Sanzioni al capo delle milizie Hemeti e a sette società emiratine usate per il traffico di oro e di armamenti
08 Gennaio 2025
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
Genocidio. Ha usato per la prima volta questa parola ieri il segretario di Stato americano uscente Antony Blinken nel descrivere i crimini commessi in Sudan dai paramilitari Forze di supporto rapido (RSF) e dalle milizie arabe alleate dall’inizio della guerra, il 15 aprile 2023.
Dunque non solo crimini di guerra, crimini contro l’umanità e pulizia etnica avvenuti – e che ancora avvengono – in prevalenza nella regione occidentale del Darfur, come già nel dicembre 2023 aveva denunciato Blinken, ma un vero e proprio genocidio.
Un genocidio denunciato da tempo anche da rapporti di autorevoli organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch e su cui sta indagando dal luglio 2023 anche la Corte penale internazionale.
“Le RSF e le milizie alleate hanno sistematicamente assassinato uomini e ragazzi, persino neonati, su base etnica, e hanno deliberatamente preso di mira donne e ragazze di determinati gruppi etnici per stuprarli e altre forme di brutale violenza sessuale”, scrive Blinken in un comunicato stampa.
“Le stesse milizie hanno preso di mira civili in fuga – prosegue -, assassinando persone innocenti in fuga dal conflitto e impedendo ai civili rimasti di accedere a rifornimenti salvavita. Sulla base di queste informazioni, ho concluso che i membri delle RSF e delle milizie alleate hanno commesso un genocidio in Sudan”.
Sanzioni per Hemeti
In contemporanea alle parole di Blinken, il dipartimento del Tesoro americano annunciava una nuova serie di sanzioni che per la prima volta colpiscono il leader supremo delle RSF, Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti “per il suo ruolo nelle atrocità sistematiche commesse contro il popolo sudanese”, “compromettendo l’obiettivo di una transizione democratica”.
L’effetto di tali sanzioni è il congelamento di tutti i beni che potrebbe detenere negli Stati Uniti e il divieto di ingresso nel paese per lui e i suoi famigliari più stretti, alcuni dei quali, come i fratelli Algoney Hamdan Daglo e Abdelrahim Hamdan Dagalo, già sottoposti a sanzioni dagli Stati Uniti.
Società emiratine
Washington ha allargato le sanzioni anche a sette società riconducibili alle RSF situate negli Emirati Arabi Uniti e ad altre due persone – il cittadino sudanese Abu Dharr Abdul Nabi Habiballa Ahmmed e l’ungherese Antal Rogan, per il loro ruolo nell’approvvigionamento di armi.
In particolare la Capital Tap Holding, con sede negli Emirati Arabi Uniti, che gestisce 50 società in dieci paesi, e il cui proprietario e gestore, Abu Dharr, possiede o gestisce anche diverse altre società collegate, anch’esse sanzionate dal Tesoro americano.
Le società rappresentano parte di un’ampia rete finanziaria e commerciale, utilizzata da Hemeti e dai suoi familiari per il traffico di oro e per l’acquisizione di armamenti, che si estende dagli Emirati Arabi Uniti al Sudan e ai paesi limitrofi.
Danno d’immagine
Le accuse di genocidio unite a quest’ultimo blocco di sanzioni statunitensi – che dall’inizio del conflitto hanno colpito anche persone e aziende legate alle forze armate sudanesi – intendono ostacolare gli sforzi che i vertici delle Forze di supporto rapido stanno compiendo per ripulire la propria immagine e affermare la propria legittimità sui territori controllati – in particolare gran parte della vasta regione del Darfur -, anche attraverso l’insediamento di un governo parallelo.
L’obiettivo finale è quello di spingere le RSF a trattative per un cessate il fuoco, finora peraltro rifiutate anche dall’esercito sudanese e dalle milizie islamiste alleate.
Catastrofe umanitaria
Il Sudan “resta nella morsa di una crisi umanitaria di proporzioni impressionanti”, denuncia l’ultimo rapporto al Consiglio di sicurezza dell’Ufficio di coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) che parla di una situazione “particolarmente catastrofica” nella città e nei dintorni della capitale del Darfur del Nord, El Fasher, che le RSF assediano dal 10 maggio 2024.
Anche a causa della fame usata come strumento di guerra, la carestia decretata lo scorso agosto nel campo di Zamzam a El Fasher e in altre zone della regione, si sta diffondendo anche in altre aree del paese.
Dove, secondo le organizzazioni umanitarie, circa 21 milioni di persone, ovvero circa la metà della popolazione, ha bisogno di aiuti alimentari.
L’OCHA stima che oltre 11,5 milioni di persone siano sfollate all’interno del Sudan e oltre 3,2 milioni di altre siano fuggite nei paesi limitrofi. La conta dei morti si ferma a 20mila, ma è una stima ritenuta ampiamente sottovalutata.
L’ultima analisi dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification) indica che le condizioni di carestia sono ora presenti in cinque aree, tra cui Zamzam, Al Salam, i campi per sfollati di Abu Shouk e nei Monti Nuba occidentali. E prevede che altre cinque località, tutte nel Darfur del Nord, saranno colpite entro il prossimo maggio, con il rischio di carestia in altre 17 aree. (MT)
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