Così il regime iraniano indebolito dai soprusi è stato sconfitto da due donne italiane: Giorgia Meloni ed Elisabetta Vernoni, mamma di Cecilia Sala

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Roberto Gressi

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la mamma della giornalista Elisabetta Vernoni hanno sfidato Teheran e hanno vinto

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Due donne contro l’Iran, in difesa di un’altra, giovane donna. Una donna che assomiglia in tutto e per tutto ai milioni di ragazze e di donne di Teheran e dell’intero Paese, vilipese e offese da una tirannia che con lo scudo ipocrita della religione nega loro, senza vergogna, ogni libertà, sotto il tallone di una polizia morale che le controlla, le bracca, le arresta, le tortura. Leggetelo, il libro di Barbara Stefanelli, Love harder, non tanto per conoscere la ferocia e l’accanimento di quella dittatura, ma per capire quanto ineguagliabile coraggio c’è in quelle donne che affrontano una battaglia che un mondo orripilato, ma anche rassegnato e un po’ codardo, considera senza speranza.

Le due donne che hanno sfidato l’Iran sono ovviamente Elisabetta Vernoni, la madre di Cecilia, e Giorgia Meloni. E, per una volta almeno, hanno potuto farlo quasi senza i distinguo politici che, per motivi di interessi elettorali, assediano queste vicende. Quando si telefonano, e poi si incontrano, Cecilia è costretta in una cella di punizione, senza nemmeno gli occhiali, il pavimento come letto. È imprigionata per il più turpe dei ricatti, con la più indefinita e quindi più spaventosa delle accuse: aver violato la legge islamica. Un’imputazione che non prevede l’habeas corpus, il principio che tutela l’inviolabilità personale, e garantisce il diritto di conoscere la causa dell’arresto e di vederla convalidata da un giudice imparziale. «Hai almeno un cuscino pulito?», riuscirà a chiederle la madre. E lei risponderà: «Non ce l’ho, un cuscino».




















































Cos’è mai un cuscino rispetto a quello che sono costrette a subire le donne in Iran? È tutto, è la fine del rispetto per la persona. Si incontrano a Palazzo Chigi, le due donne. Il rischio dell’agiografia è dietro l’angolo, specie dopo il lieto fine, ma per una volta proviamo a vedere i fatti per come si sono svolti, senza logiche di bottega, pensando solo alla vicenda umana, pur immersa nella politica. «È stato importante guardarsi negli occhi — dirà Elisabetta — nel colloquio c’è stato un salto di qualità, ho avuto un’informazione precisa e puntuale. Non piango, non frigno, non chiedo i tempi, questo incontro mi ha aiutato, stanno lavorando. Per quanto mi riguarda, quello che potrò farlo, io lo farò». Si fida e non si affida, la madre di Cecilia.

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Non è un segreto che Giorgia Meloni abbia forzato le regole e i tempi della diplomazia e dell’intelligence. Il volo fino a Mar-a-Lago, per la tempestività e la spregiudicatezza dell’azione, non ha precedenti. È andata a incontrare quel Donald Trump che, in preda all’iperbole che accompagna questi ultimi giorni che precedono la sua presidenza, minaccia Panama e la Groenlandia, perfino il Canada, e pretende che l’Europa investa il cinque per cento del suo prodotto interno lordo in spese militari. Scriverà il New York Times: «Meloni ha fatto pressioni aggressive sul caso di Cecilia Sala». E per farle si è pure sorbita due ore di filmato sul preteso complotto che avrebbe privato il neopresidente della vittoria alle elezioni americane di quattro anni fa.

Sapere che c’è stata una trattativa con Teheran, per ottenere il rilascio di Cecilia Sala, non può sorprendere. È quello che non può che avvenire sempre, quando si persegue il risultato di tutelare la vita e la libertà di una persona, tenuta prigioniera in assenza del diritto. Ma è innegabile che questa vicenda abbia avuto, nella sua drammaticità, anche il merito di mostrare al mondo quanto sia in realtà debole un regime che fa della sopraffazione la sua ragione d’essere. E i primi ad essersene accorti, probabilmente, sono quelli che siedono al governo dell’Iran. Che sono stati messi dalle due donne davanti al fatto che il gioco tragico della mistificazione era stato smascherato. E quello che è avvenuto può contribuire a dare nuova energia, e un palcoscenico mondiale più attento, alla battaglia delle iraniane per la liberazione.


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9 gennaio 2025 ( modifica il 9 gennaio 2025 | 08:05)

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