Zuckerberg si genuflette a Trump e apre a più odio social

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Ve li ricordate quando annunciavano una scazzottata sul web? Si erano ripromessi una battaglia fisica vis a vis, un incontro di Mma mai andato in scena (naturalmente). A vederli ora uno alla sinistra e uno alla destra dell’uomo più potente del mondo fa quasi sorridere. Certo, Elon Musk non ha mai nascosto le sue simpatie per Donald Trump, e ne è stato il più generoso finanziatore nella lunga corsa che lo ha portato a essere incoronato come 47º Presidente degli Stati Uniti d’America. Che anche Mark Zuckerberg sia ora un ‘bimbo del presidente’, invece, stupisce forse un po’ di più. Difficile dire se la ‘genuflessione’ di Mr. Facebook al cospetto del tycoon sia dettata da timori e interesse personale, ma a essere maliziosi non è poi così complesso tirare le somme.

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Mark Zuckerberg si inchina a Trump


Ma facciamo un passo indietro. Martedì 7 gennaio, Mark Zuckerberg annuncia una serie di modifiche alle politiche di moderazione dei contenuti sui social da parte di Meta, galassia che ingloba Facebook, Instagram e il meno quotato Threads: stop al programma di fact-checking introdotto nel 2016, basato su organizzazioni terze indipendenti che valutavano post apparentemente falsi e propagandistici, etichettandoli come inaccurati e offrendo al contempo agli utenti maggiori informazioni. Via libera, invece, alle cosiddette ‘community notes’: si tratta di un sistema introdotto da Elon Musk dopo l’acquisto di Twitter (ora X), che coinvolge utenti con punti di vista differenti su diverse questioni, i quali aggiungono contesto o chiarimenti a post possibilmente controversi. Zuckerberg gioca a carte scoperte sul tavolo, e in un video diffuso sui propri canali parla di “libertà di parola”, “tempo di tornare alle nostre radici”, “ripristino delle libera espressione”. Plagia, per così dire, i cavalli di battaglia tanto cari a Musk prima di mettere le mani su Twitter e successivamente nel corso del suo fallimentare processo di ristrutturazione interna di quello che da molti era considerato il “salotto dei radical chic”.


Via libera al sistema Musk


Proprio da X arriva l’endorsement (con un velo di sfottò, com’è nella natura del personaggio) di Elon Musk a Zuck, tra un this is cool (‘che figo’) a commento delle notizie dei principali media che riportano online il cambio di passo delle politiche di Meta, e commenti di scherno, perlopiù con emoji e acronimi (lollmaoo), a chi sottolinea le critiche degli esperti di disinformazione alla decisione di porre fine al fact-checking.


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Elogi (anche in questo caso velati di ironia, ma neppure troppo velati) sono arrivati da Donald Trump: rispondendo alle domande di alcuni cronisti nel corso di una conferenza stampa, il nuovo presidente a stelle e strisce ha dichiarato: “Penso che abbia fatto molta strada”, non nascondendo, tuttavia, che la svolta possa essere arrivata sulla scorta delle sue passate minacce a Mr. Facebook. Bisogna ricordare che il programma di fact-checking era stato introdotto anche per il presunto uso che gli agenti russi avevano fatto di Facebook nel 2016 per spingere la campagna presidenziale di Trump; nel 2021, invece, era stata messa in atto una stretta ulteriore a seguito dell’attacco a Capitol Hill e la disinformazione in merito a diffusione e contrasto al covid, con il ban per due anni di Trump da Facebook (e altri social network). Ciò che ne è seguito è storia, tra avvertimenti, denunce, indagini congressuali, fino a quando, oltreoceano, è cambiato il vento. Si registra così ora un primo allineamento, una ‘trinità’ in nuce composta dall’uomo più potente del mondo al vertice, l’uomo più ricco del mondo al suo fianco, e l’uomo che controlla i social più influenti nel mondo che veste i panni di moderno vassallo, che guarda agli interessi delle proprie aziende, rimanendo assoggettato al signore.


Come cambierà Facebook con Trump


Zuckerberg palesa senza mezzi termini la volontà di avvicinarsi all’amministrazione Trump: “Le recenti elezioni sembrano un punto di svolta culturale per dare nuovamente priorità alla libertà parola”. E punta poi il dito contro il sistema di fact-checking che sarà smantellato in prima battuta negli Stati Uniti, e con gradualità anche in tutti gli altri Paesi. “Stiamo commettendo troppi errori, frustrando i nostri utenti e ostacolando troppo spesso la libera espressione che ci eravamo prefissati – spiega il Ceo di Meta -. Abbiamo costruito sistemi complessi per moderare i contenuti, ma il problema dei sistemi complessi è che commettono errori. Se per sbaglio viene censurato anche solo l’1 per cento dei post, si tratta di milioni di persone. Siamo arrivati a un punto in cui ci sono troppi errori e troppa censura”. Zuck si cosparge così il capo di cenere e prosegue nel tentativo di distendere i rapporti avviato lo scorso novembre nell’incontro con Trump nella sua dimora a Mar-a-Lago in Florida di Trump, e successivamente con la donazione di 1 milione di dollari al fondo per la cerimonia di insediamento del presidente eletto.


Quali sono ora le conseguenze? Si parte con il taglio delle restrizioni a temi delicati come l’immigrazione e il genere, come confermato dallo stesso Zuckerberg. La corsa all’inclusività viene messa alla gogna perché, secondo il capo di Meta il fact-checking “è stato sempre più utilizzato come un modo per mettere a tacere opinioni e persone che la pensano diversamente”. Se da una parte ci sarà possibilità di esprimere con maggior libertà le proprie opinioni, dall’altra, il rischio concreto è quello di fomentare l’odio razziale e verso le diversità, checché se ne dica. Sostituire invece il sistema del fact-checking con quello delle ‘community notes’ rischia di ostacolare la battaglia avviata negli ultimi anni contro la disinformazione online. Alcuni report, lo scorso anno, avevano messo in evidenza come il sistema adottato da X (e ora da Meta) non riuscisse davvero a frenare il fiume delle bugie sulla piattaforma.

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Ripercussioni negative saranno inevitabili. Il netto cambio di paradigma di Zuckerberg – osservano analisti ed esperti – rischia di favorire gli interessi politici della stessa amministrazione Trump, così come la diffusione di fake news su temi delicati quali il cambiamento climatico e la salute pubblica. C’è poi chi si chiede come il nuovo modello di moderazione possa essere pronto a gestire la velocità con cui la disinformazione viaggia sul web, a maggior ragione di fronte all’incalcolabile quantità di contenuti che vengono condivisi ogni secondo in giro per il mondo. Gli utenti che partecipano alla moderazione che ‘qualifica’ hanno per distinguere tra fatti e opinioni? È possibile il sorgere di gruppi in cui ci si dia man forte per rendere credibili contenuti palesemente falsi? Gli interrogativi non finiscono qui, ma danno un quadro, pur approssimativo, del caos che potrebbe scoppiare da qui a pochi mesi.






















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