Ex Ilva, in pole Baku Steel con più partner italiani

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Per l’ex Ilva è il momento della verità. Alla mezzanotte di oggi scadrà il termine per presentare ai commissari straordinari di Acciaierie per l’Italia le offerte di acquisto degli impianti siderurgici. In primis Taranto e poi altri siti minori tra la Campania e il Nord Italia, per un valore fino a 1,5 miliardi. E in pole position per la cessione ci sarebbero gli azeri di Baku Steel. Che, come anticipato da Il Messaggero lo scorso 22 settembre, potrebbero poi mettersi d’accordo con Marcegaglia e altre imprese italiane, interessate agli impianti più piccoli. Opzione per cui preme il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, evitando il cosiddetto “spezzatino” degli stabilimenti, che non piace nemmeno ai sindacati e chiudendo la partita entro l’estate.

LE RICHIESTE
Questa di oggi è l’ultima deadline dopo la proroga di quella originale, dello scorso 30 novembre. Baku Steel, che punta ad acquisire il 100% del capitale di Acciaierie per l’Italia, fa leva sulla possibilità di portare una nave rigassificatrice a Taranto per abbattere i costi dell’energia, più alti in Italia rispetto ad altri Paesi Ue. Costi che sarebbero considerati un elemento di forte rischio industriale dal principale dei competitor, il gruppo indiano Jindal Steel, che in via informale ha chiesto al ministero delle Imprese degli aiuti ad hoc. Anche usando gli 1,5 miliardi di vecchie agevolazioni, per lo più contratti di sviluppo, che erano stati pensati nell’era fallimentare ArceloMittal-Invitalia. Sia gli azeri che gli indiani hanno poi chiesto chiarimenti sul miliardo messo in campo dallo Stato per la decarbonizzazione degli impianti, destinato allo stato attuale a Dri Spa (controllata di Invitalia) per favorire il nuovo acciaio green.

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Il tema dell’energia è stato posto anche dagli altri candidati, ma il governo non vorrebbe impegnarsi su possibili aiuti prima della fine della gara. Si è ristretta la rosa delle prime 15 manifestazioni di interesse che era emersa a ottobre. Facendo così scemare le quotazioni dei canadesi di Stelco Holding, degli ucraini di Metinvest (che hanno appena investito due miliardi a Piombino) e del fondo americano Bedrock Industries (che potrebbe però aggiungersi in extremis per reinvestire la liquidità derivante dalla cessione proprio di Stelco). Mentre la big giapponese Nippon Steel non sembra essere mai stata davvero della partita.

Il gruppo Marcegaglia, invece, dovrebbe lanciare una doppia offerta: una con Sideralba per il sito di Salerno e una con Profilmec per lo stabilimento di Racconigi (Cuneo). La cremonese Arvedi, finora ai margini della trattativa, potrebbe quindi valutare un ingresso all’ultimo minuto, ma per ora non risulta in campo. Le aziende italiane, comunque, accetterebbero volentieri la vendita separata degli asset di Acciaierie per l’Italia. In passato, ad esempio, Sideralba aveva già acquisito pezzi della vecchia Ilva, ma di fronte a l’obbligo di mettersi d’accordo sarebbero pronte al dialogo con un partner straniero di maggioranza.

GLI OBIETTIVI
Una volta aperte le buste, infatti, i commissari Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli dovranno valutare la congruità ‘tecnica’ delle proposte. Un lavoro articolato, che non esclude la possibilità, per i player in corsa, di rilanciare, migliorare i piani e fare una cordata tra loro. Poi starà al governo decidere, anche ricorrendo al golden power per blindare la cessione. Governo che, anche per prendere tempo, ha nel frattempo aumentato il prestito ponte per l’ex Ilva a 420 milioni.

Secondo alcune indiscrezioni Acciaierie avrebbe prodotto 2 milioni di tonnellate di acciaio nel 2024, facendo scattare per i dipendenti un bonus in busta paga del 2%. Ma a pieno regime l’Ilva produceva 8 milioni di tonnellate di acciaio: la ripartenza di tutti gli altiforni e il rilancio produttivo deve avvenire al massimo entro l’anno. I sindacati vorrebbero che lo Stato mantenesse una quota del 40% del capitale di Acciaierie a “garanzia” della riconversione green e dei 10mila lavoratori (di cui 4mila in cassa integrazione). Ma Urso preferirebbe vendere tutto ai privati e imporre ai compratori paletti obbligatori su investimenti, occupazione e decarbonizzazione.

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