WWF: E’ LA SICILIA LA NOSTRA CALIFORNIA

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Quest’anno la Sicilia ha pesantemente subito gli effetti della crisi climatica, una crisi ampiamente annunciata per il Mediterraneo, considerato un hot spot climatico dall’IPCC, il panel scientifico delle Nazioni Unite. E’ stata anche la cartina di tornasole dell’anno più caldo mai registrato: quasi una “Los Angeles italiana” Per la comunità scientifica, la responsabilità del fenomeno è da ascrivere all’azione umana: da una parte il cambiamento climatico indotto dall’uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione, dall’altra la pessima gestione delle risorse idriche. Del resto, lo conferma l’Atlante della Siccità delle Nazioni Unite, presentato in occasione della 16a COP della Convenzione ONU per Combattere la Desertificazione, di Riad: la siccità è provocata dal “cambiamento climatico antropogenico e dalla cattiva gestione delle risorse idriche e del territorio da parte dell’uomo. Non si tratta solo dell’assenza di pioggia, neve o umidità del suolo, la siccità è intimamente legata alle azioni umane. Le pratiche di consumo e produzione sostenibili per proteggere e gestire il territorio sono una componente fondamentale della gestione della siccità” . Proprio in queste ore poi, è arrivata la conferma ufficiale: il 2024 è l’anno più caldo mai registrato a livello globale.

Tra settembre 2023 e agosto 2024, rispetto ad analoghi periodi precedenti, si è registrato nella gran parte del territorio siciliano uno stato di siccità severa e in alcune zone addirittura estrema. È mancata la pioggia, e questo ha anche determinato la scarsità di acqua negli invasi sin dall’inizio della stagione irrigua. Non si tratta di una situazione nuova visto che, rispetto ai dati sul deficit di risorsa idrica del 2022, a livello distrettuale, il dato peggiore è stato quello del Distretto della Sicilia, con –81,7% rispetto al trentennio climatologico 1991–2020.

Peraltro, la Sicilia è piena di invasi, ben 47, per un totale di circa 1,1 miliardi di metri cubi, di cui solo 30 in esercizio (e neppure in piena efficienza). Il volume complessivo autorizzato era di 997 mln di cui 289 non utilizzabili per mancata manutenzione ed inefficienze varie. L’Autorità di bacino ha previsto 12 interventi da realizzare su altrettanti invasi per un totale di 55.405.000 € che consentirebbero di rimuovere 903.270 mc di sedimenti.

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A questo si aggiunga la piaga degli incendi boschivi favoriti, come oggi in California, dalle condizioni estreme di siccità: solo nel 2024 sono stati registrati 1.288 incendi, un aumento significativo rispetto ai 509 dello stesso periodo del 2023, che aveva visto andare in fumo 51.000 ettari di territorio. Le cause principali includono cambiamenti climatici, ondate di calore, siccità, e incendi dolosi.

L’agricoltura è il settore più colpito: dalla coltivazione delle olive, alle mandorle, agli agrumi, ai vigneti. Persino il grano, che non è una coltura irrigua, ma si sostenta con la sola acqua piovana, nel 2024 non ha prodotto raccolto. Anche per l’allevamento è stato un disastro a causa della ridotta capacità foraggera.

L’estate siciliana è stata poi caratterizzata da un drastico razionamento dell’acqua potabile nei centri urbani: ci sono stati quartieri delle grandi città che ricevevano acqua poche ore al giorno e in alcuni casi ogni 24 ore. Il cambiamento climatico è certamente la causa principale, ma fa rabbia pensare in Sicilia, come certifica l’ISTAT nel 2022, la perdita idrica nella fase di immissione in rete dell’acqua per usi autorizzati è stata del 51,6%, per un volume di 339,7 milioni di metri cubi di acqua sprecata. In Sicilia sono anche in sofferenza le falde che in alcuni casi si sono abbassate molto, come nel catanese dove negli ultimi anni si è avuto un abbassamento di circa 20 metri . Peraltro la recente scoperta (2023) di una falda acquifera da oltre 17 miliardi di mc di acque sotterranee, tra dolci e salmastre sotto i Monti Iblei a oltre 800 metri di profondità, può aiutare a combattere la crisi idrica, ma ciò, al di là di rendere effettivamente fattibile il suo utilizzo, non deve distogliere dalla necessità di gestire meglio la risorsa e impostare una pianificazione adeguata attraverso un Piano strategico di adattamento ai cambiamenti climatici.

Però l’altra faccia della medaglia, dell’acqua si è palesata drammaticamente nelle prime due settimane di novembre quando violenti nubifragi hanno investito la Sicilia, causando frane, smottamenti, torrenti esondati. Per fortuna, gli allarmi hanno funzionato e non vi sono state le vittime (37) che si verificarono in provincia di Messina, tra Giampilieri e Scaletta, nel 2009. A novembre nel catanese in dodici ore sono caduti oltre 500 millimetri di pioggia, provocando il rapido innalzamento dei livelli idrici, invadendo le strade e le abitazioni. La crisi climatica ha determinato condizioni eccezionali, ma le precipitazioni si sono riversate su un territorio estremamente vulnerabile: si continua a consumare suolo, in molti casi in modo del tutto illegale visto che in Sicilia 46 case su 100 sono abusive (fonte: Openopolis), ma nonostante questo si continua a condonare, aumentando la fragilità del territorio ed esponendo la popolazione a rischi sempre più grandi. Non c’è nessuna efficace politica per la sua salvaguardia territoriale all’orizzonte, i fiumi sono in gran parte canalizzati e sono stati privati delle naturali e indispensabili aree di esondazione naturale.

Nell’isola la desertificazione è ormai un dato di fatto con diverse aree colpite e con un tentativo, da parte dell’Autorità di bacino, di contrastarla attraverso una “Strategia regionale di azione per la lotta alla desertificazione” (2019) per lo più sulla carta. L’Atlante ONU della Siccità 2024 ricorda che “Misure preventive come la gestione dell’acqua, i sistemi di allerta precoce e le pratiche agricole innovative riducono l’impatto della siccità e la vulnerabilità umana. La combinazione di pratiche efficaci di mitigazione (abbattimento delle emissioni climalteranti) e percorsi di adattamento può creare sinergie che favoriscono la resilienza alla siccità”.

La Sicilia deve diventare un modello della decarbonizzazione, visto quanto rischia di perdere se non viene attuata. Inoltre, serve un piano d’azione per prevenire i danni, un Piano di Adattamento ai Cambiamenti climatici su scala regionale, come peraltro previsto anche dal PNACC, che possa mettere a sistema la pianificazione legata alle risorse idriche (Piano gestione acque, Piano alluvioni…), all’agricoltura sfruttando le possibilità della PAC. Necessario promuovere azioni di ripristino degli ecosistemi, come peraltro richiesto dalla Nature Restoration Law, e dei servizi ecosistemici, per ridurre la vulnerabilità del territorio ed aumentarne la resilienza. Un ruolo fondamentale lo possono svolgere le Nature Based Solutions che possono essere promosse per la ricarica delle falde, ad esempio attraverso Aree Forestali d’infiltrazione e il recupero delle aree di esondazione naturale dei fiumi, recuperando le fasce fluviali. C’è molto da fare e c’è la necessità di grandi investimenti per rendere il nostro territorio resiliente e in questo quadro l’ostinazione del Governo a investire sul Ponte sullo stretto risulta completamente anacronistica.

(© 9Colonne – citare la fonte)



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