Senza le telecamere sulle auto dei carabinieri non avremmo saputo la verità sulla morte di Ramy Elgaml

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Ramy Elgaml

Non c’è alcun dubbio sulla atrocità delle immagini che le dash-cam – installate sull’auto dei carabinieri – e le telecamere di sorveglianza hanno restituito dell’inseguimento che, il 24 novembre scorso a Milano, ha causato l’incidente in cui è morto il 19enne Ramy Elgaml. Sono spaventose, agghiaccianti e violente. Punto. Così come lo sono le parole pronunciate dai militari, coinvolti nell’inseguimento, in quegli attimi: “Vaff*** non è caduto“, “No merda, non è caduto“, “È caduto, bene“.

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Per avere un minimo di contesto è necessario tornare a quel 24 novembre 2024. Sono le 3.40. All’incrocio tra viale Monte Grappa e via Rosales, vicino ai grattacieli di Porta Nuova e alla caotica Corso Como famosa per le sue discoteche come l’Hollywood, c’è un posto di blocco.

I carabinieri intimano un alt a un T-Max: in sella ci sono il 22enne Fares Bouzidi e il 19enne Ramy Elgaml. Ne scaturisce un inseguimento. Dopo otto chilometri e venticinque minuti di tallonamento, tra via Ripamonti e via Quaranta, strade meno conosciute e luccicanti delle prime due, lo scooter finisce contro un palo della segnaletica. Per Ramy Elgaml non c’è nulla da fare: il 19enne muore sul colpo.

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Gli agenti della polizia locale arrivano sul posto e svolgono i rilievi. Per tanti la dinamica sembrerebbe essere chiara: Ramy è morto dopo un inseguimento con i carabinieri. Dopo. Non a causa dell’inseguimento. E per avvalorare questa ipotesi è stata menzionata anche la relazione della polizia locale dove, stando ad alcuni estratti resi pubblici, si parla di “contatto” o di una “strisciata” e del fatto che questo “contatto” sarebbe avvenuto prima dell’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta e quindi a distanza dal punto in cui lo scooter è poi finito contro il palo della segnaletica.

Sono gli amici e i conoscenti di Ramy a non credere che la morte del 19enne sia una fatalità. Quegli amici e conoscenti che abitano a Corvetto, quartiere periferico a sud di Milano, e lo stesso in cui il ragazzo viveva con la sua famiglia. Nelle ore successive il tragico episodio, arrivano le proteste: cassonetti bruciati, sassi contro gli autobus, fumogeni. Il Corvetto pretende  verità: urla, strepita e sbraita. Successivamente il padre del giovane chiede che non si ricorra alla violenza.

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Sono quelle grida che accendono i riflettori sulla morte di Elgaml, che spingono a chiedere cosa possa essere successo. È la voce di alcuni di loro, che erano presenti al momento dell’incidente e che ne hanno raccontato di aver immortalato diversi momenti, che hanno denunciato come i carabinieri, quella notte, avrebbero chiesto proprio a questi giovani di cancellare i video. Quei militari sono adesso indagati per depistaggio, falso e favoreggiamento personale.

Ed è il fatto stesso che quegli uomini in divisa avrebbero chiesto di eliminare quei frame che ha sollevato qualche dubbio: Perché lo avrebbero fatto? Di che cosa avrebbero avuto paura? La risposta potrebbe essere arrivata ieri, martedì 7 gennaio: è il video che mostra la gazzella dei carabinieri che travolge quello scooter.

Le immagini sono state registrate da alcune telecamere di sorveglianza installate in città e dalle dash-cam sulle automobili dei carabinieri. E quest’ultimo elemento potrebbe essere la dimostrazione di come queste siano fondamentali per il controllo dell’operato delle forze dell’ordine.

In quei frame si vede chiaramente come l’automobile dei militari spinga contro un palo e uccida Ramy. Quelle immagini dimostrano come nessuno sembra aver considerato che su quel motorino ci siano due vite.

Anzi. Sembra quasi che i protagonisti credano di essere in un videogioco: “Vaff*** non è caduto”, “No merda, non è caduto”, “È caduto, bene“. Ma nella realtà un ragazzo di soli 19 anni è morto. E il suo caso ha rischiato di passare in sordina, di essere dimenticato, di essere etichettato come una fatalità. Le immagini dimostrano come la sua morte non sia avvenuta dopo un inseguimento, ma sia stata causata dall’inseguimento stesso.

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Dopo la loro diffusione, non è più possibile restare indifferenti. Non si può più stare in silenzio. Non lo può fare la politica locale, regionale e nazionale e non dovrebbe farlo la stessa Arma dei carabinieri. Se il capo di imputazione del carabiniere indagato per omicidio stradale in concorso cambierà e se saranno indagati altri militari lo deciderà la Procura di Milano. Ma nel frattempo riecheggiano le voci degli abitanti del Corvetto che hanno sicuramente permesso di non lasciare che la morte del loro amico venisse insabbiata. Quelle stesse voci che hanno continuato a chiedere giustizia e verità per Ramy.

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Giornalista professionista da novembre 2021 e vice capo area della cronaca di Milano di Fanpage.it. Scrivo di cronaca nera e giudiziaria, ma prevalentemente di temi sociali, in particolare: condizioni carceri e Cpr, disagio minorile e tematiche legate al mondo del lavoro.





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