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L’incremento dei costi dell’energia potrebbe portare nuove sfide per l’economia europea nel 2025, complicate ulteriormente dalla possibile introduzione di dazi da parte degli Stati Uniti. Recentemente, è stato pubblicato l’ultimo dato sull’Indice PMI manifatturiero dell’Eurozona di dicembre, sceso leggermente da 45,2 a 45,1. La situazione è critica non solo in Germania ma anche in Francia, dove si è verificata la diminuzione più marcata (da 43,1 a 41,9), tornando ai livelli che non si osservavano dal maggio 2020. Abbiamo intervistato Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e professore di Economia industriale presso l’Università Cattolica di Milano, per un suo commento.
Qual è la sua visione dell’economia europea per il nuovo anno, considerando anche i dati recenti sulla manifattura dell’Eurozona forniti da S&P Global?
L’economia europea mostra una crescita molto limitata, influenzata da una Commissione Europea recentemente formata e da instabilità politica in Francia e Germania. Questi fattori, uniti alle incertezze legate alle politiche commerciali degli USA e agli aumenti dei prezzi del gas e dell’energia elettrica, prospettano un futuro in cui l’Europa potrebbe rimanere stagnante per almeno i prossimi sei mesi, senza grandi prospettive di progresso.
Quali rischi corre l’economia europea a causa dei possibili dazi imposti da Trump?
È complicato prevederlo, in quanto non è ancora chiaro fino a che punto le minacce di dazi siano effettive o parte di una strategia negoziale, specialmente dopo le dichiarazioni di Trump sull’acquisto di GNL e petrolio dagli USA da parte dell’Europa per evitare i dazi.
Quali conseguenze potrebbero derivare da un aumento prolungato dei prezzi energetici?
L’aumento dei costi di gas ed energia elettrica potrebbe aggravare ulteriormente una domanda interna già debole in molti paesi europei. Inoltre, potrebbe rilanciare una tendenza inflazionistica che sembrava in via di esaurimento e che era vista come una possibile soluzione per la ripresa economica fortemente colpita dalla crisi in Germania e altri paesi del nord Europa, come evidenziato anche dall’indice PMI manifatturiero, in particolare dalla situazione in Francia, e per una riduzione progressiva dei tassi di interesse da parte della BCE.
Questo scenario europeo influenzerà anche l’Italia?
Il panorama non è dei più favorevoli per l’Europa e, di conseguenza, anche per l’Italia, dove sarebbe opportuno concentrarsi su ciò che è possibile realizzare in queste condizioni difficili, piuttosto che sulle differenze tra le previsioni di crescita di qualche mese fa e i risultati effettivi.
L’indice PMI manifatturiero italiano di dicembre ha mostrato una crescita rispetto al mese precedente (da 44,5 a 46,2). Qual è la sua opinione?
Nonostante alcune difficoltà nel settore automobilistico e tessile, il resto del sistema manifatturiero italiano rimane dinamico e competitivo, con un export che si è mantenuto nonostante un contesto sfavorevole come quello del 2024. Tuttavia, l’industria italiana deve adattarsi e competere, senza poter realmente superare altri paesi che sono in declino. Non vi è crescita, solo una lotta per mantenere le quote di mercato, che potrebbero ridursi con l’introduzione dei dazi americani. Siamo in un periodo in cui è necessario lavorare sodo e resistere.
Quali sono le prospettive per l’economia italiana nel 2025?
Ci sono due principali fattori di resilienza per l’economia: la speranza che i consumi continuino a reggere, come dimostrato nel 2024, e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha già mostrato di poter contribuire significativamente alla crescita degli investimenti in edilizia non residenziale e altre infrastrutture.
Come valuta la situazione economica della Spagna, che sembra essere un’eccezione in Europa con tassi di crescita simili a quelli degli USA?
La Spagna, con un’economia guidata principalmente dal turismo, ha mostrato un notevole sviluppo negli ultimi due anni dopo un periodo di crescita più lenta. Tuttavia, rimane un paese con uno dei tassi di disoccupazione più elevati nell’UE e un reddito pro capite inferiore a quello italiano.
Con la conclusione del programma di riacquisto di titoli di stato da parte della BCE il 31 dicembre scorso, l’Italia rischia di essere colpita da problemi sui mercati finanziari francesi?
Non sembra esserci un rischio immediato di contagio, dato che l’Italia ha continuato a registrare importanti surplus primari grazie al suo piano di bilancio strutturale. Tuttavia, in questo momento, i titoli di stato francesi potrebbero non essere particolarmente attraenti, considerando anche l’aumento del debito pubblico francese di 70 miliardi di euro nel solo terzo trimestre del 2024. Forse sarebbe opportuno per Parigi cercare di convincere la BCE a riprendere il suo programma di riacquisto di titoli di stato al più presto.
(Lorenzo Torrisi)
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Tags: Donald TrumpInflazione
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