Impresa al femminile, le considerazioni di Pagni (Cgil)

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Pagni (Cgil): «positivo il 1° posto in Toscana e il 9à in Italia per incidenza dell’imprenditoria femminile. Ma ci sono ombre che bisogna avere il coraggio di vedere»

Grosseto: I buoni dati dell’imprenditoria femminile in provincia di Grosseto messi in evidenza dal recente dossier elaborato dall’ufficio studi della Cgia di Mestre sono senz’altro una notizia positiva. Essere la prima provincia della Toscana, e la nona in Italia, per incidenza percentuale delle imprese condotte da donne rispetto alla platea complessiva, è infatti un risultato rimarchevole per il nostro territorio. Che peraltro, purtroppo, dal punto di vista economico ha pochissimi motivi per gioire. Come nel caso del tasso di occupazione femminile (61,4%), che è ben 16 punti percentuali più basso di quello maschile (77,3%). E 4 punti percentuali sotto la media dell’occupazione femminile in regione.

Tuttavia, bisogna anche avere la lucidità, e perché no il coraggio, di andare oltre le apparenze e di dare una lettura “critica” di un dato che, pur rimanendo gratificante, nasconde alcune ombre.

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Se guardiamo le prime 10 posizioni in questa particolare graduatoria delle province italiane, vediamo infatti che 9 su 10, esclusa Grosseto, sono province del Sud Italia o delle isole: realtà che purtroppo sono tutte accomunate da un basso livello di sviluppo economico e di prodotto interno lordo. Esattamente ciò che le accomuna alla nostra realtà.

Un dato di fatto che induce a pensare come l’autoimprenditorialità femminile in queste aree sia l’unica alternativa alla disoccupazione, e non la semplice conseguenza di una diffusa propensione a costituire un’impresa da parte delle donne. In un mercato del lavoro dipendente che rimane rigido e poco accessibile alla componente femminile, infatti, soprattutto le giovani donne che ambiscono ad avere un’autonomia economica sono costrette in molti casi a “inventarsi” un’attività imprenditoriale, troppo frequentemente nella forma della partita Iva unipersonale. Questo, come è noto, dipende molto dal fatto che non sono ancora abbastanza diffusi i servizi all’infanzia e quelli di assistenza agli anziani che consentano alle donne di non dover continuare a sopportare il carico prevalente di queste mansioni, spesso rinunciando o dovendo ridimensionare le proprie aspirazioni lavorative. Anche in una realtà come la nostra che pure appartiene alla virtuosa Toscana. Per non parlare del gap retributivo fra uomini e donne a parità di mansione svolta o del fenomeno del part-time\involontario, che continuano a relegare tante donne in una posizione subordinata nell’organizzazione del lavoro.

Uno dei temi che questa riflessione richiama, riguarda la dimensione d’impresa nel nostro territorio. Voglio dire che oramai è ampiamente dimostrato che in termini imprenditoriali “piccolo non è bello”. Ma è sinonimo di despecializzazione, basso livello di formazione e competenze, bassa produttività e poca innovazione. Tutte caratteristiche che concorrono a marginalizzare le donne nel lavoro. In altri termini, le microaziende non possono continuare a costituire la base prevalente del nostro sistema d’impresa. Per cui, prima se ne prenderà atto, mettendo in campo strumenti più pregnanti per favorirne la crescita dimensionale, meglio sarà per tutti. A partire dalle stesse lavoratrici e imprenditrici, che proprio nei territori più dinamici sotto il profilo economico hanno tassi di occupazione più elevati. Pena continuare a perdere posizioni anche nel futuro prossimo nelle graduatorie dei macro-indicatori economici: Pil, valore aggiunto, retribuzione, consumi, reddito disponibile, reddito lordo e produttività.

Infine, un’ultima considerazione, agganciandomi a quello che ha detto la responsabile di Cna Impresa Donna, Paola Checcacci, sui “distretti di conciliazione”. Ragionare sulle vocazioni produttive di una città, per impostare una programmazione urbanistica che tenga conto della conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro, sviluppando servizi specifici che assecondino chi lavora semplificandogli la vita – trasporti, servizi all’infanzia, orari flessibili, ecc.. – è senza dubbio un modo concreto per aiutare le donne che lavorano. Valorizzandone il ruolo di protagoniste dello sviluppo economico, che tutti gli studi di settore hanno messo in evidenza quando le donne sono messe in condizioni di dare il loro apporto. 



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