Trump, primo presidente pregiudicato ma per Donald non ci sarà pena

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Dopo oltre nove mesi di ritardi, minacce e battaglie legali, ieri Donald Trump è stato condannato per un reato nel processo che a maggio lo aveva ritenuto colpevole di pagamenti illeciti alla ex pornostar Stormy Daniels. Si tratta del primo presidente americano a entrare in carica da pregiudicato, anche se Trump non ha ricevuto alcuna pena, né una multa né la detenzione, visto che il giudice, Juan M. Merchan, ha deciso di imporgli un «rilascio incondizionato», una scelta rarissima. «Si è trattato di un caso veramente straordinario», ha detto Merchan, il giudice dello stato di New York che ha seguito il processo. Trump, che ha partecipato virtualmente alla sentenza da Mar-a-Lago, se non fosse stato presidente avrebbe rischiato fino a quattro anni di carcere e il pagamento di una multa. Ma nonostante questo la decisione di Merchan ha un valore fortemente simbolico: formalizza infatti per Trump lo stato di pregiudicato, una macchia sulla quale ha già detto di volersi vendicare: «Sono stato trattato in modo molto, molto ingiusto, e vi ringrazio tanto», ha detto Trump.

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IL SEGNALE

«Sapete qual è il problema: io sono innocente», ha continuato, aggiungendo che farà ricorso e che non si rassegna ad avere la fedina penale sporca: «Siamo di fronte a una caccia alle streghe di tipo politico per danneggiare la mia reputazione una vergogna per il sistema giudiziario di New York». In realtà il presidente eletto, che siederà alla Casa Bianca tra nove giorni, ha provato un salvataggio all’ultimo, questa settimana, chiedendo alla Corte Suprema di fermare la sentenza. E invece la corte, mandando al paese un segnale di indipendenza, ha deciso di non accettare la richiesta di Trump: i due giudici di destra Jhon Roberts e Amy Barrett hanno votato con il blocco progressista, Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Ketanji Brown Jackson. La Corte Suprema è fortemente conservatrice, con sei giudici su nove di inclinazione repubblicana e con buone probabilità che nei prossimi quattro anni Trump possa nominarne altri due. All’inizio della lettura della sentenza, il capo dei giudici dell’accusa, Joshua Steinglass, ha parlato di «prove schiaccianti» e ha ricordato che Trump «lontano dall’esprimere qualsiasi tipo di rimorso per la sua condotta criminale, ha deliberatamente generato disprezzo per le nostre istituzioni e per lo stato di diritto». Trump è stato ritenuto colpevole di avere falsificato i registri contabili delle sue aziende per nascondere il pagamento di Daniels ed evitare così che nel 2016, nel pieno della campagna elettorale che lo ha portato alla prima presidenza, rendesse pubblica la loro relazione extraconiugale. Con la condanna formalizzata, Trump potrà fare appello, come tutti gli altri cittadini, ma non potrà perdonare se stesso: il perdono presidenziale non gli dà l’autorità per cancellare pene a livello statale ma solo quelle federali. Proprio su questo punto nel corso dell’udienza Trump ha mentito ancora una volta: ha detto che il dipartimento di Giustizia è «molto coinvolto» in questa decisione, nonostante l’azione legale sia stata fatta in un tribunale statale senza il coinvolgimento delle autorità di Washington. Al fianco di Trump, in una stanza con sullo sfondo due enormi bandiere americane, c’era Todd Blanche, suo avvocato che è stato nominato alla carica di vice procuratore generale. Anche gli altri due legali che nei giorni scorsi hanno presentato la richiesta di sospensione della sentenza alla Corte Suprema avranno dei ruoli centrali al dipartimento di Giustizia: Emil Bove e D. John Sauer lavoreranno nel dipartimento e saranno guidati da una fedelissima di Trump, l’attuale procuratore generale della Florida Pam Bondi, se il Senato confermerà la sua nomina. Bondi ha più volte mostrato di anteporre il culto del capo all’obbedienza alle istituzioni e secondo diversi analisti di entrambi gli schieramenti potrebbe guidare una rivoluzione interna al dipartimento, minando la sua indipendenza. Fuori dal tribunale di New York alcuni sostenitori di Trump hanno sventolato bandiere e urlato slogan come «il troppo è troppo», mentre gli oppositori del presidente dall’altra parte della strada hanno mostrato cartelli con le scritte «moralmente fallito».

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