«Non piangono nemmeno più, i bambini di Gaza hanno perso l’infanzia»

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«La cosa peggiore è che i bambini hanno perduto irrimediabilmente l’infanzia. È stata cancellata dalla guerra senza speranza e senza alcuna possibilità di recupero. A sette, otto anni sono già adulti. Li guardi in viso mentre si sforzano di aiutare i genitori e i fratelli maggiori a prendere l’acqua, mentre fanno la fila per il pane, mentre portano pesi più grandi di loro o chiedono l’elemosina. Non piangono più. Vivono e pensano come adulti, non c’è più nulla che ricordi il bambino che erano prima della invasione israeliana. Se dovessi raccontare con una immagine il dramma che sta vivendo Gaza, è quella l’immagine. Poi, certo, ci sono le sirene, i palazzi sventrati con la polvere che riempie l’aria, il tanfo dei rifiuti che nessuno porta via e delle fogne. Ci sono i funerali frequenti e innaturali dei giovani, le baraccopoli formate da centinaia di migliaia di persone accampate nelle tende senza elettricità e a volte pure senza acqua potabile e per lavarsi».

Sono parole di Jamil Almajdalawi, 36 anni, nato a Gaza, a Jabaliya. Fino a marzo dello scorso anno non aveva mai messo piede fuori dalla Striscia. Quando lo ha fatto, è stato per scappare con la pena nel cuore, l’orrore negli occhi e senza alcuna certezza di poter un giorno tornare.

IERI JAMIL era a Napoli per portare la sua testimonianza sul massacro in atto nella sua terra e per raccontare una storia straordinaria quanto semplice di resistenza, quella dei bambini e dei ragazzi dell’Al Haddaf, squadra di calcio che raccoglie giovani palestinesi, di età compresa tra i 6 e i 17 anni, provenienti dalla cittadina di Beit Lahiya, nel nord di Gaza, ormai totalmente distrutta.
I bambini e i ragazzi sfollati vivono adesso a Deir al Balah, sotto le tende.

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Lo Spartak San Gennaro, squadra composta da ragazzini del popolare quartiere Montesanto della città partenopea, attraverso il contatto di un educatore che in passato era stato a Gaza ha stretto un gemellaggio con l’Al Haddaf. Si sono scambiati, tra le mille difficoltà di collegamento con una zona di guerra, video degli allenamenti. Si parlano quando possono e sperano di potersi un giorno sfidare su un terreno di gioco.

La testimonianza di Jamil è quella di un palestinese che ha vissuto per cinque mesi nella Gaza prima bombardata e poi invasa dall’esercito israeliano. «A metà ottobre del 2023 – ha raccontato – pochi giorni dopo l’inizio delle incursioni aeree mi sono spostato con altre decine di migliaia di persone nel campo profughi di Deir al Balah, nel sud. A marzo dell’anno successivo sono riuscito a passare in Egitto e da lì ho raggiunto l’Oman».

I circa 150 giorni che ha trascorso nella Gaza occupata sono stati una sfida quotidiana con la morte. «Lì – ha detto – non c’è zona sicura perché Israele bombarda ovunque, anche nelle aree che sostiene siano destinate ai cosiddetti corridoi umanitari. Vivere o morire è una questione di fortuna, di circostanze più o meno favorevoli. Un caso, insomma. Su 78 persone della mia grande famiglia, tra parenti stretti e lontani, 38 sono stati già uccisi. Non militanti di Hamas, persone comuni. Ho visto bombardare un’auto su cui viaggiava una famiglia e un minibus che portava persone civili. Attraversavano un percorso che Israele aveva indicato come garantito, percorribile dalla popolazione in fuga dalle zone più coinvolte nel conflitto».

HA AGGIUNTO: «Non c’è salvezza neppure nei campi profughi perché anche lì, nel periodo in cui ero ancora a Gaza, sono state sganciate bombe e sono state compiute operazioni di guerra dall’esercito israeliano. Si muore per le bombe, per i proiettili, per le malattie e per il freddo. Quando ero a Gaza mancavano le medicine più banali ed erano introvabili quelle necessarie ai cardiopatici, ai diabetici, ai malati oncologici». Il sogno di Jamil? «Mi piacerebbe tornare un giorno qui a Napoli con i bambini e i ragazzi dell’Al Haddaf per disputare una partita vera con lo Spartak San Gennaro».

Sono 359, secondo i dati forniti dalla Federazione Calcio palestinese, aggiornati a dicembre 2024, i giocatori che sono stati uccisi dall’inizio della invasione da parte di Israele della Striscia di Gaza. Tra gli ultimi Mohamed Khalifa, che ha perso la vita con almeno sette familiari a causa di un bombardamento nel campo di Nuseirat. Ventiquattro i giocatori di calcio detenuti. Gli impianti sportivi che sono stati distrutti da ottobre 2023 a dicembre 2024 sono stati 287.



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