Il giallo della cartiera di Capannori: non era un incidente sul lavoro né un malore ma un omicidio. Gli hanno sparato

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di
Simone Dinelli

Il giallo in azienda in provincia di Lucca. Prima sembrava un incidente sul lavoro, poi si è parlato di infarto. Invece era un proiettile. Fermato un sospetto: si è auto accusato di fronte ai carabinieri (ma non si trova l’arma del delitto)

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Né un incidente sul lavoro, né un malore: la causa della morte di Artan Kaja, un uomo di 52 anni di origini albanesi e titolare di una piccola ditta di movimentazione mezzi, è un omicidio con un colpo di arma da fuoco. Nel tardo pomeriggio di giovedì la clamorosa svolta su un caso che circa 48 ore prima – nella serata di martedì – era stato apparentemente classificato come un decesso per cause naturali, avvenuto all’interno della cartiera Smurfit Kappa di Lunata, frazione del comune lucchese di Capannori. I carabinieri, dopo serrata indagini andate avanti senza sosta, hanno fermato un uomo sospettato di aver sparato all’imprenditore.

È stato lui stesso la mattina seguente a presentarsi dai militari in compagnia di un avvocato, autoaccusandosi dell’accaduto. Ma i carabinieri non hanno voluto saltare a conclusioni affrettate e, prima di fermarlo formalmente, hanno voluto verificare a fondo la fondatezza di un racconto apparso sulle prime alquanto confuso. Il presunto omicida ha spiegato di aver scavalcato un muretto di cinta dell’azienda e di aver atteso Artan in una zona buia e deserta (perlomeno in quel momento) della cartiera, oltre che priva di telecamere di videosorveglianza. E qua ha premuto il grilletto.




















































Al momento non è stata ancora ritrovata l’arma del delitto. Il corpo senza vita di Kaja era stato rinvenuto poco dopo le 20 di martedì nei pressi di un deposito dell’azienda, riverso a terra. Artan Kaja, da tutti conosciuto come Tony, da molti anni lavorava all’interno della Smurfit come terzista: si occupava con il suo muletto di spostare pancali di materiale realizzato e utilizzato nella cartiera.

Martedì sera è stata la moglie Aurora a lanciare l’allarme, non vedendolo rientrare a casa in un orario in cui di solito l’uomo aveva già staccato dal lavoro. Due – tre telefonate a vuoto al cellulare e poi la decisione di recarsi di persona a verificare cosa stesse succedendo: la coppia – che aveva due figli di nome Manuel e Alessio – infatti viveva a poche centinaia di metri dall’azienda, che vede anche la donna impiegata nel settore delle pulizie.

E una volta sul posto, la tremenda scoperta: Artan riverso a terra, con una ferita alla testa, morto probabilmente già da diversi minuti. Sulle prime era trapelata l’ipotesi che quella ferita l’uomo se la potesse esser procurata cadendo a terra sull’asfalto, a seguito di un malore, vista anche l’assenza di testimoni oculari. Ma i successivi esami sul cadavere hanno evidenziato la presenza di un foro sulla testa, compatibile con un colpo di arma da fuoco. Per circa un giorno e mezzo i carabinieri hanno lavorato nel massimo riserbo, senza far trapelare nulla all’esterno dei riscontri in corso.

Poi, nel tardo pomeriggio di giovedì, il fermo dell’uomo autoaccusatosi dell’omicidio. Si tratta di un cinquantenne anche lui di nazionalità albanese, abitante nel comune di Capannori, autotrasportatore di professione. Stando a quanto emerso sinora, poche settimane prima fa i due avevano avuto un acceso diverbio per questioni lavorative: l’episodio di martedì sera potrebbe essere stato dunque dettato da una sorta di vendetta nei confronti della vittima.


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10 gennaio 2025 ( modifica il 10 gennaio 2025 | 11:46)

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