“È la più grande dal dopoguerra”

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“Il declino imprenditoriale che sta colpendo le Marche assume connotati drammatici”, scrive la Cna. E ancora: “Stiamo affrontando la più grande crisi dell’industria dal dopoguerra”, raccontano i sindacati. Non sono slogan politici, ma la fotografia di ciò che l’economia regionale sta vivendo. Un trend ormai consolidato, che nel 2024 è stato descritto dai tavoli al ministero su Fedrigoni e Beko, dalle parole del Papa, dalle istanze dei sindacati. Ma anche riportato dalla flessione delle attività segnalata dalla Banca d’Italia, dai dati statistici di Camera di commercio ed Ebam, dalle preoccupazioni manifestate dalla Cna, dall’aumento esponenziale della richiesta di cassa integrazione. Caro energia, guerre e tensioni internazionali, crisi dei mercati e una concorrenza sempre più globale: è la “tempesta perfetta” che rischia di travolgere il modello manifatturiero italiano e marchigiano. I dati, dicevamo. Nessuna regione in Italia, a novembre, ha perso in percentuale tante imprese rispetto al 2023 quanto le Marche: da 135.735 a 131.488 attive, 4.247 in meno, meno 3,1%. Chi si avvicina di più a livello tendenziale, spiega il report della Camera di commercio, è l’Abruzzo (-2,2%). I settori più colpiti, sempre secondo l’ente, sono commercio all’ingrosso e al dettaglio (-5,3%) e attività manifatturiere (-4,9%). La provincia più in rosso è Pesaro e Urbino. Il 48% delle imprese perse arriva infatti da qui (-6,3%). Seguono Ascoli (-2,5%), Ancona (-2,4%), Macerata (-1,8%) e Fermo (-1,6%). “Siamo preoccupati – spiega la Cna –, perché le conseguenze potrebbero essere devastanti per il tessuto economico e sociale”.

Bankitalia, a novembre, aveva detto: “L’economia marchigiana sta attraversando una fase ciclica caratterizzata da perdurante debolezza. Nell’industria è proseguita la flessione dell’attività. Le vendite sono diminuite nei principali comparti della manifattura regionale, in particolare nel calzaturiero”. Aumentano anche le ore di cassa integrazione (la fonte è l’Inps) chieste dalle imprese. Da gennaio a settembre, tra le aree dove la crisi morde di più, c’è Ascoli: qui l’aumento rispetto al 2023 è stato del 111,5%. A Pesaro e Urbino l’incremento ha toccato il 48,5%.

Le vertenze Beko e Fedrigoni sono i casi più grandi di crisi industriali. Il primo a Comunanza, nell’Ascolano, il secondo con Giano a Fabriano (Ancona). Ma in entrambe le situazioni sono stati aperti tavoli al Mimit e in Regione, con i sindacati in prima linea. Il gruppo turco ha annunciato di volere chiudere lo stabilimento di Comunanza, mettendo a rischio 332 lavoratori. Che sono scesi in piazza appoggiati dalle sigle sindacali e la mobilitazione si è allargata anche a livello politico: prima in Comune, poi in Provincia e in Regione, infine al ministero. Il ministro Urso ha minacciato di ricorrere ai poteri sanzionatori, o inibitori, previsti dalla golden power, se il piano industriale non cambierà. Vicinanza ai dipendenti è stata espressa anche da Papa Francesco. Più a nord, invece, il Gruppo Fedrigoni di Verona, leader mondiale nella produzione di etichette e carte speciali, sul caso Giano di Fabriano ha definito al Mimit – e in Regione – un accordo per scongiurare i licenziamenti: un anno di cassa integrazione straordinaria e ricollocamenti dei dipendenti di Giano. Biesse, azienda di macchine per la lavorazione del legno di Pesaro, ha chiuso la sede comasca di Alzate Brianza, ed Electrolux ha avviato dei contratti di solidarietà nel sito di Cerreto d’Esi.

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Il comparto della moda, infine, non è da meno: nel distretto fermano-maceratese le associazioni di categoria hanno lanciato vari allarmi e le percentuali sono andate tutte al ribasso (l’export giù del 9,2% in nove mesi), confermando una crisi che va avanti da tempo. L’Ebam (Ente bilaterale artigianato Marche) ha registrato nel 2024 un calo di imprese del 3% (-355) e di lavoratori del 4,2% (-2.624) sul 2023. I settori più colpiti sono la moda (-86 aziende, -6%) e il trasporto merci (-5,7%, -30 aziende). La ‘Risoluzione unitaria su crisi industriali’, atto di indirizzo votato all’unanimità dal Consiglio regionale, è la testimonianza che è stato un anno difficile.

“Nella nostra economia pesa molto, rispetto agli altri comparti, quello manifatturiero – spiega Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil –. Viviamo di piccole e medie imprese e siamo una regione orientata all’export. Le difficoltà dei mercati internazionali, le questioni geopolitiche, ma anche le scelte del sistema paese, hanno ricadute pesanti. Bisognerebbe prevenire le crisi, supportando il sistema delle imprese per cercare di accompagnarle nella transizione”. Sulla stessa linea Marco Ferracuti, segretario regionale Cisl: “Il modello di sviluppo marchigiano, che ha garantito per anni benessere e ricchezza alla regione, negli ultimi periodi ha visto dei limiti. Occorre una visione condivisa per accompagnare la necessaria trasformazione del sistema produttivo. C’è bisogno di un nuovo modello di sviluppo che sappia incrociare le grandi transizioni digitali e ambientali. Il protocollo d’intesa del benessere aziendale tra sindacati, Regione e parti datoriali è l’esempio che dobbiamo seguire”.

Nicholas Masetti



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