rischio licenziamenti, task force in Regione

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Se dopo tabacco e olio il Salento del turismo perdesse pure abiti e calzature, avrebbe un grosso problema nel sostenere il suo equilibrio socio-economico. È questo, infatti, il rischio che sta correndo, aggredito da una crisi internazionale mai così ostica per i grandi brand che in qualche modo ancora lo sorreggono.
Tra qualche speranzosa eccezione (vedi il caso Filograna e le sue 252 assunzioni di cui abbiamo riferito qualche giorno fa), scorre solo un denso e provvidenziale fiume di cassa integrazione in ambito moda, che però sta per terminare il suo corso. Non è un caso che associazioni datoriali e organizzazioni si stiano affannando per richiedere alle istituzioni lo sblocco di nuovi ammortizzatori sociali che possano sopperire all’esaurimento di quelli ordinari e straordinari. Un appello disperato, lanciato già il 7 novembre dal Tavolo permanente per la crisi dell’industria salentina istituto il 7 novembre in Provincia e ora finalmente raccolto dal presidente della task force regionale Leo Caroli, che l’altro ieri ha programmato un confronto per il 30 gennaio alle 12, allargandolo a tutto il sistema pugliese della moda. 

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Le opinioni

«La crisi del Tac – recita la nota di convocazione – ha gravissimi riverberi nella nostra regione, in cui registriamo l’aumento delle ore di cassa integrazione, del numero di tavoli di crisi e la dimissione di importanti punti vendita. Le prime importanti misure ottenute, quali il decreto legge 160/2024 per i nuovi ammortizzatori sociali in deroga, non paiono ancora sufficienti a contrastare la crisi, soprattutto in base alle sue caratteristiche dimensionali e temporali».
Preoccupati, i sindacati accolgono di buon grado l’invito proveniente da Bari: «Da tempo abbiamo chiesto in intervento in tal senso e ora confidiamo nell’impegno della Regione», dice Franco Giancane (Filctem Cgil).
«Le oltre 200 assunzioni cui sta procedendo Filograna rilevando il tomaificio Monte d’Oro ci fanno sperare. Noi abbiamo contribuito con le nostre capacità di negoziazione. Purtroppo, però, nel Salento non ci sono ogni giorno imprenditori in grado di fare altrettanto, e questo potrebbe essere un problema per l’immediato futuro. Alla Regione attendiamo di conoscere le proposte della politica», il commento di Sergio Calò (Femca Cisl). 
Così Fabiana Signore (Uiltec): «I segnagli fluttuanti del 2025 non ci mettono tranquilli. La preoccupazione più forte è quella di non conoscere le sorti dei lavoratori allorquando gli ammortizzatori saranno terminati. Il gruppo Green Seagull tiene molto bene e mai come in questo periodo si sta rivelando il vero “salvatore” di molti posti di lavoro».
Una fra le prime aziende di settore che nel Salento terminerà gli ammortizzatori straordinari (il 14 marzo) è il calzaturificio Sud Salento, attivo con 364 dipendenti tra Gagliano del Capo, Corsano e Alessano: «Stiamo lavorando a ritmi alterni. Fino a febbraio – confida, interpellato, l’imprenditore Gabriele Abaterusso -. La produzione subirà un calo più consistente del solito, con periodi di fermo. E, al momento, se devo esser sincero, non siamo ancora nelle condizioni di prevedere come procederemo alla scadenza degli ammortizzatori. Ci confronteremo per individuare soluzioni adeguate». 
La stragrande parte delle aziende in crisi vedrà scadere gli ammortizzatori a giugno. E anche il presidente di sezione di Confindustria Lecce, Michele Zonno, resta preoccupato. «Purtroppo – dice -, non ci sono ad oggi rilevanti novità positive e stiamo ancora registrando una significativa crisi nella filiera manifatturiera di settore a livello ormai della gran parte dei distretti produttivi nazionali. Lo scenario è rimasto stabilmente negativo con un sentiment di grande incertezza ulteriormente alimentata da possibili rischi di potenziale innesco di politiche protezionistiche; rischio da evitare – secondo il manager -, poiché avrebbe inevitabilmente riflessi negativi a livello macroeconomico ed anche ovviamente sul nostro settore». 

I sindacati

Da qui il riferimento al tentativo avviato insieme ai sindacati di individuare «più rapide e concrete misure per la protezione più ampia e efficace possibile dei livelli occupazionali e a tutela dei collaboratori e lavoratori utilizzando ammortizzatori sociali e tutti gli strumenti e le soluzioni che la normativa ci consente anche avviando misure eccezionali d’urgenza per fronteggiare la crisi attuale».
Dal canto suo, l’amministratore del gruppo Gda, Pierluigi Gaballo, premettendo che la sua azienda (450 dipendenti) sta lavorando «al 60% del suo potenziale massimo, ma anche con discontinuità dovute anche all’arrivo delle materie prime e a tutte le problematiche create da situazioni internazionali», spiega come in questo momento molti dei problemi dei brand derivino dalla mancanza sul mercato della fetta del consumatore medio/alto, che non ha più “voglia” di acquistare, perché è calato il potere di acquisto e perché sono aumentati i prezzi». 
Non è un caso che a reggere sia il “made in out”, quello che Gda produce in Albania, per esempio, «con fatturati in crescita». Tanto che Gaballo si spinge a suggerire «l’aumento dei dazi in entrata proprio del made in out, sia come prodotti finiti, sia come semilavorati, per invogliare una vera ripresa dell’economia in Italia e del made in Italy».





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