Roma, Spazio Diamante
INTORNO AL VUOTO
di Benedetta Nicoletti
regia Giampiero Rappa
scene Laura Benzi
costumi Stefania Cempini
luci Paolo Vinattieri
musiche Massimo Cordovani
assistente alla regia Michela Nicolai
realizzato con il contributo di Regione Marche – Assessorato alla Cultura
patrocinio I.N.R.C.A. Istituto Nazionale Ricovero e Cura a carattere Scientifico
Premio Impronta d’Impresa Marche “le donne lasciano il segno” Camera di Commercio delle Marche
produzione Bottegateatro Marche – Tf Teatro Teatro Menotti
Roma, 10 gennaio 2024
Intorno al vuoto di Benedetta Nicoletti, con la regia intensa e delicata di Giampiero Rappa, è un’opera di grande profondità emotiva che affronta il tema dell’Alzheimer attraverso la lente di un dramma familiare, trasformando la narrazione in un filo sospeso tra memoria e oblio.
La vicenda ruota attorno a Carol, docente universitaria di psicologia, che, colpita dalla malattia, perde progressivamente il contatto con la realtà e con la propria famiglia. Accanto a lei, la figlia Liz, aspirante attrice, e il marito Paul, noto ricercatore scientifico. Liz lotta per affermare la propria vocazione artistica, mentre Paul cerca di tenere la vita sotto controllo tra famiglia e lavoro. La malattia di Carol, tuttavia, scardina ogni certezza. La regia riesce a trasmettere con sensibilità il senso di smarrimento e frammentazione che accompagna l’Alzheimer. Le scelte scenografiche, con pannelli semitrasparenti che lasciano intravedere i personaggi in ombra, creano un effetto visivo suggestivo, evocando l’idea di una realtà sfocata, proprio come i ricordi che sfuggono.
I costumi sono in linea con l’atmosfera dello spettacolo. Carol indossa un abito beige con camicia, mentre nella fase avanzata della malattia le pantofole sottolineano la vulnerabilità della condizione. Paul veste un completo grigio, rigido e formale, riflettendo il suo carattere razionale e controllato. Liz, con un semplice abito, appare versatile, adatta sia al ruolo di figlia che a quello di dottoressa. Le luci, cupe e minimal, si limitano ad accendersi e spegnersi senza effetti particolari, contribuendo a creare un senso di disorientamento e sospensione, luci della memoria sfocata. Interessante la gestione della dimensione spazio-temporale, che si frammenta e si ricompone in scena con grande delicatezza. Vediamo i personaggi seduti a cena a New York, mentre, in un altro momento, assistiamo a Carol che annota nella sua agenda la disposizione della casa, come il bagno verde al piano superiore, un luogo che non è presente realmente in scena. Eppure, grazie alla potenza della narrazione, ai suoni, alla forza evocativa della messinscena, il pubblico riesce a vedere quei luoghi con estrema chiarezza, tra memoria e immaginazione, realtà e percezione alterata. I suoni e la musica accompagnano infatti con molta discrezione, evitando enfasi eccessive, ma sottolineando con delicatezza i passaggi emotivi più intensi, in sintonia con l’approccio minimalista della regia. Il cast offre un’interpretazione di grande equilibrio emotivo. La figlia-dottoressa colpisce per sensibilità, trasmettendo la sua fragilità e il bisogno di essere compresa. Carol, in un ruolo complesso e delicato, è interpretata con una delicatezza che lascia trasparire un profondo lavoro di studio, come se l’attrice avesse realmente toccato con mano la malattia. La sua delicatezza straziante restituisce con autenticità la fragilità di chi si vede sfuggire pezzi di sé. Paul, il padre, con toni rigidi e razionali, cede nel finale, svelando tutta la sua sofferenza repressa. I tre personaggi, pur mantenendo un dialogo continuo, appaiono come entità profondamente separate. Dialogano, si ascoltano, ma restano quasi isolati, ciascuno intrappolato nella propria prospettiva e nel proprio dolore. Questa distanza emotiva e fisica amplifica i momenti di maggiore tensione, rendendoli ancora più intensi ed evidenti, come se solo nei picchi emotivi riuscissero davvero a sfiorarsi, prima di tornare a perdersi nel proprio vuoto personale. Il momento di massima intensità è raggiunto nella battuta conclusiva, quando Carol, ormai lontana dalla realtà, ricorda un momento semplice, ma importante per la coppia. E in quel “pioveva”, in quell’attimo che tutto si scioglie: Paul, finalmente, abbandona la razionalità per parlare con il cuore, nella speranza che il ricordo di quella notte di pioggia possa restituire loro un frammento di connessione, anche solo per un istante. Intorno al vuoto è un’opera che esplora con profondità il dolore di chi vive l’Alzheimer e di chi assiste impotente alla perdita di una persona amata. È un racconto universale sull’importanza dei legami, della memoria e della comprensione reciproca. La capacità di rendere “visibile l’invisibile” fa di questo spettacolo un’esperienza teatrale stimolante. Al termine della rappresentazione, il pubblico è rimasto per alcuni istanti in un silenzio colmo di emozione, quasi sospeso, prima di sciogliersi in un lungo e commosso applauso, segno di quanto lo spettacolo fosse riuscito a toccare corde profonde e universali.
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