Aumentano i costi della sanità privata, e il 6 per cento dei trentini rinuncia a curarsi, dice la Consulta – Cronaca

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TRENTO. Il 6% dei trentini ha rinunciato a curarsi e l’importo di quanto i trentini spendono annualmente per visite, farmaci ed esami nel privato è aumentato del 6,6%. Una media di 843 euro all’anno pro capite. Basterebbero queste cifre, secondo Elisa Viliotti, presidente della Consulta provinciale per la salute, per capire che occorre cambiare rotta, cambiare organizzazione.

«Il ricorso rilevante dei trentini a prestazioni a pagamento denota la necessità di una riorganizzazione strutturale dei servizi sanitari per allinearli maggiormente ai bisogni dei pazienti e renderlo più resiliente alle future sfide sanitarie», si legge in una nota dove viene fatta un’attenta analisi dei dati. Riorganizzazione che – si legge ancora – non può essere fatta senza il coinvolgimento delle Consulte provinciali per la salute e per il sociale, che sono gli organi rappresentativi delle associazioni e delle cooperative sociali su cui parzialmente si fonda la tenuta del presidio territoriale della salute.

Ma torniamo ai numeri e in particolare ai dati consolidati 2023 del Rapporto n. 11 del Mef sul monitoraggio della spesa sanitaria dai quali emerge come la spesa sanitaria pubblica nazionale è stata pari a 132.895 milioni e ha inciso per il 6,37% sul Pil (Germania 10,9%, Francia 10,3%, Belgio 8%, Spagna 7,3%, Portogallo 6,7%, Grecia 5,1% – media Ue 6,9%).

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E in Trentino? «La spesa sanitaria pubblica trentina nel 2023 si è attestata a 1.463,3 milioni, con un’incidenza sul Pil (25,5 miliardi) del 5,73% ed una spesa sanitaria pro capite di 2.862 euro. Considerando i 460 milioni di spesa sostenuta di tasca propria dai trentini, la spesa sanitaria provinciale complessiva è pari a 1.923,3 milioni e risulta finanziata per il 76,08% dalla Provincia e per il 23,92% dai cittadini».

Per la Consulta la percentuale a carico dei cittadino dovrebbe essere inferiore anche alla luce del fatto che «con la Finanziaria provinciale 2025 sono state stanziate risorse per 1.500 milioni (incidenza 5,88% Pil) mentre la spesa sanitaria complessiva è maggiore (circa il 7,54% del Pil provinciale) e maggiori sono anche le potenzialità di investimento pubblico».

Ma gli 843 euro spesi dai cittadini per la spesa sanitaria privata a cosa sono destinati? «Le variazioni più significative – ha analizzato la Consulta – sono state: +9,1% per strutture pubbliche, +8,8% per strutture private accreditate, +8,5% per medici, +4% per odontoiatri, +14,9% per strutture autorizzate, +5,2% per parafarmacie, +4,7% per ottici, +18,8% per psicologi, +13,2% per tecnici radiologi, +4,5% per infermieri, +11,4% per ostetrici, +23,8% per strutture sanitarie militari, +17,4% per esercenti professioni sanitarie, 22,4% per professionisti iscritti ad albi».

Per la Consulta «il diritto di salute non è solo diritto alle cure, l’investimento in prevenzione e promozione della salute rappresenta solo il 5% di un fondo sanitario già di per sé insufficiente: va aumentata la spesa pubblica diretta a intervenire sulle cause di perdita della salute, sui cosiddetti “determinanti di salute”, fattori caratterizzati da un rapporto di associazione, ma non necessariamente di causalità, con l’insorgenza della malattia, considerando che la letteratura attribuisce ai comportamenti individuali un’incidenza del 50% sullo stato di salute delle persone, mentre ai fattori ambientali, genetici e di accesso alle cure, rispettivamente il 20%, il 20% e il 10% del peso complessivo».

E poi la richiesta è quella di un maggior coinvolgimento visto che le consulte sembrano essere state escluse da tutti i tavoli. «La strada tracciata dal Pnrr, che destina 230,91 milioni al Trentino, mira ad attuare la riforma dell’assistenza territoriale con le Case della Comunità, la telemedicina e gli Ospedali di Comunità; l’ammodernamento del parco tecnologico e ospedaliero, l’ospedale sicuro e sostenibile, il rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e il potenziamento della ricerca biomedica; lo sviluppo delle competenze tecniche-professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario e il ricorso all’assistenza domiciliare, la riforma dell’assistenza agli anziani, la riforma della disabilità per la promozione dell’autonomia individuale», conclude il documento. Tutto questo, però, senza una co-progettazione che tenga conto dei bisogni delle persone, potrebbe non dare il risultato sperato.

 





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