Luca Gemma omaggia, a trent’anni dalla sua scomparsa, Domenico Modugno con un disco dal titolo Modugno sulla Luna (fuori per Adesiva Discografica, in distribuzione The Orchard). Otto brani, prodotti con Paolo Iafelice, riarrangiati per celebrare uno dei suoi artisti preferiti.
L’occasione per pensare a questo disco è arrivata grazie a Sacre radici – La maestà del legno, uno spettacolo multidisciplinare di Koreoproject, scritto e diretto dalla coreografa e danzatrice Giorgia Maddamma insieme a Ilaria Milandri e con le immagini di Fabio Serino, di cui Luca Gamma cura le musiche e le canzoni, suonandole in scena.
Lo spettacolo, che sarà rappresentato per tutto il 2025, affonda le sue radici nel Salento ed è l’occasione per far ascoltare al pubblico un repertorio di canzoni di Modugno scritte nei primi anni Cinquanta in dialetto salentino.
Legato alla tradizione dei cantastorie del sud, Modugno infatti inizia a scrivere canzoni nel dialetto di San Pietro Vernotico in provincia di Brindisi, dove si era trasferito da bambino, pur essendo nato a Polignano a Mare, in provincia di Bari.
Ed ecco il punto: tutte quelle canzoni dei primi anni sono scritte in salentino e non in siciliano, come lui stesso aveva contribuito a far credere per poter esordire in un programma radiofonico della Rai. Una ‘trasformazione’ peraltro non difficile in quanto il dialetto salentino è quasi uguale al dialetto siciliano che si parla a Messina.
Il ricordo di Modugno per Luca Gemma si lega inevitabilmente ai lunghi viaggi di famiglia, negli anni Settanta, da bambino, in un tempo di automobili lente e senza autoradio, quando suo padre intonava canzoni da cantare in coro: tra queste Nel blu, dipinto di blu, che era nella top cinque insieme a Vengo anch’io. No, tu no, Azzurro, Torpedo blu e Zum Zum Zum, che diceva “sarà capitato anche a voi di avere una musica in testa”.
A me capita spesso e nella mia testa Modugno ha un posto speciale. Perché mi piace la sua visione poetica, il modo in cui osserva e racconta il mondo, con quel canto confidenziale, senza troppi abbellimenti. Mi piace la sua prepotente capacità espressiva, mi piace il modo in cui si accompagna alla chitarra. Mi piace il modo in cui si accompagna alla malinconia. E poi perché è il primo cantautore moderno, l’uomo che ha spinto la canzone italiana verso la canzone d’autore, che per primo ha scritto musica e parole e le ha cantate mettendoci dentro una verità che al tempo nella canzone italiana non c’era. Perché Domenico Modugno è stato un artista capace di mischiare il sentimento popolare con la cultura, Sanremo con il Premio Tenco – che ha vinto nel 1974 alla sua prima edizione – il festival della canzone di Napoli con Eduardo De Filippo, la commedia musicale di Garinei e Giovannini con il teatro di Strehler, tra Brecht e Pirandello, la televisione con la poesia di Pasolini e Quasimodo
Luca Gemma traccia per traccia
Si parte da L’avventura, sostenuta sulle prime da un insistente giro di pianoforte, poi corroborato da ritmi molto contemporanei.
Cantu d’amuri inizia l’esplorazione nella canzone salentina, anche qui adattata in modo fluido e morbido a sonorità sintetiche che dialogano senza difficoltà con le radici della musica popolare.
Soffia poi il Ventu d’estati, uno scirocco sostenuto anche dall’armonica a bocca: panorami caldi e placidi si stendono a perdita d’occhio, mentre una melodia morbida accompagna lo sguardo.
Molta malinconia, al contrario, in Cosa sono le nuvole: si parla sempre di cielo, con Modugno, ma come il cielo l’umore è mutevole. Qui tutto il folle amore rende la canzone più dolorosa e cadenzata.
La storia de Lu minaturi si fa intensa e ritmata, come a inseguire i colpi del piccone che “rompe la montagna”. Ma attenzione alle bombe, al sudore, alla fatica. Un racconto pieno di un’amarezza che sa di antico e che forse non siamo più in grado di capire, ma che in realtà è di tremenda attualità, visto quante morti sul lavoro si contano ancora ogni anno.
Panorami più contemplativi quelli che si osservano in Lu grillu e la luna, piccola favola notturna che lascia spazio a un finale quasi pirotecnico.
Si arriva a chiusura con i due brani più noti del cantautore pugliese (tolto Vecchio Frack, che non ha trovato posto in questa raccolta): prima tocca a una versione estesa di Meraviglioso, triste ma celebrativa della bellezza del creato, che guadagna impeto man mano che procede. Il finale prolungato e strumentale è un’esplorazione sonora che si amplia e regala qualche scintilla ulteriore.
Ed è inevitabile chiudere con Nel blu dipinto di blu, tuttora la canzone italiana più nota nel mondo: ma il mood iniziale è molto lontano dall’originale, cupo e ricco di tensione. L’ingresso della voce di Eugenio Finardi non contribuisce a rasserenare gli animi. La versione è straniante, parla di felicità in modo triste, propone emozioni alle quali non eravamo preparati.
Sono sempre scettico riguardo a riletture e celebrazioni: ce ne sono troppe e non sempre fatte in modo considerevole. Ma non è questo il caso: Luca Gemma si pone sulle spalle l’onere di un canzoniere lontano nel tempo e nei gusti, importantissimo eppure ormai poco conosciuto.
E lo fa con agilità e grazia, ricostruendo gli arrangiamenti ma senza esagerare: non una nota fuori posto in un disco che si permette qualche libertà ma soltanto per sottolineare la possibile modernità di queste canzoni antiche. Una nota di merito ulteriore per un cantato moderato, quasi sottovoce, a non voler inseguire inutilmente la potenza vocale di Modugno, comunque inarrivabile.
Genere musicale: cantautore
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