece le modifiche del Parlamento fossero di sostanza o innovassero i principi ispiratori della normativa, essa non potrebbe più essere ritenuta «ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria», che verrebbe conseguentemente bloccata.

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