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Quando il Governo italiano ha evocato l’uso dei golden power a difesa di Banco Bpm – messo sotto offerta ostile da parte di UniCredit sette settimane fa – molte sopracciglia si sono inarcate. Sono state le stesse che avevano appena criticato il Governo tedesco che si era detto contrario all’ingresso (non concordato) dello stesso UniCredit in Commerzbank: sempre entro i confini dell’Ue, anzitutto un mercato unificato e libero. Nei prossimi giorni secondo indiscrezioni insistenti, il Mef si accingerebbe a concretizzare l’orientamento: si vedrà con quali modalità e sviluppi.
Le normative Ue non sono mai state modificate dalla matrice del Trattati di Maastricht, essenzialmente ispirate alla libertà del mercato di decidere fusioni e acquisizioni di imprese in tutti i settori, limitando il ruolo degli Stati sia in sede di eventuale aiuto, sia nelle pretese dei Governi di essere arbitri politici in campo economico-finanziario. La nuova commissaria Ue all’Antitrust, la spagnola Teresa Ribera, fin dalla fase di fiducia da parte dell’Europarlamento appena eletto si è schierata senza esitazioni a favore delle dinamiche di mercato anche al fine di rafforzare la competitività dell’Azienda-Europa con gruppi più grandi e solidi. Tuttavia non c’è dubbio che le ultime settimane abbiano fortemente scosso lo “spirito del tempo”: al quale il risiko bancassicurativo italiano (da UniCredit alle Generali passando per BancoBpm e Mps) era impossibile sottrarsi.
Francia e Germania – con l’Italia i tre big fondatori dell’Ue – sono entrambi in preda a una crisi politico-istituzionale profonda e dagli esiti incerti. E se prima non vi sarà una stabilizzazione minima a Berlino (dopo le elezioni anticipate in calendario il 23 febbraio) e a Parigi (con la fiducia al Governo Bayrou) rimarrà in stand by anche la Commissione von der Leyen-2, e ogni sua eventuale agenda riformista. Nel frattempo entrerà in carica negli Usa il nuovo Presidente Donald Trump, che sta già promettendo forti soluzioni di continuità con l’Amministrazione dem di Joe Biden. Il quale, dopo la sconfitta dem alle ultime presidenziali, ha anticipato una svolta protezionista ora largamente attesa e peraltro già iniziata negli ultimi quattro anni. Lo stop all’acquisizione della Us Steel da parte del colosso giapponese Nippon Steel ha fatto seguito a un intero mandato caratterizzato da una politica industriale “neo-sovranista” con aiuti “triliardari” alle industrie impegnate nella transizione energetica e nelle produzioni tecnologiche. “America First” di Trump promette un approccio ancor più deciso a difesa dell’economia Usa.
Sarebbe quindi discutibile ma certamente non sorprendente che il Governo italiano si adeguasse al nuovo “spirito del tempo”: con la motivazione evidente di riportare un metodo (il riassetto nel cruciale settore finanziario va concordato con Esecutivo e autorità creditizie) e merito della questione (le prossime settimane sembrano le meno indicate per lasciar fare al mercato su aziende di indubbio rilievo strategico, anzitutto nella gestione del “giacimento” di risparmio delle famiglie italiane). Certo un Governo che impedisce d’autorità un’operazione di riaggregazione fra due banche italiane – prima che europee – è destinato ad attirarsi critiche politiche e fors’anche contestazioni giudiziarie a vari livelli. Ma è indubbio che con il “vecchio spirito del tempo” – cioè con la contestazione morale-legale e le armi politico-diplomatiche – la giornalista italiana Cecilia Sala oggi sarebbe ancora in carcere in Iran.
Il “vecchio spirito del tempo” ha intanto fatto inorridire un coro globale di opinionisti riguardo la volontà espressa da Trump di aggregare Groenlandia e Canada agli Usa. Ma è bastato pubblicare – sugli stessi media – la mappa dell’Artico in via di scioglimento con una prospettiva diversa dall’usuale, per rendere tutti consapevoli di come Russia e Cina possano aggredire il Nord America via mare su un fronte di otto fusi orari. Ed è stato così che il ministro degli Esteri danese ha subito aperto a colloqui con la futura Casa Bianca.
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