utilizzo in agricoltura, impatto su salute e ambiente

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Il glifosato è un erbicida ampiamente utilizzato in agricoltura per il controllo delle erbe infestanti. La sua popolarità è dovuta principalmente alla sua efficacia nel distruggere una vasta gamma di piante indesiderate, contribuendo a migliorare la resa dei raccolti.

Introdotto per la prima volta nel mercato negli anni ’70 dalla multinazionale Monsanto, oggi una parte di Bayer, il glifosato è diventato uno degli erbicidi più diffusi a livello globale. La sua popolarità deriva dalla capacità di uccidere efficacemente una vasta gamma di piante indesiderate senza danneggiare le colture geneticamente modificate progettate per resistergli.

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Dal punto di vista chimico, il glifosato è un composto organofosforico che agisce inibendo un enzima essenziale per la sintesi degli amminoacidi aromatici nelle piante. Questo processo è cruciale per la loro crescita e sopravvivenza, rendendo il glifosato particolarmente efficace nel controllo delle erbe infestanti che competono con le colture agricole.

Nell’agricoltura moderna, il glifosato viene spesso applicato tramite spray direttamente sulle piante o sul terreno. È anche usato in altri contesti come nei giardini domestici, nelle aree urbane e lungo le linee ferroviarie per mantenere libere da vegetazione le aree critiche. Nonostante la sua efficacia e diffusione, l’utilizzo del glifosato ha sollevato preoccupazioni significative riguardo ai suoi impatti sulla salute umana e sull’ambiente.

Il glifosato viene assorbito durante le prime ore dopo il trattamento, ma l’effetto è visibile una decina di giorni successivi al trattamento. Questa molecola è un forte chelante che immobilizza i micronutrienti come Ca, Fe, Co, Cu, Mn, Mg, Ni, Zn, rendendoli indisponibili per la pianta. I dati disponibili indicano che il glifosate è moderatamente persistente nel suolo, con un tempo di dimezzamento variabile fra 4 e 180 giorni.

Un suo metabolita, l’acido aminometilfosfonico (AMPA), è dotato di un’attività biologica di potenza paragonabile a quella del prodotto fitosanitario di provenienza.

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Perchè l’uso del glifosato è controverso

Le controversie attorno al glifosato riguardano principalmente la sua presunta cancerogenicità e il potenziale danno agli ecosistemi. Organizzazioni internazionali come l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) hanno classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno” per l’uomo sulla base di alcuni studi epidemiologici e sperimentali. Tuttavia, altre agenzie regolatorie, tra cui l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense (EPA), sostengono che non ci sono prove sufficienti per confermare tali rischi.

Oltre ai potenziali rischi per la salute umana, vi sono preoccupazioni riguardo all’impatto ambientale del glifosato. Studi hanno suggerito che l’erbicida può persistere nel suolo e nelle risorse idriche, influenzando negativamente biodiversità ed ecosistemi acquatici. Inoltre, l’uso estensivo del glifosato ha portato allo sviluppo di erbe infestanti resistenti al suo effetto, creando sfide ulteriori nella gestione agricola.

Studi hanno dimostrato che l’esposizione cronica al glifosato può alterare il metabolismo nei pesci e influenzare il ciclo di vita di organismi come Daphnia Magna. La composizione del glifosato, insieme ai suoi adiuvanti, può aumentare la sua tossicità e comportare rischi per l’ecosistema acquatico, essendo la chiave per comprendere formulazioni specifiche e le loro concentrazioni.

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L’aumento dell’uso del glifosato ha generato preoccupazioni scientifiche in tutto il mondo a causa del suo potenziale impatto sugli ecosistemi, con IARC che lo classifica come possibilmente cancerogeno per l’uomo. Gli studi hanno mostrato tossicità acuta negli organismi acquatici e hanno evidenziato la necessità di metodologie di valutazione del rischio per gli impatti a lungo termine sugli ecosistemi e sull’esposizione umana a queste sostanze.

Studi indicano che l’erbicida può avere effetti deleteri su diverse forme di vita non bersaglio, comprese api e altre specie impollinatrici essenziali per l’ecosistema agricolo. La contaminazione delle risorse idriche è un altro aspetto critico: il glifosato può raggiungere fiumi e laghi attraverso il deflusso agricolo, influendo negativamente su flora e fauna acquatica.

La sicurezza del glifosato per la salute dell’uomo

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glifosato salute ambienteNel 2015, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”. Questa valutazione si basa su prove sufficienti di cancerogenicità negli animali da esperimento e su prove limitate nell’uomo, principalmente legate a un aumento del rischio di linfoma non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti all’erbicida.

Tuttavia, le valutazioni sulla sicurezza del glifosato sono tutt’altro che uniformi. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e l’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA) hanno concluso che il glifosato non è probabilmente cancerogeno per l’uomo. Queste agenzie hanno basato le loro conclusioni su una revisione complessiva di studi scientifici disponibili, che differiscono nelle metodologie e nei risultati rispetto a quelli utilizzati dall’IARC.

Oltre alle questioni legate alla cancerogenicità, il glifosato è stato esaminato anche per altri potenziali effetti sulla salute umana. Alcuni studi suggeriscono che l’esposizione prolungata o ad alte dosi possa causare danni al fegato e ai reni, interferenze endocrinali e problemi riproduttivi. Tuttavia, molti di questi studi sono stati condotti su animali o in condizioni di laboratorio che non riflettono necessariamente le esposizioni umane tipiche.

Di fronte a queste divergenze nelle valutazioni scientifiche, molti paesi hanno adottato approcci precauzionali. Alcuni stati membri dell’Unione Europea hanno imposto restrizioni o divieti sull’uso del glifosato, mentre altri continuano ad autorizzarne l’utilizzo in agricoltura con regolamentazioni specifiche volte a minimizzare i rischi potenziali. In generale, l’utilizzo sicuro del glifosato dipende dall’aderenza alle linee guida sulle buone pratiche agricole e dalle normative nazionali ed internazionali vigenti.

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Inoltre le formulazioni a base di glifosato sono accompagnate da tensioattivi come la poliossietilammina (POEA), che da sola è altamente tossica, e che potrebbe aumentare la tossicità del glifosato.

Certificazione UNI EN ISO 22005:2008 no glifosate – zero residui

La ISO 22005:2008 si applica a tutto il settore agro-alimentare, comprese le produzioni mangimistiche, e rappresenta oggi la norma di riferimento per la certificazione di sistemi di rintracciabilità nel settore agroalimentare.

Nel 2020, l’azienda dell’Università di Pisa ha ottenuto la certificazione UNI EN ISO 22005:2008 – no glifosate da parte dell’ente certificatore CCPB per garantire la rintracciabilità lungo l’intera filiera produttiva della pasta di semola di frumento duro, della semola rimacinata e della farina di grano tenero e per certificare i prodotti della filiera come prodotti realizzati senza l’utilizzo di glifosate.

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L’organizzazione è riuscita a progettare un sistema di rintracciabilità e a garantire l’assenza dell’utilizzo di glifosate rispettando ed implementando la certificazione in essere e il documento tecnico DTP 21 “Prodotti agricoli ed agroalimentari vegetali ottenuti senza l’utilizzo di glifosate” dell’ente certificatore CCPB. Il prodotto oggetto di certificazione non può contenere residui di glifosate. Si considerano assenti residui inferiori a 0,01 mg/kg.
Durante i processi produttivi di produzione primaria, dalla preparazione del terreno pre-semina alla fine della raccolta del prodotto vegetale, non possono essere utilizzati prodotti fitosanitari contenenti il principio attivo di tale diserbante. Inoltre, deve essere garantita per tutta la filiera (aziende agricole, centri di stoccaggio, stabilimenti di trasformazione e confezionamento) la tracciabilità dei lotti di coltivazione, del prodotto stoccato fino ai prodotti alimentari ottenuti.
Nel mese di marzo del 2023, l’azienda ha richiesto all’ente certificatore (CCPB) l’estensione della certificazione UNI EN ISO 22005:2008 – no glifosate per riconoscere i prodotti di filiera anche con l’abbattimento del 100% dei Residui Massimi Ammessi di fitofarmaci.

Il prodotto si definisce a “Residuo Zero” quando i residui di prodotti fitosanitari di sintesi chimica sono inferiori o uguali a 0,01 mg/kg (10 ppb).

In sintesi, sebbene il dibattito scientifico sul glifosato continui ad evolversi, resta importante bilanciare i benefici agricoli offerti dall’erbicida con le preoccupazioni legate alla salute pubblica.

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