[Korazym.org/Blog dell’Editore, 11.01.2024 – Ivo Pincara] – Il pm di Sassari Giovanni Caria ha chiesto il rinvio a giudizio per il Vescovo di Ozieri, Mons. Corrado Melis, per Antonino Becciu, fratello del Cardinale Angelo Becciu, e per altre sette persone, indagate dalla Procura di Sassari per riciclaggio e peculato. Secondo l’accusa, fondi dell’8 per mille alla Chiesa, destinati alla Diocesi di Ozieri – circa 2 milioni di euro in 10 anni – sono finiti dal 2013 nei conti correnti della Cooperativa sociale Spes di cui è responsabile il fratello del Cardinal Becciu. Viene contestato, dunque, il presunto uso indebito dei fondi CEI dell’8 per mille e la presunta distrazione di 100 mila euro che la diocesi di Ozieri ha ricevuto dalla Segreteria di Stato della Santa Sede. Nell’udienza preliminare l’8 gennaio 2025 davanti al gup del Tribunale di Sassari Sergio De Luca, il pm ha anche preannunciato la richiesta di sequestro preventivo per equivalente, finalizzato alla confisca, dei beni degli imputati per un ammontare di circa 2 milioni di euro.
«Nessuna delle persone offese – Stato italiano, CEI e Segreteria di Stato – ha mai segnalato o lamentato illeciti», sottolinea il difensore degli indagati, l’Avvocato Ivano Iai, in un comunicato che riportiamo di seguito integralmente, «né si è costituita parte civile nel processo, sebbene ritualmente citata». Nell’inchiesta della Procura di Sassari, aperta oltre tre anni fa e collegata a uno dei filoni di quella più nota conclusa in primo grado in Vaticano nei confronti del Cardinale Angelo Becciu e gli altri imputati, sono coinvolti anche il Direttore della Caritas di Ozieri, Don Mario Curzu, Giovanna Pani (compagna di Antonino Becciu), la figlia di quest’ultima Maria Luisa Zambrano, Francesco Ledda, Franco Demontis, Luca Saba e Roberto Arcadu.
«Nessuna distrazione di denaro è mai avvenuta per scopi privati», è la linea difensiva, che l’Avv. Iai sosterrà nella prossima udienza davanti al gup, fissata per il 3 febbraio prossimo. «La Spes è una cooperativa onlus della quale la Caritas e la Diocesi di Ozieri si servono per perseguire gli scopi di solidarietà e carità in favore e supporto di singoli, famiglie e, in generale, persone della diocesi», sottolinea l’Avv. Iai, «secondo criteri autonomi non sindacabili dall’Autorità italiana ma, eventualmente, dai soggetti latori dei finanziamenti che, nella specie, non solo non hanno mai rilevato anomalie di gestione, né contestato alcunché, ma hanno addirittura confermato, anno per anno, i contributi finora erogati».
Comunicato stampa della difesa
In relazione alle conclusioni del Pubblico Ministero, Dott. Giovanni Caria, rassegnate all’odierna udienza davanti al Gup del Tribunale di Sassari, Dott. Sergio de Luca, e con riferimento alle ipotesi accusatorie della Procura della Repubblica di Sassari sulla presunta distrazione di risorse destinate alla Diocesi di Ozieri, si comunica quanto segue.
Nel rispetto delle prerogative e delle determinazioni del Pubblico Ministero, occorre sottolineare, anzitutto, che si tratta di una mera richiesta di rinvio a giudizio proveniente dalla parte processuale titolare della pubblica accusa.
Agli argomenti esposti dal Dott. Caria nell’odierna udienza saranno contrapposti, nell’udienza di rinvio del 3 febbraio 2025, quelli delle difese degli imputati, per sottolineare l’insussistenza degli illeciti contestati, ossia il presunto uso indebito dei fondi CEI dell’8 per mille e l’asserita distrazione della somma di centomila euro che la Diocesi ha ricevuto dalla Segreteria di Stato vaticana.
In proposito, nel ricordare che sia la CEI, sia la Segreteria di Stato vaticana, ma anche il Ministero dell’Economia italiano non si sono costituiti parti civili nel processo, così non lamentando alcun illecito o danno in relazione alla condotta della Diocesi e dei suoi collaboratori, si sottolinea con estrema semplicità e al tempo stesso con la forza dei dati oggettivi e documentali, che ogni singolo centesimo dei fondi dell’8 per mille è stato utilizzato per scopi caritatevoli e solidali, mentre la somma ricevuta dalla Segreteria di Stato risulta ancora depositata in un conto bancario della Diocesi.
Nessun uso o distrazione di denaro è comunque mai avvenuta per scopi privati, tenuto conto che la Spes è una cooperativa onlus della quale la Caritas e la Diocesi di Ozieri si servono per perseguire gli scopi di solidarietà e carità in favore e supporto di singoli, famiglie e, in generale, persone della Diocesi, secondo criteri autonomi non sindacabili dall’Autorità italiana ma, eventualmente, dai soggetti latori dei finanziamenti che, nella specie, non solo non hanno mai rilevato anomalie di gestione, né contestato alcunché, ma hanno addirittura confermato, anno per anno, i contributi finora erogati.
Si confida, perciò, che rispetto alla visione dell’accusa possa essere più convincente la ricostruzione della difesa la quale, nonostante la complessità di una vicenda e la profonda sofferenza delle persone coinvolte, è fiduciosa di poter dimostrare l’uso corretto delle risorse ricevute, grazie alla documentazione esistente e alle modalità trasparenti di gestione, anche nei casi di aiuti alle povertà e lotta al disagio socio familiare per i quali, com’è nelle consuetudini della Chiesa, alle persone sono assicurati riserbo e rispetto della dignità.
In proposito, ferma restando la corretta modalità di impiego delle somme predette, occorre evidenziare l’irrituale ingerenza dell’Autorità italiana quanto alla gestione dei fondi dell’8 per mille, il cui controllo, di esclusiva pertinenza della CEI, non compete a soggetti diversi da quelli preposti al governo degli affari della Chiesa Cattolica, nel rispetto dell’art. 7 della Costituzione e del Concordato.
Per tale ragione, le difese sosterranno l’erronea qualificazione del reato di peculato e, ancor prima, l’erronea identificazione dei Vescovi italiani, secondo la pubblica accusa, quali pubblici ufficiali tenuti a rispondere allo Stato italiano e non alla Chiesa Cattolica.
Non si può, inoltre, sottacere la circostanza, peraltro già esposta dalle difese nelle precedenti udienze, dello strettissimo legame tra il processo in corso a Sassari e quello a carico di Sua Eminenza il Card. Angelo Becciu conclusosi, in primo grado, presso il Tribunale vaticano e oggi in fase di appello.
Numerosi atti e documenti del processo vaticano, infatti, sono stati acquisiti dalla Procura di Sassari e sono quindi rifluiti nel fascicolo del Gup: si tratta di atti e documenti relativi all’oggetto del processo in corso a Sassari, corrispondente a uno dei filoni dell’inchiesta vaticana sullo stesso Card. Becciu.
La connessione tra la richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Sassari e il processo vaticano (nella parte relativa alle presunte distrazioni di fondi asseritamente pubblici in favore della Cooperativa solidale di Ozieri Spes) ha, infatti, innescato un circolo vizioso realizzatosi con la rogatoria che ha visto intersecarsi le procedure vaticana e italiana e che ha di fatto determinato una sistematica violazione dei diritti di alcuni tra gli imputati nel procedimento: basti pensare al fatto che il verbale integrale della deposizione del Vescovo di Ozieri, escusso senza alcuna garanzia come testimone davanti al Tribunale vaticano, è rifluito nel processo sassarese, dove lo stesso Vescovo ricopre la qualità di imputato.
Già solo tale profilo è idoneo a inficiare di inutilizzabilità nell’ordinamento italiano tutti gli atti relativi alle testimonianze acquisite davanti al Tribunale vaticano in quanto assunti in violazione delle nostre leggi processuali.
L’ordinamento processuale vaticano – e ancor prima quello sostanziale – sono vecchi di oltre cento anni e non garantiscono, tra l’altro, i diritti fondamentali degli imputati e delle persone sottoposte a indagini, come invece avviene nel nostro Paese.
Gli atti acquisiti presso l’Autorità vaticana, ivi inclusa la sentenza di condanna del Card. Angelo Becciu, sono pertanto inutilizzabili alla stregua del nostro ordinamento, che non potrebbe mai riconoscerli giacché contrari ai principi costituzionali e della Convenzione europea dei diritti umani fondamentali firmata a Roma nel 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia (nel cui ordinamento opera come norma interposta tra la Costituzione e le leggi ordinarie), ma mai neppure firmata, invece, dallo Stato della Città del Vaticano.
Quest’ultimo – e i suoi ordinamenti sostanziale e processuale – sono tipici, infatti, degli Stati assoluti, retti da monarchi che non debbono rispondere ai principi democratici ma solo a sé stessi, tanto è vero che è consentito al Capo dello Stato di quel sistema politico di modificare, con propri rescritti, le norme procedurali disponendo che l’applicazione delle nuove operi anche con riferimento ai procedimenti in corso.
Quanto alla richiesta di sequestro preventivo per equivalente, preannunciata nell’odierna udienza al Gup de Luca, ci si limita a ribadire che alcuna delle persone offese, Stato italiano, CEI e Segreteria di Stato, ha mai segnalato o lamentato illeciti, né si è costituita parte civile nel processo, sebbene ritualmente citata.
Avv. Ivano Iai
Avv. Antonello Patané
Sassari, 8 gennaio 2025
Su Facebook, il fratello del Cardinal Becciu, Mario, ha commentato [QUI]: «L’errore sistematico predeterminato che ha visto far commettere il terribile gesto a Papa Francesco il 24 settembre 2020 di condannare senza processo e senza prove un innocente, si riversa inesorabile come palla di neve che scendendo a valle, dal Vaticano alla Procura di Sassari, diventa valanga di fango buttata addosso al Cardinale, alla sua famiglia, alla Diocesi di Ozieri, al suo Vescovo e ad alcuni sacerdoti e laici. Senza prove, il procuratore di Sassari riformula davanti al GUP le accuse fotocopia del Promotore di Giustizia del Vaticano. In più, porta avanti le temerarie quanto inverosimili ed erronee teorie sia sul Vescovo “pubblico ufficiale” dello Stato italiano sia sulla legittimità della magistratura di poter indagare e sindacare sulla gestione dell’8 x mille. La legge 222 del 20 maggio 1985, art. 47, 48 ribadisce chiaramente che è di sola pertinenza di una istituita commissione paritetica Stato-Chiesa. Mentre in Vaticano, come abbiamo potuto amaramente constatare, il PdG può agire ‘in deroga a tutte le norme vigenti’, in Italia ciò non è assolutamente possibile. Speriamo nella sapienza e correttezza del giudice terzo. Per nostra fortuna, il filone sardo dell’inchiesta non prevede come giudice il Dott. Pignatone! Che dire poi del silenzio dei Vescovi italiani e della stampa cattolica su un caso così foriero di gravi conseguenze per la Chiesa italiana?».
Considerazioni sul caso Becciu
La procura non può mettere il naso nella gestione dell’8 per mille
L’inchiesta a carico del fratello di Becciu e del vescovo di Ozieri per i fondi alla coop Spes tira in ballo una questione fondamentale: può una procura contestare l’uso indebito dei soldi dell’8 per mille? Secondo gli esperti no. Ecco perché
di Nico Spuntoni
La Nuova Bussola Quotidiana, 10 gennaio 2024
Comincia male l’anno nuovo per il Cardinale Angelo Becciu. Se il 2023 si era concluso con la condanna del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e il 2024 era stato caratterizzato dalla deposizione delle motivazioni di quella sentenza, il 2025 si apre con la richiesta di rinvio a giudizio per suo fratello Antonino da parte della Procura di Sassari.
L’inchiesta venne aperta più di tre anni fa parallelamente a quella vaticana che ha portato nel frattempo alla condanna del cardinale per peculato a cinque anni e sei mesi in primo grado di giudizio. Oltre al fratello Antonino, il pm ha chiesto il rinvio a giudizio per il Vescovo di Ozieri, Monsignor Corrado Melis, il Direttore della Caritas locale, Don Mario Curzu e altre sei persone. Le accuse sono di peculato e riciclaggio per la gestione di circa 2 milioni di euro dei fondi dell’8 per mille destinati alla diocesi sarda.
Secondo il pm, sarebbe stato fatto un uso indebito di questi soldi dell’8 per mille perché nell’arco di dieci anni sarebbero finiti sui conti correnti riconducibili alla cooperativa sociale Spes di cui Antonino Becciu è responsabile. La cooperativa è la stessa protagonista dell’accusa costata il posto di prefetto della “fabbrica” dei santi e le prerogative cardinalizie a Becciu senior. Nell’udienza del 24 settembre 2020, infatti, il Papa disse all’ex Sostituto di aver perso la fiducia in lui proprio per la segnalazione che gli era stata fatta dal promotore di giustizia vaticano sui soldi alla cooperativa del fratello e non per la vicenda dell’immobile di Londra.
Nel filone vaticano, però, la stessa sentenza di condanna ha riconosciuto che i contributi da 25.000 e 100.000 euro partiti dai conti della Segreteria di Stato a quelli della Spes non sono stati spesi e ha ammesso la possibilità dell’utilizzo preventivato per finalità di promozione umana e integrazione sociale. La condanna è arrivata perché il Tribunale vaticano ha ritenuto illecita la donazione. Su questo stesso solco sembra essersi mossa la Procura di Sassari contestando il peculato ad Antonino Becciu e a Monsignor Melis per i soldi della CEI finiti sui conti della cooperativa.
Tuttavia, “sconfinando” le mura vaticane la questione si fa più complessa. Può, infatti, una procura italiana contestare ad una diocesi la destinazione di fondi dell’8 per mille? Lo scorso marzo Monsignor Melis aveva respinto le accuse sostenendo che «è trasparente e non negoziabile la finalità degli aiuti della CEI» e rivendicando di aver aiutato gli svantaggiati del territorio con le donazioni attraverso la Caritas diocesana e «attraverso il suo “braccio operativo”, la Spes, la cooperativa sociale di tipo B nata proprio per il reinserimento lavorativo di persone dai vissuti travagliati».
Nella tempesta una fede certa
Melis aveva dichiarato: «Sono tutti in queste attività professionali e caritative i 2 milioni di euro dell’8×1000 arrivati globalmente in questi 10 anni di lavoro con gli svantaggiati». Tra le attività di reinserimento sociale portate avanti dalla Spes e finanziate coi soldi dell’8 per mille ci sono un panificio, un forno e due vigne. Come avviene in questi casi, le spese fatte dalla cooperativa per questi progetti sono finite nel rendiconto generale delle destinazioni dell’8xmille. E in effetti la CEI non si è costituita parte civile nel processo.
Per questo il rinvio a giudizio di Monsignor Melis a Sassari non è cosa da poco. La materia, infatti, tira in ballo l’accordo di Villa Madama ed in particolare l’articolo 48 che riconosce alla Chiesa Cattolica l’utilizzo dei soldi dell’8 per mille «per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di Paesi del terzo mondo». Geraldina Boni, Manuel Ganarin e Alberto Tomer hanno fatto notare in un articolo scientifico sull’argomento pubblicato sulla rivista Stato, Chiese e pluralismo confessionale che «sarebbe paradossale e, per quanto qui preme, non in linea con quel self-restraint cui la Repubblica laica deve severamente attenersi nei confronti delle estrinsecazioni del sentimento religioso, che si andasse a sindacare come, da parte confessionale, vengano esaudite le esigenze di culto della popolazione, ovvero come la Conferenza Episcopale Italiana deliberi di concretizzare gli interventi caritativi. L’allocazione e l’uso dei fondi sono tassativamente limitati al raggiungimento di quegli scopi, ma sulle modalità pratiche e circostanziate di tale impiego ci si rimette alla libera discrezionalità della Chiesa, l’unica in grado di giudicare in proposito».
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