Inflazione, debito e tutti i pericoli di banche separate dagli Stati

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Moriremo di inflazione spuria somministrata come velenosa medicina, prezzi artatamente inarrestabili, tassi voraci e redditi in caduta libera… o forse no? È in atto un processo, al momento inarrestabile, di concentrazione della ricchezza e di propagazione della povertà senza pari. Lo stesso presidente della Repubblica lo ha stigmatizzato nel suo intervento di fine anno. Quel che sfugge è la sua natura strutturale da cui scaturisce l’inarrestabile deriva che sta sconvolgendo e rischia di travolgere le nazioni ed i popoli del mondo intero.

Lo strapotere speculativo della finanza internazionale e la volontà/necessità di controllare i debiti sovrani, depotenziandone in quota parte la portata nominale altrimenti insostenibile, formano una miscela esplosiva devastante la cui portata non è ancora a tutti evidente e tanto meno da tutti percepita. La speculazione usa le materie prime energetiche come esplosivo e le guerre come detonatore per accumulare ricchezze esorbitanti alimentate ovviamente anche dai proventi degli oligopoli delle tecnologie, delle reti, delle connessioni e delle informazioni che generano gli algoritmi che avvolgono e intorpidiscono il mondo intero in una melassa dolciastra e soporifera. La speculazione trova nella concentrazione delle risorse e nel granitico potere del gotha finanziario mondiale che ignora ogni limite (statuale, geografico, ideologico) il suo incontestabile punto di forza.

Il gotha in questione, infatti, non solo compete con gli Stati, anche i più potenti, in termini di ricchezza e di forza, ma addirittura si pone come contraltare se non addirittura come controllore del potere statale sia nei confronti degli stati minori che in quelli di rilievo continentale. Dall’altro lato agisce la necessità/volontà di alleggerire/depotenziare i debiti sovrani divenuti ormai insostenibili per gli Stati e, anche in questo caso, per il mondo intero. Non è solo l’Italia ad avere un debito pubblico che la schiaccia come un macigno. L’intera Europa, Germania e Francia comprese, è schiacciata dal carico oneroso imposto, anche qui, dalla finanza internazionale che controlla flussi, tassi di interesse e massa monetaria. Gli Stati Uniti hanno un debito pari a 34 trilioni di dollari (129% del pil) che da solo farebbe tremare il mondo se non detenesse il privilegio di gestire le transazioni internazionali con il dollaro. Fu facile profeta John M. Keynes nel preconizzare questa deriva allorché proprio gli Usa imposero a Breton Woods, a guerra ancora aperta, il dollaro come moneta di regolazione degli scambi internazionali rigettando la proposta dello stesso Keynes di una moneta neutra e terza (il Bancor) controllata dagli organismi internazionali che pure furono creati (Banca mondiale e Fondo monetario internazionale) assoggettandoli tuttavia al potere del dollaro. Quel che nemmeno i governanti americani avevano immaginato, vero e proprio contrappasso della nemesi storica o divina, è la concentrazione della finanza in misura preponderante in mani private con la conseguente deriva speculativa che, oggi, tiene sotto scacco il mondo intero gravato da un debito di oltre 100 trilioni di dollari.

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L’imperialismo con le sue scelte scellerate di potenza globale ha generato l’ircocervo incontrollabile, l’ipercapitalismo, ossia il contro potere privato, imperialista e globale anch’esso ma privo di patria e ideologia. Esso controlla il mondo e usa la leva del debito come fonte della sua potenza e come minaccia verso il mondo intero o i singoli Stati laddove l’uno e gli altri diventino recalcitranti/indisciplinati/scialacquatori/cicale o semplicemente rivendichino la loro autonomia. Esempi di tale corto circuito ve ne sono a volontà e più o meno eclatanti a cominciare dalle vicende vissute negli anni più recenti dai cosiddetti Paesi Pigs (Portogallo-Italia-Grecia-Spagna) a cui furono aggiunti Irlanda e Gran Bretagna con la Grecia divenuta, solo qualche anno addietro, destinataria di una “punizione/trattamento” esemplare con l’Italia assurta alla condizione di costante osservata speciale. Le privatizzazioni e le facili acquisizioni degli asset industriali e patrimoniali ne erano il corollario obbligato quanto naturale. Risale fondamentalmente agli anni Ottanta l’origine degli indebitamenti abnormi e crescenti degli Stati. Fu in quegli anni che venne teorizzata e praticata l’autonomia/indipendenza (il cosiddetto divorzio) delle banche centrali dai governi nazionali. Questi, di conseguenza, si videro costretti ad approvvigionarsi, per il fabbisogno finanziario necessario agli investimenti strutturali non coperti dalle entrate tributarie, sul “mercato” che era per definizione privato, non potendo essi ormai disporre del controllo sulla massa monetaria attraverso l’emissione dei titoli del debito pubblico che, prima del divorzio, erano acquisiti dalla banca centrale per finanziare il fabbisogno statale. Esigenza oggi inesorabilmente ricomparsa agli orizzonti dell’Unione Europea, checché ne pensino la signora Lagarde o i parsimoniosi Paesi nordici che tutti insieme non fanno la popolazione del Mezzogiorno italiano.

Il peccato originale di quella separazione tra banche centrali e Stati nazionali risiedeva nel controllo del mercato finanziario da parte di un ristretto numero di potentati privati che presero a distribuire pagelle e dare i voti agli Stati fissando interessi e politiche da seguire per rientrare negli standard da quelli voluti. Sino a giungere al punto della insostenibilità dei debiti. È buona norma del mercato, tuttavia, sostenere il debitore troppo esposto perché questi non fallisca e paghi i suoi debiti assicurando ai finanziatori il programmato profitto che nel caso degli Stati trova negli interessi sul debito ( e nella vendita del patrimonio della nazione) la sua contropartita per definizione incancellabile quanto inestinguibile.

Da qui la necessità di mettere in atto delle politiche di alleggerimento del debito pubblico attraverso l’inflazione che ne riduce il peso reale lasciando immutata la consistenza nominale. Il rapporto percentuale con il pil farà così meno paura. È un po’ quel che succedeva per tutti gli italiani, tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta del secolo passato, grazie al meccanismo di riequilibrio del potere d’acquisto di stipendi e pensioni eroso dall’inflazione e noto sotto il nome di “scala nobile”. Oggi l’inflazione è stata sterilizzata e favorisce soltanto l’alleggerimento dei conti pubblici provocando al contrario un’erosione evidente e piuttosto consistente dei redditi dei cittadini a causa dell’aumento dei tassi di interesse, prezzi e tariffe spinti all’insù dalla speculazione interna ed internazionale. Si ha in questo modo, da una parte la dilatazione della ricchezza finanziaria e dall’altro l’impoverimento dei cittadini gravati della progressiva inarrestabile decurtazione del loro potere di acquisto. I debiti cosiddetti sovrani, in quanto pubblici, conosceranno un alleggerimento non dovendo destinare risorse al ripristino del potere d’acquisto dei cittadini e, di conseguenza, torneranno ad essere più sostenibili e meglio gestibili dal “mercato”. La fonte di implementazione della plutocrazia mondiale è così salva grazie ai flussi degli interessi sui debiti pubblici che continueranno a gonfiare i super profitti di azionisti ed oligarchi in uno con gli aumenti delle tariffe, dei mutui e dei prezzi di ogni servizio e bene di consumo. Il paradigma è funzionale e perfettamente declinabile. Resta da gestire la povertà dei popoli e di quello italiano nello specifico contesto nazionale.



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