Correttivo Codice Appalti in G.U.: le principali novità

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Il nuovo intervento legislativo, nel puntellare il novello sistema, prosegue lungo la scia mirante ad un continuo ammodernamento dell’apparato burocratico, tale da indirizzare l’attività degli interpreti del settore. In particolare, lo schema di decreto de quo, è, in primis, uno strumento di ulteriore razionalizzazione e semplificazione della disciplina recata dal vigente Codice dei contratti pubblici, tenendo conto delle principali esigenze rappresentate dagli stakeholders del settore, nonché delle richieste, presentate in sede europea, di modifica e integrazione di taluni istituti giuridici introdotti al fine sia di scongiurare l’avvio di nuove procedure di infrazione da parte della Commissione europea, sia di risolvere quelle eventualmente già in essere. A ciò si aggiunga che il correttivo intende recepire le principali statuizioni giurisprudenziali formatisi all’indomani dell’acquisto di efficacia del vigente codice, assicurando, di tal guisa, un’uniforme applicazione di tali principi, soprattutto relativamente ad alcune aree tematiche ed applicative particolarmente rilevanti, quali ad esempio, la “revisione prezzi”, il concetto di “equivalenza”, riferito alle tutele in materia di contratti collettivi nazionali di lavoro, il principio dell’equo compenso, così come operante nell’ambito degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura, senza dimenticare l’apprezzabile intervento in tema di digitalizzazione e la concertazione che ha portato alla riforma anche in tema di Collegio consultivo tecnico.

Da ultimo, preme in questa fase di premessa, evidenziare che il rispetto del principio di stabilità e certezza dei rapporti giuridici imporrebbe che l’entrata in vigore delle norme abbia un “tempo giuridico” ragionevole di applicazione e apprendimento da parte degli operatori in modo da garantire il dovuto adeguamento al cambiamento in atto. Tale circostanza è stata nuovamente seccamente smentita dal legislatore che, in vista degli stringenti tempi fissati a livello europeo, ha fissato nel giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale l’entrata in vigore del decreto correttivo.

Prescindendo da ulteriori analisi ricostruttive e ora opportuno procedere all’analisi della prima parte della “rivoluzione mirata” operata dal correttivo al Codice dei contratti pubblici. In questo primo commento l’intenzione è di soffermarsi sulle prime modifiche, riguardanti, in particolare, gli articoli 8, 11, 17, 18, soffermandosi, da ultimo, sulle principali riforme che hanno interessato il settore della digitalizzazione, con riferimento segnatamente, agli artt. 19, 23, 24 e 26.

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Innanzitutto, a differenza di quanto prospettato nelle prime bozze circolate, il correttivo interviene anche su un altro dei principi previsti dal Codice dei contratti pubblici, quello di cui all’art. 8D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, circa il divieto di prestazioni professionali gratuite. In questo senso, la riforma varia il secondo comma dell’art. 8, innovando la disciplina e consentendo le prestazioni di cui supra solo in casi eccezionali e motivati. Inserimento questo che senz’altro, è da armonizzare con le disposizioni sull’equo compenso di cui all’art. 41 commi da 15-bis a 15-quater, introdotte dal medesimo Codice, di cui si renderà conto nel secondo commento previsto.

Proseguendo, altra sostanziale novità è quella contemplata dall’art. 2 del D.l. 31 dicembre 2024, n. 209, che interviene modificando l’art. 11D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, su altro principio del nuovo Codice, ossia quello facente riferimento all’applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Le modifiche sottese all’articolo in questione, sono state oggetto di numerose sollecitazioni da parte degli operatori del settore, in quanto riguardanti un aspetto come quello delle tutele lavoristiche che, anche nella quotidianietà, è molto sentito.

Sul punto, il principio di cui all’art. 11, mira a individuare nel bando il contratto collettivo nazionale applicabile all’appalto. Le correzioni presentate dal comma 1, lettera a) dell’art. 2, dello schema puntano a segnalare le tutele da considerare necessarie ai fini della compiuta valutazione e, oltremodo, valida per le modalità di calcolo dell’equipollenza dei contratti collettivi di lavoro. L’obiettivo del legislatore è quello di garantire, da un lato, la parità di tutela, e, dall’altro lato, di assicurare che tutti gli operatori economici che non utilizzino il contratto indicato dalla stazione appaltante siano, altresì, considerati nella stesura di tali criteri nel compiuto rispetto di quanto fissato anche dalla stessa giurisprudenza costituzionale, in modo da garantire la flessibilità e, al contempo, la prevenzione del contenzioso.

Tali modifiche si accompagnano anche con l’inserimento di un nuovo Allegato I.01, in cui si prevedono disposizioni volte ad indicare la prassi da seguire direttamente alle stazioni appaltanti nell’individuare il contratto rispetto al bando di gara in virtù dell’oggetto dell’appalto interessato che il rispetto alla verifica di equipollenza dei contratti. L’intenzione garantistica che muove tale scelta si intravede anche dall’inserimento di meccanismi automatici per la valutazione di equipollenza tra i contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative che, alla luce degli indici normativi ed economici, dimostrano la loro equivalenza.

In definitiva, le modifiche ora presentante si pongono lungo la rinnovata intenzione di tutelare maggiormente la salute e le esigenze dei lavoratori nel settore afferente la commessa pubblica, evidenziando ancora una volta la centralità dei CCNL e inserendo criteri più definiti in ordine alla verifica dell’equivalenza delle tutele, in particolar modo per quel che concerne le prestazioni scorporabili.

Nella seconda parte del presente commento s’intende dare luce alle nuove previsioni in tema di affidamento dei contratti pubblici, segnatamente, dall’avvio della procedura all’avvio dell’esecuzione del contratto.

Il nuovo comma 3 dell’art. 17 prevede oggi che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti debbano concludere le procedure di selezione entro specifici termini stabiliti nell’Allegato I.3, (che si ricordano essere per la procedura aperta: nove mesi; per la procedura ristretta: dieci mesi; per la procedura competitiva con negoziazione: sette mesi; per la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: quattro mesi; per il dialogo competitivo: sette mesi; e per il partenariato per l’innovazione: nove mesi; mentre i termini per la conclusione delle gare condotte secondo il criterio del minor prezzo sono: per la procedura aperta: cinque mesi; per la procedura ristretta: sei mesi; per la procedura competitiva con negoziazione: quattro mesi ed infine per la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: tre mesi).

Il superamento dei termini ora riportati fonda l’applicazione dell’istituto del silenzio inadempimento, rilevando, oltremodo, anche in un’ottica generale volta alla verifica del rispetto dei doveri immanenti in capo alla Pa di buona fede e correttezza, così come prescritto dalla legge generale circa l’attività amministrativa (L. n. 241/90, art. 1 co. 2- bis) che anche indicato all’interno dei principi mutuati nel nuovo codice, nello specifico nell’art. 5 in cui si fa riferimento anche all’innovativo principio dell’affidamento.

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Oltre a tale modifica, il correttivo innova la disposizione introducendo un nuovo comma 3-bis. Il comma in questione contempla un rinvio all’Allegato I.3, il quale impone un tempo massimo intercorrente tra l’approvazione del progetto e la pubblicazione del bando di gara o l’invio degli inviti a offrire. Come ragionevolmente convenuto, tale nuova regola mira ad evitare che ci possa essere un notevole distacco temporale tra l’approvazione del progetto e l’avvio delle procedure di gara, tale da scongiurare che i costi del progetto non siano più confacenti con quelli dei preziari previsti al momento in cui era stato indetto il bando di gara.

Ancora, con riferimento all’art. 18D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, in merito alla stipulazione del contratto, il correttivo è intervenuto, anche in questo caso, sul terzo comma, in cui si da conto del periodo del c.d. stand still. Brevemente, per stand still si fa riferimento ad una specifica fase temporale facente parte delle procedure di gara, la quale mira a garantire la linearità e la trasparenza della procedura della commessa in modo da tutelare tutti gli operatori economici partecipanti alla gara. La particolarità che contraddistingue tale periodo è quella che coinvolge l’amministrazione aggiudicatrice, la quale nell’astenersi dal dare esecuzione al contratto con il vincitore provvisorio, deve, invece, attendere un determinato periodo di tempo prima di stipulare effettivamente il contratto, che nel D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, era computato nel termine di 35 giorni. Il correttivo interviene sul punto, operando nel rispetto di quanto richiesto dagli impegni assunti in sede europea, al fine di una migliore e più celere definizione nell’aggiudicazione degli appalti da parte delle stazioni appaltanti individuando nella c.d. rapidità decisionale media (da intendere quale tempo che intercorre tra il termine per la presentazione delle offerte, l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto) uno dei canoni per valutare la funzionalità e la capacità delle stazioni appaltanti. Sebbene nella prima bozza circolata il lasso temporale fosse stato abbassato a 30 giorni, la versione definitivamente approvata obbliga le stazioni appaltanti ad attendere il nuovo termine di 32 giorni, precisandosi che quest’ultimo non si applica ai contratti di importo inferiore alle soglie europee, eliminando, conseguentemente, il riferimento all’articolo 55, comma 2, del Codice.

Definita le novità vigenti nella fase degli affidamenti, è ora opportuno soffermarsi sul comparto relativo alla digitalizzazione. Come efficacemente rivelato a seguito dell’introduzione del nuovo Codice, il digitale rappresenta nella realtà sociale ed economica moderna, lo strumento principale che deve guidare gli interpreti ad un nuovo modo di concepire l’attività amministrativa, sempre meno analogica ma progressivamente proiettata verso un futuro in cui la tecnologia vada costantemente di pari passo con l’utilizzazione dei pubblici poteri.

In questo senso, il correttivo ha modificato in parte gli artt. 19, 23, 24 e 26, prospettando nuove regole volte alla semplificazione del settore e finalizzate alla corretta utilizzazione del sistema di e-procurement, oramai in vigore dal 1° gennaio del 2024. In particolar modo, le modifiche mirano: a favorire l’utilizzazione del fascicolo virtuale dell’operatore economico; a definire le regole volte ad assicurare la certificazione delle piattaforme pubbliche e private volte a consentire alle stazioni appaltanti di collegarsi alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici (da qui in poi BDNC) presso l’ANAC; a contemplare la divisione dei compiti tra il RUP e il personale delle stazioni appaltanti ai fini del caricamento dei dati sulla BDNC e da ultimo, ma non per importanza data la portata rivoluzionaria delle novità portate, nel prospettare la migliore utilizzazione del casellario informatico oltre che nuove regole sull’utilizzo degli strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni (cd. BIM), aumentando, a partire dal 2025, la soglia per cui è obbligatorio il ricorso a tali strumenti su affidamenti da 1 a 2 milioni di euro e razionalizzando, altresì, tutti i requisiti tecnici per la redazione in modalità digitale dei documenti di programmazione, progettazione ed esecuzione dell’opera.

Oltre alla precisazione contenuta nel nuovo comma 1 dell’art. 19 in cui si specifica che ad essere utilizzati devono essere i servizi e le attività che sono effettivamente impiegati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti, particolare attenzione va rivolta agli artt. 23, 24 e 26.

L’art. 8 D.L. 31 dicembre 2024, n. 209, modifica il comma 7 dell’art. 23 del Codice, autorizzando anche le stazioni appaltanti (oltre ad ANAC) a segnalare ad AgID, le eventuali omissioni presenti in tema di informazioni o attività necessarie a garantire l’interoperabilità dei dati. Oltre ciò si prevede la modifica al comma 5, eliminando il termine “diretti” riferito agli affidamenti alle società in house, rimovendo, di conseguenza, qualsiasi forma di dubbio rispetto agli affidamenti diretti di cui agli artt. 48 e ss. del Codice.

Proseguendo, l’art. 9 del correttivo corregge l’art. 24D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, in modo da porre salde regole sulle interferenze tra le regole disposte dal Codice e quelle relative al funzionamento delle banche dati che alimentano la BDNC. Il comma 3 viene modificato in un’ottica generale valida a chiarire definitivamente che le norme del Codice prevalgano sulle singole disposizioni contemplate dalle banche dati, in virtù del principio di specialità delle fonti.

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Al fine di chiarire i dubbi applicativi emersi in sede di attuazione, si è, quindi, proceduto ad una riformulazione dell’assetto normativo, prevedendo che le regole e gli obblighi assicuranti l’interoperabilità alle banche dati ai sensi dell’articolo 23, comma 3, del Codice non possano essere vanificate in virtù delle disposizioni che regolamentano le singole banche dati che alimentano la BDNC, dato che l’interoperabilità prevale in forza della specialità delle norme codicistiche che la caratterizzano.

Da ultimo, l’art. 10 della novella mira a modificare l’art. 26D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, in cui ad essere parzialmente mutati sono i poteri dell’AgID. Si modifica il comma 1, prevedendosi che l’AgID dovrà stabilire le modalità di certificazione dei requisiti tecnici di tali piattaforme e non più la conformità delle piattaforme digitali di e-procurement, in quanto più funzionale al ruolo di AgID e in linea con quanto previsto dal Codice. Tale nuova previsione non si limita a ricalibrare le funzioni dell’Agenzia ma alimenta il piano d’azione inglobando anche l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale che di concerto con l’ANAC, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nella figura del Dipartimento per la trasformazione digitale, dovranno stabilire con l’AgID le modalità di certificazione.

Al nuovo comma 2 si precisa che con il medesimo provvedimento del comma 1 sono individuati i requisiti e i titoli richiesti alle piattaforme di approvvigionamento digitale al fine di dimostrare, sulla base degli standard internazionali di settore, l’adeguatezza dei sistemi di gestione della qualità dell’organizzazione, nonché la sicurezza delle informazioni. A meri fini di coordinamento, il comma 3 è modificato in modo che la nuova certificazione rilascia dall’AGID si fonda sui requisiti e sui titoli previsti dal nuovo comma 2.

Prescindendo da un giudizio in ordine alle correzioni ora analizzate, non vi è dubbio che il correttivo prova a riorganizzare gli assetti normativi e le funzioni delle Autorità che regolamentano il settore, in modo da porre nuovi equilibri nella gestione e formazione delle regole digitali.

Riferimenti normativi:

D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36

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