Con l’ordinanza 31642 del 9 dicembre 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito che i tributi locali possono essere riscossi per intero anche in pendenza di un giudizio di impugnazione sul relativo avviso di accertamento.
Tale principio distingue nettamente la disciplina dei tributi locali da quella prevista per i tributi erariali, rafforzando il potere degli enti locali di procedere con la riscossione integrale delle somme accertate.
Il caso
La pronuncia dei giudici di legittimità deriva da un ricorso presentato da una contribuente contro una decisione della Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania, che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, confermando la validità della cartella di pagamento emessa per gli avvisi TARSU relativi agli anni 2009-2012.
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente ha contestato la formazione di un giudicato interno derivante dalla mancata impugnazione della sentenza di primo grado da parte del Comune. La Corte di Cassazione ha respinto tale argomentazione, sottolineando che:
- la sentenza di primo grado annullava solo la cartella di pagamento, non il ruolo sottostante;
- non esiste un giudicato sulla pretesa tributaria, che rimane valida;
- il giudicato interno è escluso dall’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, i cui effetti si estendono anche al Comune ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. 112/1999.
Infondati, secondo la Cassazione, sono anche il secondo e il terzo motivo. La Corte ha infatti confermato la legittimità della sanatoria del difetto di rappresentanza, evidenziando che:
- la CTR aveva correttamente assegnato il termine per la regolarizzazione, come previsto dall’art. 182 c.p.c.;
- la sanatoria è consentita in presenza di irregolarità formali, ma non di inesistenza della procura.
- l’Agenzia si era costituita con un avvocato del libero foro, opzione ritenuta legittima e conforme alla normativa.
Cruciale però è quanto affermato dagli Ermellini con riferimento al quarto motivo di ricorso. La Corte ha, infatti, confermato la legittimità della decisione della CTR, che ha correttamente ritenuto valida l’iscrizione a ruolo dei tributi locali anche prima che l’avviso di accertamento impugnato diventi definitivo. In base alla normativa vigente, “anche quando il contribuente abbia impugnato in sede giudiziaria l’avviso di accertamento, resta consentito all’ente impositore provvedere all’iscrizione a ruolo della pretesa tributaria per intero, e non soltanto nel limite di un terzo”, come sancisce l’art. 15 del DPR 602/1973. La riscossione frazionata delle imposte trova applicazione solo quando espressamente stabilita dalla legge e non è prevista per le imposte amministrate dagli enti locali, come l’IMU.
Tributi locali: riscossione integrale anche se c’è pendenza di giudizio
L’art. 68 del D.Lgs. 546/1992, che disciplina la riscossione frazionata nelle more del giudizio, si applica solo alle somme dovute dopo la sentenza di primo grado e per quei tributi per cui la legge prevede o impone espressamente tale modalità. Secondo l’orientamento della giurisprudenza di merito (e condiviso dalla Cassazione), gli enti locali (come i Comuni) possono procedere alla riscossione integrale di IMU e tributi locali, in quanto l’atto di accertamento è immediatamente esecutivo per l’intero importo, obbligando il contribuente a pagare anche in pendenza di giudizio.
Diversamente, per i tributi erariali, la riscossione frazionata opera in misura limitata, graduando il recupero del credito sulla base dell’esito delle pronunce giurisdizionali e delle disposizioni normative che regolano ciascun tributo. Questa differenza evidenzia un trattamento asimmetrico che, nel caso dei tributi locali, si traduce in un maggiore potere di esazione da parte degli enti impositivi.
Il trattamento differenziato tra tributi locali e tributi erariali non si estende alle sanzioni tributarie. Ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 472/1997, esse sono soggette al regime della riscossione frazionata stabilito dall’art. 68 del D.Lgs. 546/1992. Pertanto, in pendenza di un processo, le sanzioni irrogate sono sottoposte a un regime di riscossione graduata, che considera l’esito delle pronunce giurisdizionali nei vari gradi di giudizio.
Nonostante il forte potere esecutivo attribuito agli atti di accertamento locali, il contribuente dispone di alcuni strumenti di tutela per evitare l’immediato esborso delle somme accertate:
- sospensione amministrativa in autotutela: gli enti locali possono sospendere l’esecutività degli atti impositivi su propria iniziativa, qualora emergano elementi che ne dimostrino l’illegittimità o l’infondatezza. Questo potere, esercitabile dall’organo competente, consente la revisione degli atti attraverso l’annullamento, la revoca o la sospensione;
- sospensione giurisdizionale: il contribuente può richiedere al giudice tributario la sospensione dell’atto impugnato, dimostrando la presenza di fumus boni iuris (validi motivi di contestazione) e periculum in mora (il rischio di un danno grave e irreparabile in caso di pagamento immediato).
La sospensione, sia essa amministrativa o giurisdizionale, non elimina l’obbligo di pagamento, ma ne differisce gli effetti, rappresentando una tutela temporanea per il contribuente.
Infine, con il quinto motivo la contribuente ha contestato la correttezza della motivazione della cartella di pagamento, ma la Corte ha confermato la validità della stessa, argomentando che:
- la cartella richiamava adeguatamente gli avvisi di accertamento notificati, già autonomamente impugnati;
- per il calcolo degli interessi maturati, è sufficiente il richiamo all’atto precedente senza specificazione dettagliata dei singoli tassi applicati.
La Corte ha sottolineato che la conformità della cartella al modello ministeriale previsto dalla norma garantisce la regolarità formale dell’atto.
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