Sanità, in Trentino ora si punta sui medici interni “a gettone”: dai 90 ai 100 euro per chi accetta di lavorare in Ps a Trento o nei punti nascita di Cles e Cavalese

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TRENTO. Dare un “gettone” ai medici che decidono di svolgere orari aggiuntivi al loro normale turno per riuscire a coprire le aree più critiche dove manca personale e dove l’Azienda sanitaria non riesce a trovarne. 

 

Fino ad oggi nessun intervento messo in campo dall’Apss è riuscito ad arginare la carenza di medici e nemmeno i soldi spesi per i gettonisti sembrano aver ottenuto i risultati sperati. La strada scelta sembra essere stata quella di ‘‘rincorrere l’emergenza” chiedendo ai medici che già svolgono il proprio lavoro all’interno degli ospedali di aggiungere più ore dandogli una sorta di “gettone”.

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Da fine dicembre ad oggi, sul proprio sito nell’area bandi l’Apss ha pubblicato tre avvisi (Qui i bandi): il primo riguarda la disponibilità da parte di dirigenti medici dell’Apss, titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e pieno e con rapporto esclusivo, per lo svolgimento di prestazioni orarie aggiuntive al fine di garantire l’assistenza medica specialistica alla Casa Circondariale di Spini di Gardolo.  “L’attività incentivata – viene spiegato nel bando – deve essere svolta oltre l’orario di lavoro (…), il professionista verrà retribuito con tariffa pari a 90 euro orari”. 

 

La stessa ricerca è stata pubblicata anche per lo svolgimento di prestazioni orarie aggiuntive al fine di garantire “il regolare ed efficiente” funzionamento delle unità operative di Ostetricia e Ginecologia degli ospedali di Cles e Cavalese, a decorrere dal mese di dicembre 2024 e fino al prossimo 31 marzo 2025. Anche un questo caso il “gettone” aggiuntiva è di 90 euro

 

Qui, già negli scorsi mesi, aveva fatto discutere il fatto che la carenza di personale specialistico aveva portato per la prima volta  l’Azienda sanitaria a rivolgersi ad una cooperativa di gettonisti. 

 

Lo stesso intervento anche per garantire il regolare ed efficiente funzionamento dell’Unità operativa di Medicina d’urgenza e Pronto Soccorso dell’Ospedale S. Chiara di Trento. Un settore nel quale più volte sono state sollevate diverse criticità. In questo caso, viene spiegato nel bando, “il professionista verrà retribuito secondo la tariffa prevista per l’acquisto di prestazioni orarie aggiuntive di Pronto Soccorso, pari a euro 100 orari”.  

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A parlare di “situazione critica della sanità trentina” è Giuseppe Varagone, segretario Uil Fpl Sanità del Trentino. Se da un lato c’è chi si preoccupa per i bilanci dall’altro Varagone spiega però che “l’introduzione del gettone di presenza per i medici interni rappresenta un passo importante verso la stabilizzazione dei servizi sanitari nelle aree montane”. Questo anche perché, secondo qualcuno, si evita l’esternalizzazione. 

 

Per il sindacato l’assenza di incentivi economici o di carriera potrebbe scoraggiare i giovani medici dallo scegliere specializzazioni come ginecologia e ostetricia o dal lavorare in zone remote. Offrire borse di studio, agevolazioni economiche e percorsi di carriera specifici potrebbe attrarre i giovani medici nelle zone montane.

Sempre in tema di spesa di unità di personale dipendente interessante è anche l’analisi fatta dalla Fondazione Gimbe.  Mettendo in correlazione, per l’anno 2022, le unità di personale dipendente con la spesa pubblica totale, la spesa per unità di personale a livello nazionale è pari a  57.140 euro, con un range che varia da 49.838 euro del Veneto a 81.139 euro della Provincia autonoma di Bolzano e con il Trentino che si trova al settimo posto con circa 61 mila euro, un valore anche questo superiore alla media nazionale. 

“Quest’inedito indicatore – ha commentato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – dimostra che l’ottimizzazione della spesa pubblica per il personale sanitario è stata gestita in maniera molto differente tra le Regioni. Non a caso, quelle più virtuose nell’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni registrano una spesa per unità di personale dipendente più bassa. Un risultato verosimilmente dovuto sia alla riduzione delle posizioni apicali, sia ad un più elevato rapporto professioni sanitarie/medici, che consente di ridurre la spesa mantenendo una maggiore forza lavoro per garantire l’erogazione dell’assistenza sanitaria”. 





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