Il pugno duro con i manager dell’ospedale Villa Sofia preludio di un terremoto ai vertici dell’assessorato
Il terremoto sui vertici di Villa Sofia, questa volta, non è un effetto collaterale. Bensì la conseguenza diretta dell’ingresso a gamba tesa della politica, che per una volta – la prima da tempo immemore – si ricorda di scendere nella trincea e analizzare i motivi per cui la gente muore. L’attribuzione di responsabilità al Direttore generale Colletti e del Direttore sanitario Rizzo, che a molti è somigliato a una “caccia alle streghe”, in verità è il frutto di alcune ispezioni condotte dal Direttore della Pianificazione strategica, Salvatore Iacolino, nel giorno di Capodanno; e dal presidente Schifani, lo scorso 3 gennaio. Ma anche di una serie d’iniziative assunte da un pezzo di opposizione extraparlamentare (capeggiata dal renziano Davide Faraone).
C’è la politica che per anni ha abbandonato la sanità nell’incuria più disperata, il cui riflesso è l’emergenza di oggi; e c’è un pezzetto della politica che, nonostante l’indifferenza del resto, ha cominciato a muoversi per provare a garantire una via d’uscita a pazienti rassegnati e operatori allo stremo. Viene da chiedersi dove porterà questo interventismo di Schifani. Il “pugno duro” ha finito per mettere in discussione la stessa classe dirigente che fino a un anno fa si spartiva le poltrone a tavolino. Nessuno, all’interno della stessa maggioranza del governatore, ha avuto la faccia e la forza di reagire: a partire da Fratelli d’Italia. Il silenzio è più facile di un’ammissione di colpevolezza. Ma le vicende di Villa Sofia, se da un lato tengono fede ai propositi (compresa la revoca dei manager inadempienti, inserita da Schifani nel contratto dei Direttori generali), dall’altro permettono di cogliere un interesse che potrebbe sfociare in provvedimenti più seri. Finalmente.
Veniamo, innanzitutto, al quadro politico. L’interventismo di Schifani è anche la sua rivincita nei confronti di un sistema appiattito sulla lottizzazione e su alcune scelte piovute dall’alto. A cominciare dall’introduzione di un nomenclatore sanitario di marca “patriota” che potrebbe stritolare le strutture convenzionate. A cosa giova questo impegno? Innanzi tutto al tentativo di ridiscutere, entro il 2025, l’uscita dal Piano di rientro dal disavanzo sanitario. Una tagliola che pende sulla testa della Regione da 18 anni e che – mai come adesso – ha manifestato le proprie refluenze catastrofiche. In assenza di un piano di rientro, ad esempio, Palazzo d’Orleans avrebbe potuto contribuire all’adeguamento del tariffario predisposto da Roma, impedendo che molte strutture convenzionate smettessero di erogare le prestazioni in convenzione perché non più sostenibili. Avrebbe potuto impedire che i pazienti, in questo avvio di 2025, rimanessero senza esami e senza visite, o che circa 10 mila lavoratori dell’indotto rischiassero il posto di lavoro a causa di questa razionalizzazione della spesa che non tiene conto di troppi fattori.
Aiutare i convenzionati significa aiutare la sanità. Che oggi rischia di saltare. Picconare il difficile equilibrio fra pubblico e privato non è un favore ai puristi, a quelli del “pubblico a tutti i costi”, ma equivale a produrre un danno incalcolabile sul piano dell’accesso alle prestazioni. Significa morire lentamente. Ecco che il primo obiettivo dell’interventismo del governatore, col supporto di valide voci anche in parlamento (che magari fungano da sponda nei rapporti col Ministero), avrebbe un effetto su tutti: mettere in sicurezza il cantiere. Permettere una coesistenza necessaria e fuori dalle logiche dell’emergenza. Che comunque permangono.
Da qui il secondo obiettivo: raddrizzare il legno storto degli ospedali. Partendo dal presupposto che quasi mai è colpa dei medici. Bensì di chi non li mette (abbastanza) nelle condizioni di lavorare. A monte c’è la politica, che starebbe anche provando a riorganizzare la rete ospedaliera e renderla più sostenibile; ma poi ci sono i dirigenti, quelli che la politica ha scelto (con sospetta consapevolezza, talvolta) e che dovrebbero svolgere il proprio lavoro per garantire gestione e organizzazione al di sopra di ogni sospetto. A Villa Sofia, come si legge nel resoconto dell’ispezione di Iacolino, si evidenziano “profili di concorrente responsabilità gestionale”, e se 14 pazienti rimangono in attesa di essere operati in Ortopedia, e una cinquantina stipati sulle barelle in corridoio, non può essere solo a causa della limitatezza degli spazi (tradotto con l’assenza di posti letto). Villa Sofia è un centro di riferimento di Traumatologia per la Sicilia occidentale.
Non era ancora accaduto che un Direttore sanitario fosse costretto a fare le valigie per l’intervento diretto del presidente della Regione. Quanto accaduto servirà da monito per tutti gli altri, affinché non ci si limiti soltanto ad ascoltare ed esaudire i desideri del parlamentare di turno: la gestione di un’Azienda sanitaria dovrebbe andare molto oltre le dinamiche e le ingerenze dei cacicchi di destra o di sinistra. All’assunzione di un ruolo di prestigio devono coincidere – davvero – le responsabilità. Più o meno grandi. “Aspetteremo con ansia – dice Faraone – che Renato Schifani prosegua con i suoi blitz negli ospedali. Un consiglio: faccia come noi, li giri tutti, in lungo e in largo per la Sicilia e vedrà che Villa Sofia non è un caso isolato, ma purtroppo è la regola. E ricordo infine al nostro Presidente della regione che la responsabilità della situazione della sanità siciliana non sta in capo di medici e infermieri che si fanno il mazzo tutti santi giorni in condizioni proibitive, ma di chi ha compiuto scelte politiche scellerate negli ultimi anni, innanzitutto sue”.
L’invito è stato raccolto. Schifani ha cominciato a muoversi e non agisce più da dietro le quinte. L’impegno sulla sanità merita un approfondimento omnicomprensivo. Anche scomodando la politica da cui proviene e gli equilibri di cui s’è fatto interprete nei primi due anni di legislatura. Un passo decisivo sarebbe quello di ridare una fisionomia e una autorevolezza allo stesso assessorato alla Salute, dove l’assessore Volo – dopo un avvio balbettante – ha fatto perdere le proprie tracce. L’ipotesi di una sostituzione non è più così peregrina e tutti ne parlano. Serve lo stesso profilo operativo incarnato in queste ore dal governatore, che per altro si è particolarmente risentito per la questione dei 49 ‘comandati’ nei due assessorati chiave: Salute ed Economia. “L’iniziativa appare irrituale e non in linea con la pianificazione strategica che questa amministrazione ha avviato per garantire un’efficace gestione delle risorse umane e un innalzamento della qualità dei servizi pubblici – ha detto Schifani, imponendo l’alt -. Non si comprende l’urgenza e la modalità della proposta, avanzata senza il necessario approfondimento e in assenza di un confronto strutturato con gli organi competenti”.
Forse è cominciata l’epoca in cui non si tollerano i passi falsi. In cui prima di concentrare l’attenzione sull’operato di 49 persone, certamente degne, vada prodotto ogni sforzo per garantire la salute di 5 milioni di siciliani. Il “pugno duro” – della serie “punirne uno per educarne cento” – serve per svegliare le coscienze; se è utile a redimere i partiti; se è funzionale a diffondere il buon esempio. Da solo, però, non basta.
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