La disponibilità di zucchero a buon mercato è uno dei simboli dello stile di vita occidentale. Mai come oggi gli esseri umani hanno avuto a disposizione quantità tanto vaste e così a buon mercato di alimenti dolci. Nella moderna dieta occidentale, lo zucchero è ovunque: soprattutto gli alimenti processati e iper-processati (quelli prodotti industrialmente) contengono quantità anche molto elevate di “zuccheri aggiunti”, ingrediente famigerato da quando si è scoperto che un suo consumo smodato ha impatti molto negativi sulla salute.
Non proprio un toccasana
Organismi come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) raccomandano che gli zuccheri aggiunti non superino il 10% dell’apporto energetico giornaliero e che, se possibile, non superino la soglia del 5%. Nonostante sia complesso dimostrare con certezza la relazione di causalità tra l’ingestione di grandi quantità di zuccheri e l’insorgenza di malattie non trasmissibili e/o croniche, una dieta troppo ricca di zuccheri gioca senz’altro un ruolo nel generare gravi problemi di salute come l’obesità e il diabete.
La trasformazione del sistema alimentare è una priorità nel contesto degli sforzi per la realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ed è centrale anche in una prospettiva One Health, che riconosce le intersezioni tra la salute umana e la salute del pianeta. Eppure, nel dibattito pubblico su questo tema ci si concentra molto su alcuni alimenti negativi per la salute umana e quella ambientale – la carne e i prodotti di origine animale, ad esempio – mentre troppo spesso non si dedica la giusta attenzione ad altri alimenti dannosi come, appunto, gli zuccheri, e in particolare gli zuccheri aggiunti.
Come sottolinea una ricerca pubblicata a novembre 2024 sulla rivista PNAS, il grande – e sempre crescente – consumo di zucchero ha anche un significativo impatto ambientale. Come scrivono gli autori dello studio, “La coltivazione dello zucchero ha causato frammentazione degli habitat e perdita di biodiversità, dovute a cambiamenti nella destinazione d’uso del suolo su vasta scala, prelievo di acqua e perdite di prodotti agrochimici. Tutto ciò accade soprattutto con la canna da zucchero, prodotta come monocoltura singola e senza rotazione soprattutto in zone tropicali ricche in biodiversità”. Dal momento che la canna da zucchero e la barbabietola da zucchero sono le colture più estese in termini di massa (rappresentano il 25% della produzione agricola globale), “ridurre il consumo di zucchero” – scrivono i ricercatori – “e/o semplicemente destinarlo ad altri usi potrebbe apportare grandi benefici tanto per l’ambiente quanto per la salute”.
Canna e barbabietola da zucchero, non solo nel piatto
In questa ricerca, gli studiosi non si limitano però a sottolineare l’importanza di una riduzione nel consumo globale di zucchero. Sono infatti consapevoli che agire unicamente a valle del processo produttivo avrebbe conseguenze indesiderate: la produzione di zucchero è un business internazionale di grande valore economico (un mercato globale dal valore di circa 68 miliardi di dollari l’anno) e da cui dipende il diretto sostentamento di moltissimi lavoratori, soprattutto in Paesi a medio e basso reddito. Tale peso economico rende i portatori di interessi in questo settore degli attori potenti anche a livello politico, con un discreto peso lobbystico che risulta evidente, affermano gli autori dello studio, in “una serie di politiche che incentivano e proteggono la produzione e il consumo di zucchero”. Una trasformazione del sistema alimentare che passi anche dalla drastica riduzione del consumo di zucchero deve perciò tenere conto di questa dimensione socio-economica.
L’originalità dello studio di PNAS sta nell’abbracciare questa complessità, partendo proprio da qui per proporre varie opzioni “politicamente appetibili” per avviare la transizione dell’industria dello zucchero verso una produzione meno dannosa per la salute e l’ambiente. Come scrivono gli esperti, l’attuazione di simili soluzioni richiede un approccio olistico, che tenga insieme le questioni sanitarie, ambientali, economiche e sociali.
Ad esempio, in uno scenario in cui si decidesse di limitare il consumo di zucchero al 5% dell’energia giornaliera pro capite, come l’OMS e l’EFSA raccomandano, si potrebbero esplorare due soluzioni alternative.
In un caso, si potrebbe ridurre la produzione di zucchero e riutilizzare i terreni rimasti così liberi per coltivare altri prodotti alimentari, che potrebbero contribuire a ridurre l’insicurezza alimentare soprattutto nei luoghi di produzione dello zucchero, che sono solitamente Paesi a basso reddito, oppure per realizzare progetti di rewilding, che contribuirebbero al ripristino degli ecosistemi locali degradati e, a lungo termine, anche allo stoccaggio dell’anidride carbonica nel suolo.
Una seconda possibilità non prevederebbe una riduzione della produzione di zucchero, ma il cambiamento della sua destinazione d’uso: non sarebbe più coltivato a scopo alimentare, ma potrebbe essere utilizzato per la produzione di biocombustibili (ne deriverebbero circa 198 milioni di barili di etanolo, il cui utilizzo in alternativa ai combustibili fossili risparmierebbe l’emissione di circa 89 milioni di tonnellate di CO2eq l’anno) oppure per la creazione di proteine vegetali, dando lo zucchero in pasto a determinate colonie batteriche: in questo caso, si stima che si potrebbero produrre circa quindici milioni di tonnellate di proteine vegetali l’anno, sufficienti per soddisfare i bisogni di 521 milioni di persone adulte.
Lo zucchero potrebbe persino essere impiegato per la produzione di plastica: con le quantità di zucchero non consumate si potrebbero produrre 22 milioni di tonnellate di polietilene a bassa densità (quello della pellicola, dei contenitori alimentari e dei sacchetti di plastica), corrispondente a circa un quinto del fabbisogno mondiale annuo, con un significativo risparmio, anche in questo caso, di combustibili fossili ed emissioni.
Un approccio istituzionale olistico
Uno degli interventi politici più comunemente adottati negli ultimi anni è stato l’introduzione di tasse sul consumo di zucchero. Diversi studi hanno sottolineato che, nonostante questo tipo di tassa – che pesa direttamente sul consumatore – abbia portato a una riduzione degli acquisti, non è chiarissimo se abbia portato anche a una riduzione del consumo di zucchero nella popolazione.
Gli autori dello studio di PNAS ritengono, invece, che misure indirizzate a modulare l’offerta, più che la domanda, porterebbero risultati più efficaci, accompagnando le aziende nell’esplorazione di traiettorie di transizione economicamente sostenibili. “Laddove lo zucchero è reindirizzato verso altri utilizzi, l’indotto economico rimane pressoché intatto – scrivono i ricercatori – e si aprono nuovi settori e opportunità economiche in diversi ambiti”, dall’energia (i biocombustibili), al cibo (proteine vegetali) e allo stoccaggio di carbonio. Questo favorirebbe la crescita economica, con ricadute positive soprattutto nelle economie emergenti, dove si concentra gran parte della produzione di canna da zucchero.
Ma, visto l’alto livello di globalizzazione del commercio di zucchero, interventi esclusivamente nazionali saranno insufficienti: è necessario che tutti (o la maggior parte) i Paesi – più di 100 – e le grandi aziende coinvolte nella filiera dello zucchero cooperino per rendere la transizione operativa.
Uno strumento coadiuvante – suggeriscono i ricercatori – potrebbe essere l’istituzione di un meccanismo di cooperazione tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo, una “Sugar Transition Partnership” sul modello delle “Just Transition Energy Partnerships” inaugurate alla COP26 del 2021, accordi multilaterali in cui un insieme di Paesi donatori supporta delle economie dipendenti dal carbone (in questo caso, caratterizzate da un modello insostenibile di produzione dello zucchero) a realizzare la transizione verso un modello più sostenibile.
“In ultima analisi”, concludono gli studiosi, “solo un approccio multidimensionale e sistemico può captare e contenere gli effetti indesiderati dell’eliminazione, della sostituzione o di un migliore utilizzo dello zucchero, identificando al contempo le migliori strategie per interventi di sostenibilità su scala globale”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link