Antenne e spaghetti, la carta di Elon Musk nella trattativa Sala

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Il giorno dopo il rientro in Italia di Cecilia Sala è già tempo di racconti e nuove rivelazioni. Affidati al suo podcast, Stories, i primi, frutto di indiscrezioni e tasselli mancanti i secondi. In particolare emerge come un’ombra il ruolo che Elon Musk avrebbe potuto avere nella trattativa.

Sono confusa, felicissima, mi devo riabituare, mi devo riposare, non ho dormito per l’eccitazione e la gioia. Sono molto contenta. Cecilia Sala

Secondo Il Post, testata dove scrive il compagno della giornalista, Daniele Raineri: «sembra possibile che nelle complesse trattative per la liberazione di Sala abbia avuto un ruolo anche Elon Musk, anche se ancora non è chiarissimo quale esattamente». Il quotidiano online ricostruisce così i contatti della famiglia con il magnate sudafricano diventato il braccio destro di Donald Trump: «Musk aveva ricevuto informazioni direttamente dalla famiglia di Sala il 29 dicembre, dieci giorni dopo l’arresto. Dopo che Meloni aveva visitato Trump e la vicenda di Sala sembrava vicina a sbloccarsi, la madre di Sala, Elisabetta Vernoni, aveva ringraziato Musk tramite il suo portavoce italiano, Andrea Stroppa, attribuendogli un ruolo negli eventi e dicendogli che in una sua prossima visita in Italia avrebbe cucinato a Musk un piatto della cucina italiana a sua scelta. Musk le ha risposto poco fa, sempre attraverso Stroppa, che mangerà qualsiasi cosa preparerà per lui Vernoni».

SARÀ STATO contento di questa corrispondenza culinaria il ministro Lollobrigida che qualche mese fa aveva caldeggiato il valore pacificatore del cibo made in Italy e si era chiesto «quante guerre non ci sarebbero state di fronte a cene ben organizzate?». Ora, non si è trattato di una guerra, ma l’affaire Sala ha coinvolto due Paesi che dal 1978 sono sempre stati nemici, con picchi di tensione altissimi e ora, a seguito delle operazioni belliche di Israele in quasi tutto il Medio Oriente, sono di nuovo ai ferri corti. Stati Uniti e Iran sono due nemici storici e il nodo degli arresti mirati, degli scambi di prigionieri e delle trattative segrete è sempre stata la cifra del rapporto tra lo stato egemone della Nato e il governo degli ayatollah. Tanto da spingere gli iraniani, dopo le dichiarazioni di Trump sulle possibili annessioni di Groenlandia, Canada e Messico a scrivere su X a scrivere che «l’Iran è pronto ad assistere» gli stati minacciati «contro le aggressioni e il terrorismo Usa».

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IN UN CLIMA del genere, con i generali israeliani che continuano a monitorare gli obiettivi strategici iraniani per capire dove colpire per arrecare i danni maggiori e Trump che ha promesso no mercy, nessuna pietà, a Teheran, l’arresto di Sala è diventato un piccolo tassello di una storia molto grande. Da questa valutazione nascevano le preoccupazioni maggiori per la sorte della giornalista del Foglio e di Chora media, e da un ulteriore scadenza incombente: l’insediamento di Trump alla Casa bianca il 20 gennaio. Quando la premier Meloni è volata alla residenza del tycoon a Mar-a-lago, all’insaputa di tutti, persino del ministro degli Esteri Tajani ma non dell’«uomo in Italia di Musk», Stroppa, le analisi sulla possibile moneta di scambio offerta alla prossima amministrazione statunitense si sono concentrate tutte su Starlink e l’accordo da 1,6 miliardi euro che Roma potrebbe firmare con il patron di SpaceX.

DURANTE la conferenza stampa di inizio anno, ieri Meloni ha smentito questa indiscrezione (pubblicata a ridosso della visita da Bloomberg), ma in questi giorni i rappresentanti della maggioranza (e il ministro della Difesa) hanno iniziato a parlare sempre più insistentemente di quanto sarebbe importante Starlink per l’Italia. Quasi come se avessero ricevuto uno dei famosi «ordini di scuderia» da palazzo Chigi. Dunque non si può considerare una mera congettura il fatto che Musk abbia avuto un ruolo nella vicenda di Cecilia Sala, anche se al momento non ci sono prove e la coincidenza della liberazione della giornalista con l’accordo per la fornitura di Starlink e la cyber-sicurezza potrebbe anche essere frutto di qualche fortuito incrocio astrale. È un fatto, tuttavia, che a Musk faccia gioco lasciare questa indefinitezza alle tesi dei cacciatori di retroscena. In questo modo l’aura di super-uomo che tutto può si accresce e si ammanta di una nuova veste da salvatore della (altrui) patria. Allo stesso modo, rientra nei piani di Meloni accreditarsi agli occhi del mondo come interlocutrice privilegiata del duo Trump-Musk. Un contesto così favorevole, catalizzato dal rientro in Italia della reporter, che nessuno dei protagonisti vuole rovinare. Per ora.

AL DI LÀ DEI RETROSCENA non si può non gioire per il primo giorno di libertà di Sala che ieri si è profusa in una lunga intervista-racconto con il direttore di Chora, Mario Calabresi. Le difficoltà della prigionia, i momenti più duri, la solitudine e le difficoltà di questi ventuno giorni si trovano lì, raccontate con il classico stile di questi podcast che mirano a far empatizzare l’ascoltatore il più possibile, come se fossero uno dei tanti contesti di crisi visitati dalla giornalista. Ci vorrà del tempo, forse molto, per «rimettere insieme i pezzi» come dice Sala e in questo «la voglia raccontare» che è «tantissima» l’aiuterà sicuramente.



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