PNRR, un confronto con il resto dell’Eurozona

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L’Italia è il Paese che ha ottenuto dall’UE la dotazione più consistente di fondi del piano NGEU. Dalle indicazioni comparative che si possono desumere dai dati europei (finanziamenti ricevuti sul totale della dotazione iniziale, numeri di milestone e target raggiunti) non sembra che l’Italia sia in particolare ritardo nell’attuazione del PNRR, in particolare se il confronto viene fatto con Paesi come la Spagna, il Portogallo e la Croazia, che hanno chiesto e ottenuto dotazioni analoghe in rapporto al Pil. Questa però è una modesta consolazione dal momento che, al 30 settembre 2024, i soldi effettivamente spesi sono stati 57,5 miliardi, pari solo al 29,6% del valore totale del PNRR (194,4 miliardi). Ciò significa che in soli due anni (2025-2026) dovrebbero essere effettuate quasi il 70% delle spese previste dal piano. Per tutti i Paesi il raggiungimento dei target entro la scadenza del 2026 è molto complesso, inoltre occorre tenere conto che il successo dell’intero piano NGEU, nonché la prospettiva di una riproposizione di un debito comune europeo alla luce delle nuove sfide di fronte all’UE, dipenderà moltissimo dalla capacità di realizzazione dei Paesi con i piani più rilevanti, ossia l’Italia e, in certa misura, anche la Spagna.

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Il quadro finanziario

Per la realizzazione del PNRR all’Italia sono stati assegnati 194,4 miliardi di euro, di cui 71,8 in sussidi e 122,6 in prestiti a lunga scadenza. Questi provengono dal fondo Recovery and Resilience Facility (RRF), il principale fra gli strumenti del piano Next Generation EU con cui la Commissione europea ha tracciato la rotta per la ripresa economica degli Stati membri in seguito alla crisi pandemica.[1]

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Per confronto, il totale della dotazione originaria del piano NGEU era di 807 miliardi, che si sono ridotti a 733 miliardi a seguito delle revisioni dei piani nazionali, avvenute non solo in Italia ma in quasi tutti i Paesi fra il 2022 e il 2024 in ragione principalmente dell’aumento dell’inflazione, in particolare dei prezzi energetici[2] (Fig. 1). All’Italia è quindi stata assegnata una dotazione pari al 27% del totale, una percentuale notevolmente superiore a quella del Pil (12,3%).[3] La ragione principale è che molti Paesi hanno deciso di non avvalersi dei prestiti.

Limitatamente ai Paesi dell’Eurozona, la quota del RRF assegnata all’Italia dopo le revisioni è pari al 37%: 194,4 miliardi su un totale di 531,65. Come mostra la Tav. 1, solo nove Paesi all’interno dell’Eurozona hanno scelto di avvalersi dei prestiti messi a disposizione dal RRF, anche se molti hanno incrementato l’entità di fondi richiesti negli anni successivi alla presentazione dei piani originali. Notevole è il caso della Spagna, per la quale i fondi stanziati sono più che raddoppiati principalmente a causa della decisione – presa in un secondo momento – di avvalersi dei prestiti europei a lunga scadenza. Si tenga inoltre presente che i valori in tabella rappresentano i fondi RRF allocati agli Stati membri per i propri piani nazionali di ripresa e non necessariamente il loro valore complessivo. Paesi come la Germania, per esempio, hanno deciso di avvalersi in misura più limitata delle risorse europee e di aggiungere risorse proprie per il loro piano di ripresa.[4] Da qui possono emergere piccole discrepanze confrontando gli stanziamenti europei con il valore dei singoli piani nazionali.

La Fig. 2 mostra l’entità dei fondi RRF, in rapporto al Pil, stanziati per i Paesi dell’Eurozona e ripartiti fra sussidi e prestiti a lunga scadenza. Per alcuni Paesi il valore dei sussidi concessi eccede il tetto massimo (basato su una formula che cercava di cogliere per ogni Paese l’intensità della recessione causata dalla pandemia) a causa dell’inserimento del capitolo REPowerEU. Per la Grecia e la Croazia, invece, l’ammontare di prestiti concessi supera il tetto massimo (6,8% del Reddito Nazionale Lordo) a causa di specifiche richieste motivate da circostanze straordinarie giudicate positivamente dalla Commissione.[5]

Come si vede, gli importi accordati sono molto diversi fra paesi anche quando vengono rapportati al Pil. La differenza principale è dovuta al fatto che, come si è notato sopra, solo nove Paesi si sono avvalsi dei prestiti.

Sommando prestiti e sussidi si ottiene la graduatoria della Fig. 3, che suggerisce che i Paesi con cui ha senso confrontare il caso italiano sono la Grecia, la Croazia, la Spagna e il Portogallo.

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I ritardi nell’attuazione dei PNRR

Ritardi nell’attuazione dei PNRR si sono verificati in tutta l’Eurozona e sono dovuti a diversi fattori. La Banca Centrale Europea, in una recente ricerca, evidenzia la ridotta capacità amministrativa di diversi livelli di governo negli Stati membri, le modifiche dei piani nazionali rese necessarie dall’ondata inflattiva provocata dall’invasione russa in Ucraina e i conseguenti colli di bottiglia della produzione registrati in diverse industrie.[6] Ora che questa fase di emendamenti si è conclusa, la Commissione europea si attende un’accelerazione dei lavori.[7]

I ritardi che osserviamo nel versamento delle rate sono dovuti sia ai ritardi con cui i Paesi presentano le richieste di pagamento rispetto al cronoprogramma originale (colonne blu nella Fig. 4), che a rinvii dell’erogazione degli importi: ciò si verifica quando un paese ha fornito alla Commissione prove insufficienti o imprecise circa il raggiungimento degli obiettivi propedeutici alla rata successiva, allungando quindi i tempi di accertamento e versamento (colonne ocra nella Fig. 4).[8]

Come si vede, ritardi nei pagamenti sono diffusi in tutta l’Eurozona, e oltre a ritardi nella presentazione delle richieste alcuni Paesi hanno subìto anche diversi rinvii nel versamento delle rate. È questo il caso dell’Italia, che a fronte di un ritardo contenuto nella presentazione delle richieste ha subìto notevoli ritardi nel versamento delle rate; in particolare, per la terza rata la richiesta è stata fatto nel mese di dicembre 2022 e l’erogazione è avvenuta solo 3 trimestri dopo.

Le erogazioni della Commissione

Del totale dei fondi assegnati, ad oggi l’Italia ha ricevuto un prefinanziamento iniziale di 25 miliardi di euro e circa 122 miliardi attraverso sei rate.[9] Questi si compongono di sussidi per 46,45 miliardi e di prestiti per 75,68 miliardi. Assieme le due voci ammontano al 63% dei fondi assegnati all’Italia. La Fig. 5 presenta il confronto con gli altri Stati dell’Eurozona. Come si vede, Francia e Germania risultano in testa, ma questi due Paesi avevano chiesto una quota molto piccola dei fondi disponibili (30,3 miliardi la Germania e 40,3 miliardi la Francia). Nel confronto con Grecia, Croazia e Portogallo, l’Italia non sfigura, dato che tutti questi Paesi si collocano fra il 40 e il 50%. La Spagna sta molto più indietro, dato che per ora ha ricevuto solo il 30% della dotazione complessiva.

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Un altro modo per valutare lo stato di avanzamento dei lavori dal punto di vista della Commissione fa leva sulla quota dei milestone e target conseguiti. L’attuazione del PNRR si compone di ben 621 fra target e milestone, riguardanti progetti di investimento (il 71% degli obiettivi totali) e riforme strutturali (29%). La Fig. 6 mostra l’avanzamento dei lavori nell’Eurozona in termini di milestone e target raggiunti. In seguito all’ultimo esame della Commissione, l’Italia ha raggiunto il 43% degli obiettivi definiti, la Spagna il 30% e il Portogallo il 32%. Anche in questo caso guidano la classifica Francia e Germania, il che però è poco significativo vista la dimensione ridotta dei loro piani nazionali.

Rivolgendo l’attenzione alla componente dei piani nazionali legata agli investimenti, la Fig. 7 presenta lo stato di avanzamento degli obiettivi corrispondenti nell’Eurozona. Sotto questo aspetto l’Italia si distingue positivamente, sebbene il numero di obiettivi raggiunti dipenda anche dalla granularità con cui ogni piano è formulato. Posto che sia la Spagna il termine di paragone più interessante per il nostro Paese, registriamo un avanzamento molto maggiore. Inoltre, stime della Banca d’Italia eseguite su dati disaggregati indicano che tra il primo trimestre del 2023 e il secondo trimestre del 2024 gli enti attuatori hanno compiuto notevoli progressi nello svolgimento dei lavori pubblici rispetto ai trimestri precedenti.[10]

Va peraltro considerato che i target concordati con la Commissione descrivono solo una parte di questo processo di reale implementazione. Frequentemente gli obiettivi si riferiscono a passaggi amministrativi o legislativi ancora distanti dal momento di spesa effettiva. Per quanto riguarda l’Italia, la Corte dei conti, nel suo ultimo rapporto annuale sul PNRR, scrive: “Se sul fronte del conseguimento degli obiettivi europei il percorso attuativo del PNRR si mantiene in linea con le scadenze concordate, dal lato dell’avanzamento finanziario, l’andamento della spesa sostenuta continua ad evidenziare scostamenti rispetto al cronoprogramma”.[11]

La sfida dei prossimi due anni

Anche dal punto di vista della spesa effettiva tuttavia non sembra che la situazione italiana sia molto diversa da quella degli altri paesi (Fig. 8). Secondo le stime della BCE pubblicate a dicembre 2024, dei fondi ricevuti tra il 2021 e il 2023 l’Eurozona ne ha assorbiti circa il 50%. L’Italia registra un valore superiore alla media (58%, pari a 45 miliardi su 103 miliardi ricevuti fino a dicembre 2023), e superiore alla Spagna (30%) e al Portogallo (28%).[12] Il dato per l’Italia è coerente con le stime della Corte dei conti secondo cui la spesa effettiva è stata pari a 45 miliardi fino alla fine del 2023 ed è cresciuta fino a 57,5 miliardi al 30 settembre 2024. La Corte dei Conti offre poi una valutazione rapportata all’intero piano (194,4 miliardi), anziché ai soli fondi ricevuti dalla Commissione in un dato periodo, per cui al 30 settembre la spesa effettiva risultava essere il 29,6% dei fondi complessivamente allocati all’Italia.

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In sostanza, l’Italia è molto lontana dall’obiettivo, ma il problema si pone anche per gli altri Paesi che hanno scelto di attuare piani molto rilevanti.

Per valutare l’entità della sfida, si consideri che un Paese che ad oggi ha raggiunto in tre anni (2022-2024) il 33% dei suoi obiettivi dovrà raggiungerne più del doppio nei successivi due anni se vuole usare per intero le risorse messe a sua disposizione. Si tratterrebbe di realizzare il doppio del lavoro in due terzi del tempo, cioè sostenere tre volte lo sforzo rispetto a quanto fatto finora.

Nel complesso, il giudizio che si può dare è che per tutti i Paesi vi sono notevoli ritardi nell’attuazione dei rispettivi PNRR, il che giustifica pienamente il giudizio della BCE, secondo cui, nonostante vari colli di bottiglia siano stati superati (per esempio quelli legati al rincaro delle materie prime), rimane molto difficile ipotizzare che i fondi stanziati possano essere interamente assorbiti entro il 2026.[13]

Occorre infine tenere conto che il successo dell’intero piano NGEU dipende in larga misura dall’utilizzo che ne sapranno fare i Paesi con i piani più pesanti, ossia l’Italia e, in certa misura, anche la Spagna.[14] Se alla fine del programma, nel 2026, rimarranno ancora notevoli fondi inutilizzati oppure non si vedranno effetti significativi sul potenziale di crescita delle due economie, diventerà assai difficile chiedere altri interventi su beni comuni (in materia, per esempio, di transizione energetica o di difesa) finanziati con nuovo debito europeo. Al di là degli effetti sull’Italia e sulla Spagna, si allontanerebbe la speranza che il debito contratto con il piano NGEU sia un primo passo nella direzione di un vero un debito europeo a carattere permanente.


[1] Gli altri strumenti all’interno del piano NGEU sono React EU, Just Transition Fund, Rural Development, Invest EU, Horizon Europe and RescEU.

[2] Anche a causa del conflitto tra Russia e Ucraina i piani nazionali sono stati integrati dal capitolo “REPowerEU”: l’iniziativa lanciata nel maggio 2022 dalla Commissione Europea per affrontare la crisi climatica e ridurre la dipendenza dell’Unione dalle importazioni di combustibili fossili dalla Russia. Ulteriori informazioni disponibili sul sito istituzionale.

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[4] Italia, Francia, Spagna e Portogallo, ad esempio, hanno scelto di utilizzare esclusivamente risorse europee per il finanziamento del proprio piano di ripresa.

[5] Secondo gli artt. 12 e 14 del Regolamento UE 241/2021, il tetto massimo dei sussidi per ciascun paese è stato inizialmente calcolato dividendo l’importo in due parti. Il 70% è calcolato sulla base della popolazione, dell’inverso del Pil pro capite e del relativo tasso di disoccupazione (adoperando i valori riferiti al 2019). Il 30% è calcolato sulla base della popolazione, dell’inverso del Pil pro capite e, in pari proporzioni, della variazione del Pil reale nel 2020 e della variazione aggregata del Pil reale per il periodo 2020-2021. L’importo massimo del sostegno sotto forma di prestito, invece, è soggetto al limite del 6,8% del RNL di ciascuno Stato nel 2019.

[6] K. Bànkowski et al., “Four Years into NextGenerationEU: what impact on the euro area economy?”, ECB, Occasional Paper Series, N. 362, dicembre 2024. Secondo gli autori, i ritardi sono dovuti anche alla necessità di integrare i capitoli di REPowerEU nei RRP, alla sottostima dei tempi necessari per l’attuazione di alcune misure e alle incertezze relative alle norme di attuazione (come il principio “do not significant harm” parte del Green Deal europeo).

[7] Commissione europea, COM(2024) 474 Final, “Report from the Commission to the European Parliament and the Council on the implementation of the Recovery and Resilience Facility”, 10 ottobre 2024.

[8] Il ritardo nei versamenti delle rate è approssimato dal numero di trimestri che intercorrono fra la presentazione della richiesta di pagamento e l’effettivo versamento della rata, sottraendo a questo valore un trimestre per tenere conto del tempo di revisione ordinario.

[9] Il 30 dicembre 2024 il governo ha presentato la richiesta di pagamento per la settima rata dal valore di 21 miliardi di euro, di cui 5,3 in sussidi e 15,7 in prestiti.

[10] K. Bànkowski et al., cit., pp. 30-32. Per ulteriori analisi dell’andamento dei lavori e la loro distribuzione sul territorio nazionale vedi IFEL, “Lo stato di attuazione del PNRR e il ruolo dei comuni – Edizione 2024”, ottobre 2024.

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[11] Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, “Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”, dicembre 2024, p. 8.

[12] K. Bànkowski et al., cit., pp. 46-47.

[13] K. Bànkowski et al., cit., p. 47.

[14] Sui rischi di un utilizzo non accorto delle risorse europee, anche nel caso di pieno rispetto del cronoprogramma di spesa, vedi T. Boeri, R. Perotti, PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano, 2023.



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