L’Inps fa marcia indietro sui tre mesi in più necessari dal 2027 per andare in pensione. Dopo il caos scatenato giovedì 9 dicembre – quando le simulazioni dell’ente nazionale di previdenza ipotizzavano che serviranno novanta giorni in più per pensionarsi rispetto ai 67 anni di oggi – stamattina per alcune ore il sistema è stato messo in manutenzione. Manutenzione “provvidenziale” perché una volta tornato operativo, secondo quanto riferito dalla Cgil, ecco che i cambiamenti sono spariti. I tre mesi in più sono stati tolti, tornando alla situazione precedente. Si andrà in pensione a 67 anni o in alternativa dopo 43 anni di contributi e non 43 anni e 3 mesi.
A quanto si capisce quella dell’Inps è stata quindi una fuga in avanti. I suoi sistemi infatti avevano inglobato le più recenti valutazioni dell’Istat sulle attese di vita e quindi aggiornato al rialzo l’età di pensionamento senza aspettare il governo. Affinché ci sia l’adeguamento dell’età per lasciare il lavoro, così come previsto dalla legge di Bilancio del 2011, serve infatti un decreto ministeriale. Decreto che attualmente non c’è. E i tempi per la scrittura del provvedimento si preannunciano già dilatati. Al più presto nell’autunno di quest’anno, al più tardi il prossimo.
L’ultimo aggiornamento nel 2023
L’ultimo decreto di adeguamento dei requisiti pensionistici è di ottobre 2023. Allora si decise di non prevedere aumenti per quest’anno e per il 2026. Dal 2027 la situazione potrebbe cambiare, ma serve una norma. Il caos scatenato dallo scenario anticipato dall’ente di previdenza apre ora la fase delle discussioni politiche. A caldo, non appena la Cgil ha lanciato l’allerta accusando Inps e governo di aver rivisto i requisiti, è intervenuto il leghista Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, che oggi a SkyTg24 ha rincarato la dose.
“Me la sento di dire tranquillamente che come Lega noi ci opporremo in qualsiasi modo a questo aumento di ulteriori tre mesi, come ci siamo opposti ai tre mesi di finestre che ogni tanto vengono inseriti in qualche contesto”, ha commentato, “Abbiamo tutto il tempo per trovare soluzioni perché non si possa aumentare”.
Fonti ministeriali spiegano che il pasticcio comunicativo avvenuto ieri non influenzerà i tempi con i quali scrivere il decreto ministeriale con cui far scattare i nuovi requisiti. Una parte della maggioranza già mette le mani avanti. La Lega si batte da tempo contro il meccanismo. Secondo quanto spiegato ad HuffPost da fonti governative si può “tranquillamente” normare la non applicabilità dell’aumento.
Forza Italia contro i tecnici
“Le scelte non le fanno i tecnici e i tecnicismi, le fa le politica. Vedremo, ne discuteremo: se ne parlerà all’interno della maggioranza e faremo come sempre la scelta migliore”, ha commentato il portavoce di Forza Italia, Raffaele Nevi. “Intervenire sul sistema pensionistico è una questione molto delicata, sono cose molto tecniche, si vedrà”.
Un modo per mettere le mani avanti rispetto agli attacchi dell’opposizione. Commenta Cecilia Guerra, deputata Dem ed ex sottosegretaria al Mef: “Nel pasticcio degli applicativi dell’inps, aggiornati prima del provvedimento che li doveva autorizzare, c’è solo una cosa da chiarire: quale è l’orientamento di governo e maggioranza sull’adeguamento dei criteri per l’accesso al pensionamento all’aumentata speranza di vita?”.
Dopo cinque anni di continui incrementi registrati tra il 2013 e il 2019, che hanno spinto la pensione di molti lavoratori più in là nel tempo di undici mesi, per effetto del Covid, che ha abbassato la speranza di vita e invertito le previsioni degli anni precedenti, è iniziata una tregua che durerà ancora fino alla fine del 2026.
Lo scorso ottobre era stato il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chielli, a spiegare in audizione sulla manovra che secondo i calcoli dell’istituto di statistica sulle prospettive della speranza di vita a 65 anni l’età del pensionamento salirebbe a 67 anni e tre mesi dal 2027, a 67 anni e sei mesi dal 2029, a 67 anni e nove a decorrere dal 2031 fino a balzare a 69 e sei mesi nel 2051. Altro che Quote 102, 103 e 104 o prospettive di uscite anticipate, che, al contrario, l’ultima legge di Bilancio ha penalizzato per contenere i conti pubblici e preservare la sostenibilità del sistema previdenziale.
I pensionometri
Su quelle stesse previsioni, che molto probabilmente saranno incorporate nei prossimi mesi nei documenti della Ragioneria di Stato, sono però costruiti i vari pensionometri, ossia i sistemi, sul modello di quello Inps, che calcolano e dicono ai lavoratori quando potranno smettere di lavorare. Questi sistemi, anche senza la necessità di un decreto, giocano un ruolo chiave nella vita di tutti i giorni di cittadini e lavoratori. Ad esempio è su queste previsioni che sindacati e aziende possono iniziare a contrattare le uscite. Partire dal presupposto che dopo il 2027 si continuerà ad andare in pensione a 67 anni, senza che ci sia un decreto che blocca quanto ipotizzato dall’Istat, senza contare i tre o sei mesi in più sarebbe sbagliato.
Le aspettative di vita a 65 anni calcolate da Istat sono poi utilizzate anche dalle assicurazioni per quanto riguarda le assicurazioni del ramo Vita. E sulle decisioni delle compagnie private non c’è bisogno di decreti.
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