La scomparsa di Le Pen. Portò l’estrema destra nel cuore della Francia

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«Socialmente sono di sinistra, economicamente di destra e nazionalmente, sono della Francia»: amava definirsi da solo Jean-Marie Le Pen. Si vantava di essere «l’uomo più odiato di Francia» e per tanti è stato in effetti il «diavolo della République». Emmanuel Macron gli ha dedicato ieri il più breve dei suoi necrologi, cinque righe, lasciando «alla storia» l’onere di giudicarlo. Il capo carismatico dell’estrema destra francese, sulla quale resta il marchio del suo cognome, è morto ieri a 96 anni in una clinica di cure palliative a Garches, vicino a Parigi. La figlia Marine ha appreso la notizia dopo i francesi, da un’agenzia stampa sul telefonino, facendo scalo a Nairobi di ritorno da una vista a Mayotte. I funerali si svolgeranno sabato a Trinité-sur-Mer, in Bretagna, il borgo in cui è nato. Nella più stretta intimità, lontano dai clamori che lui probabilmente avrebbe apprezzato ma che oggi potrebbero provocare imbarazzo. La classe politica ha reagito con precauzione dal premier Bayrou («Sapevamo, combattendolo, il combattente che era») al leader della sinistra radicale Mélenchon («La lotta contro l’uomo è finita. Quella contro l’odio, il razzismo, l’islamofobia e l’antisemitismo continua»).

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LA PROVOCAZIONE
Jean-Marie Le Pen era malato da tempo, nel 2018 la figlia gli aveva sottratto il titolo di presidente d’onore del Fronte Nazionale, che aveva fondato nel 1972 e aveva poi cambiato il nome del partito, diventato Rassemblement National, ennesimo atto di un’infinita e fruttuosa opera di «normalizzazione». Ma resterà impossibile cancellare Jean-Marie Le Pen dalla storia di Francia, che avrà vissuto, condizionato, terremotato per quasi 70 anni. Provocare è stato il suo principale credo politico. Lui, che osò dire che «le camere a gas son un dettaglio della storia» e che si appuntava come medaglie sul petto le condanne per apologia di crimini di guerra, razzismo, incitazione all’odio razziale. Lui col suo occhio di vetro, eredità di un incidente durante una campagna elettorale movimentata, che accoglieva con i suoi dobermann i giornalisti nel suo maniero a Saint Cloud, su una collina fuori Parigi. Lui con la sua famiglia dilaniata da faide, con la prima moglie Pierrette che lo lascia e per vendicarsi posa seminuda su “Playboy”, la figlia Marie Caroline che lo tradisce sostenendo il capo di una fronda, la figlia Marine che lo esautorerà, la nipote Marion, che se ne andrà con Zemmour rinunciando al cognome Le Pen, i generi perennemente in lotta. Aveva 27 anni quando fu eletto per la prima volta all’Assemblée Nationale, c’era ancora la Quarta Repubblica. L’esordio è con Poujade, all’estrema destra e dentro un populismo della primissima ora. Nato in una famiglia modesta, padre pescatore che muore nel ‘42 lasciandolo orfano di guerra, studia Giurisprudenza aderendo al sindacato di estrema destra e rivendicandosi un «anticomunista nel cuore del Quartiere latino».

LA CARRIERA

Si arruola nella guerra di Indocina, ma è l’Algeria la madre delle sue battaglie. Tornerà con le accuse di aver torturato indipendentisti algerini (accuse pare infondate) e con un odio imperituro per il generale de Gaulle colpevole di aver «abbandonato» l’Algeria francese. Nel 1972 crea il Fronte Nazionale, riunendo la nebulosa di gruppuscoli di estrema destra, elementi neonazisti ed ex Waffen-SS. Il fronte nasce da una costola di Ordre Nouveau, Ordine Nuovo, e il simbolo del partito sarà preso in prestito dal partito «fratello» Msi, una fiamma tricolore. Sono anni di scarsi successi elettorali, Le Pen cera una casa discografica che incide tra l’altro canti folcloristici del terzo Reich, e una casa editrice che pubblica lavori di storici collaborazionisti o negazionisti. Nel 1984, arrivano le vittorie elettorali: prima l’11 per cento alle europee, poi 35 deputati in parlamento. Il 1987 è l’anno dello spartiacque: in una trasmissione radiofonica dichiara che le camere a gas sono «un dettaglio della storia». Diventa un infrequentabile. Un paria. A Le Pen va bene così. Stare fuori, e da lì imporre i propri i temi. Una strategia che paga: nel 2002 si qualifica al ballottaggio per l’Eliseo. La Francia si coagulerà contro di lui: Chirac vincerà con oltre l’82 per cento dei voti. Per lui è l’inizio della fine, per l’estrema destra è il segnale che si può dare l’assalto alla vetta, fino al’Eliseo. Ma a provarci non potrà essere lui. Marine prende il Fronte come presidente nel 2011. Nel 2015 lo espelle dopo l’ennesima uscita antisemita. Padre e figlia si scontrano fino in tribunale, nel 2018 l’ultimo atto, il Front diventa Rassemblement. Due anni fa la grande riconciliazione in famiglia. Ma anche allora, a chi gli chiedeva quale fosse il maggior contributo di Marine al partito che lui aveva fondato rispondeva: «il suo cognome».

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