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La nuova Commissaria europea per la transizione green e la concorrenza, Teresa Ribera, ha un curriculum di tutto rispetto in campo ambientale. Per ora non è compromessa dalle accuse per la catastrofe di Valencia, da cui si è difesa dicendo che il governo centrale, dove era ministro dell’ambiente e della sfida demografica, aveva diramato l’allarme rosso non tenuto in debito conto dalla autorità locali.
Minore è la sua esperienza in materia di concorrenza, dove la Presidente Von der Leyen ha già indicato, seguendo anche i consigli del Rapporto Draghi, di seguire le fusioni con maggiore attenzione alla loro capacità di creare innovativi protagonisti su scala mondiale, allentando i vincoli posti sulla concentrazione di mercato. “Il ruolo da svolgere in questo momento sulla concorrenza ovviamente non è esattamente lo stesso di prima, ma qualcosa deve evolversi e adattarsi alle circostanze” evitando incertezze e scossoni dovuti a cambiamenti dell’assetto normativo, ha detto la Ribera.[1]
Insomma, non bisogna ripetere i tira e molla che hanno caratterizzato e rallentato la vicenda Alitalia-ATI-Lufthansa. Continuerà lo scontro con i giganti del web, le piattaforme o gatekeeper, che per altro soffre di lentezza sanzionatoria, e ci sarà, probabilmente, più attenzione ai tentativi degli incumbent di acquisire le start up innovative o le nuove aziende di successo, con l’obiettivo di eliminare i concorrenti. “Dobbiamo tener fede ai principi della giustizia, dell’apertura e dell’efficienza ma adattandoli alle realtà del mercato di oggi…tenendo conto dell’innovazione e della futura competizione, ma anche della necessità di assicurare la resilienza a settori come l’energia, la difesa, lo spazio”[2]. Al di là della volontà politica della Commissaria, il contesto in cui si svolgerà il suo mandato è radicalmente diverso da quello in cui ha operato chi la ha preceduta, Margrethe Vestager.
La crisi dell’industria europea
La Vestager ha condotto in porto le normative sul mercato e sui servizi digitali, creando un nuovo campo di intervento della Commissione in materia di concorrenza, concentrato sui cosiddetti gatekeeper, le piattaforme di accesso ad internet ed ai suoi servizi. Poi, aveva dovuto fare i conti con il COVID, riducendo le restrizioni agli aiuti di stato e chiudendo un occhio sul procurement pubblico in regime di urgenza. Poi ha dovuto accettare il Chips Act europeo, sistema di sussidi ad un’industria che comunque è guidata da protagonisti non-europei e che tale rimarrà anche dopo l’iniezione di risorse pubbliche a sostegno dei meno efficienti e dei meno innovativi. Infine, ha dovuto affrontare la dibattuta politica di protezione dal dumping cinese sulle auto elettriche, dove la Commissione ha analizzato casa per casa (automobilistica) il livello di sussidi espliciti o impliciti che ricevono a vario titolo, per giungere ad una lista di dazi “personalizzata”, in cui sono compresi anche i grandi produttori occidentali e tedeschi in particolare, che hanno stabilimenti in Cina. Per questo motivo, e per il timore che la reazione cinese possa colpire l’import di auto a combustione interna di alta gamma (Mercedes, BMW, Porsche, Maserati, Ferrari etc,) la Germania è molto contraria all’introduzione di questi dazi.
Le guerre commerciali fanno molti danni, ai consumatori in primo luogo, a molte industrie in secondo luogo e creano improvvise rendite ai pochi beneficiari. Non sono uno strumento di stimolo all’innovazione, ma una difesa di posizioni di mercato già esistenti e dei margini di profitto di aziende già consolidate. Inoltre, se l’Europa intende raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientale anche attraverso la sostituzione dell’auto elettrica a quella a combustione interna, che senso ha penalizzare l’industria più avanzata del mondo nel campo della mobilità elettrica? Alle incertezze dei consumatori europei sull’acquisto di auto elettriche più che un aumento del costo dell’import dalla Cina, interessa l’estensione della rete di ricariche, lo smaltimento delle batterie, le regole sulla circolazione cittadina.
La politica dei dazi europea è più moderata di quella degli Stati Uniti, dove il presidente Biden ha introdotto dazi del 100% sulle auto cinesi, di fatto rendendole invendibili. Ma l’impatto delle misura americane di protezione del mercato interno non è diretto: di fatto poche auto elettriche cinesi sono vendute negli Stati Uniti. Sono piuttosto le reazioni cinesi che possono creare problemi, in particolare a Tesla, che già sta perdendo quote di mercato in Cina a favore di BYD. Qui si aprirà una partita tra Musk e Trump che forse può essere risolta solo da una delle capriole in cui entrambi hanno dimostrato la loro agilità.
Antitrust: fine della convergenza US-Europa
Negli anni recenti si è assistito ad un avvicinamento dell’antitrust americana alle posizioni europee. Allontanandosi dalla linea della difesa del consumatore ed avvicinandosi a quella della tutela delle aziende concorrenti dalle imposizioni dell’incumbent, negli Stati Uniti hanno preso forma interventi contro Big Tech simili a quelli adottati in Europa. Rimangono diversi gli strumenti dei due sistemi, più complesso quello attivato dalla Commissione Europea, affidato direttamente al giudice di merito quello americano. In questo avvicinamento, i sostenitori della tradizionale politica di intervento americana temono che l’antitrust guidata dalla Presidente della Federal Trade Commission (FTC), Lina Kahn, possa mettere il piombo nelle ali dell’industria innovativa americana, da Google ad Amazon a Microsoft ai nuovi protagonisti dell’intelligenza artificiale (AI). Questi osservatori invocano le famose 24 parole che hanno consentito, secondo una delle interpretazioni pop, la nascita di internet quale noi conosciamo. Ossia quelle che – nella riformulazione della norma sulla sicurezza e la decenza che guidano l’attività editoriale – hanno definito nel 1996 non-editori i fornitori di servizi digitali. Una “deregulation” che ha posto le premesse allo sviluppo della rete e della sua economia. Anche molti di coloro che riconoscono l’importanza di quelle scelte iniziali a favore dell’innovazione, nella fase successiva dello sviluppo delle grandi piattaforme hanno riconosciuto che il tradizionale argomento delle economie di scala, destinate a concentrare il potere di mercato da un lato e a portare benefici al consumatore dall’altro, venisse messo in discussione dal prevalere dei nuovi aspetti dell’economia di rete. La crescente asimmetria della posizione tra chi detiene i dati della navigazione e chi li fornisce con il proprio comportamento individuale, la manipolazione delle scelte commerciali e di advertising consentite dal la posizione di fornitore dei servizi commerciali, della pubblicità e dell’accesso alla rete, hanno convinto molti, anche negli Stati Uniti, che la regolazione europea è necessaria, per limitare il controllo e la manipolazione del mercato da parte dei gatekeeper.[3]
Ora che Trump, con il cane da guardia Musk, è stato eletto nuovo presidente, è assai probabile che l’orientamento della FTC e dei giudici ritorni alla tradizionale difesa degli interessi del consumatore, trascurando il tema della concentrazione di potere economico nelle mani dell’incumbent.
La divaricazione in atto
Quindi si allargherà la distanza che separa l’attività antitrust in Europa rispetto agli Stati Uniti. Persa questa convergenza, la nuova Commissaria alla Concorrenza e alla Transizione Ecologica incontrerà maggiori difficoltà nel perseguire e nel sanzionare big tech, che pure continueranno ad essere uno dei punti focali della sua azione. Sull’altra sponda dell’Atlantico è probabile che la nuova amministrazione Trump si concentri, nello scontro con la Cina, sui processori avanzati nel tentativo di rallentare la corsa cinese verso l’intelligenza artificiale e le sue applicazioni nei campi della sicurezza, della cybersecurity e della difesa. Big tech ha fatto una serie di gesti di appeasement con il candidato repubblicano durante la campagna elettorale memore di un Trump che durante la prima amministrazione dimostrò un astio tutto politico contro le aziende tecnologiche, all’epoca schierate a favore dei democratici. Come ha osservato Margrethe Vestager “i capi delle società tecnologiche si sono precipitati a congratularsi con Trump eletto presidente, perché nutrono la speranza che possa cambiare l’atteggiamento” del Dipartimento di Giustizia nel chiedere la separazione della attività di un gigante come Google[4]. Con le piattaforme in posizione politica defilata, quando non favorevole, l’attenzione di Trump si sposterà altrove.
La divaricazione tra Commissione Europea e l’antitrust americano crescerà. L’esito di questo allentamento della cooperazione strategica tra FTC e Commissione in materia di antitrust porterà ad un maggiore “impegno” dell’attività della Commissione nel cercare di favorire i “campioni europei” per portarli ad una dimensione tale da poter competere, con i concorrenti mondiali, come ha avuto modo di affermare la Ribera: “C’è una questione di dimensioni a livello internazionale. . . Penso che potrebbe esserci la necessità di migliorare le cose”. Le regole, secondo la Ribera, dovrebbero evolvere progressivamente, senza scossoni, ma in modo tale da favorire l’emergere di protagonisti continentali, capaci di misurarsi con le imprese della Cina e degli Stati Uniti.
I rischi dell’antitrust “orientata politicamente”
Sia negli Stati Uniti, sia in Europa, la stagione che si apre con la nuova amministrazione americana e con la nuova Commissione espone le attività di tutela della concorrenza in una posizione subalterna rispetto agli orientamenti politici. L’Europa attribuisce alla tutela della concorrenza un ruolo di promozione dell’industria europea, che non le pertiene. Il risultato di questo “impegno” nella politica industriale, i cui intendimenti sono rintracciabili sia nel Rapporto Draghi sia nelle dichiarazioni della Von der Layen e della stessa Ribera, sarà una minore efficacia degli interventi specifici. Ci sarà bisogno di più mediazioni con gli Stati membri in casi di merger, ci sarà maggiore lentezza procedurale, maggiore confusione sugli obiettivi di tutela del consumatore da preservare. L’impatto sulla capacità innovativa del sistema europeo sarà negativo ed aumenterà lo spazio per interventi di sussidio degli Stati membri. Insomma, i difetti emersi negli anni successivi alla crisi finanziaria e del COVID.
“Le politiche disegnate per promuovere i campioni nazionali o la maggiore autosufficienza non sono giustificate mentre le azioni volte ad assicurare accesso di mercato alle esportazioni europee sono preferibili alle azioni protezionistiche”[5].
Ma i cambiamenti cui abbiamo accennato produrranno effetti nei prossimi anni: “molti responsabili delle politiche di tutela della competizione sembrano completamente identificati con una comunità di praticanti della competizione, lobbisti di cui tengono in alta considerazione le opinioni”. [6]
Si tratta di un rischio che corrono soprattutto gli Stati Uniti. Ma il contesto europeo è più difficile e faticoso per le politiche della concorrenza. L’obiettivo primario, quello della costruzione di un mercato unico che consenta alle aziende di raggiungere dimensioni in grado di competere a livello mondiale, è un problema innanzitutto di standardizzazione. In America hanno definito gli standard tecnologici di fatto, grazie alla presenza dominante di aziende capaci di leadership mondiale. L’Europa fatica a raggiungere dimensioni paragonabili, in primo luogo perché le aziende domestiche si sono ritagliate spazi protetti all’interno dei sistemi nazionali, con le loro regole, i loro piccoli standard, le loro ridondanti e costose duplicazioni. In Europa il mercato è troppo segmentato per poter consentire facili cavalcate senza steccati e limitazioni. Il mercato unico, il grande obiettivo dell’Europa economica, è ancora lontano nei servizi, dalle banche, alle assicurazioni, dal digitale alle telecomunicazioni. La Ribera avrà occasione per cimentarsi con questi temi, se non si farà sommergere dalle pressioni degli Stati Membri.
Note
[1]) Henry Foy, Javier Espinoza and Alice Hancock, EU’s new competition chief: European companies must scale up for global fight, Financial Times, September 19, 2924.
[2]) Edith Hancpck, EU’s New Competition Chief Plans Policy Overhaul, Wall Street Journal December 10, 2024.
[3]) Si veda la rassegna condotta da Cabral, L., Haucap, J., Parker, G., Petropoulos, G., Valletti, T., and Van Alstyne, M ., The EU Digital Markets Act: A Report from a Panel of Economic Experts, The EU Digital Markets Act, Publications Office of the European Union, Luxembourg,
[4]) Adam Santarino, The World’s Pioneering Tech Cop Is Making Her Exit, The New York Times, Novembre 26, 2024.
[5]) Patrick Massey, Moore Mcdowell, EU Competition Law: An Unaffordable Luxury in Times of Crisis? World Competition Volume 44, Issue 4 (2021) pp. 405 – 432
[6]) Jan Broulík, Cultural Capture of Competition Policy: Exploring the Risk in the US and the EU.
World Competition, Volume 45, Issue 2 (2022).
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