L’Italia produce più rifiuti per unità di Pil di tutti i grandi Paesi Ue, ma qualcosa sta cambiando

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In Italia, il dibattito pubblico sulla gestione dei rifiuti tende a focalizzarsi sulla sola gestione dei rifiuti urbani, in ragione del fatto che si tratta di un’attività di interesse pubblico, ma a trascurare l’importanza di quelli provenienti da attività economiche.

In questo senso, la proporzione nei numeri in gioco rende questo concetto evidente. Infatti, i cosiddetti rifiuti speciali costituiscono la maggior parte dei rifiuti prodotti, superando di gran lunga quelli generati in ambito domestico.

Sulla base dei dati Eurostat, nel 2022, in Italia, sono stati prodotti 189,6 milioni di tonnellate di rifiuti. Di questi 160,5 milioni sono “speciali” e corrispondono all’85% del totale. Una quantità suddivisibile in due altre categorie:

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– i rifiuti delle attività economiche, che ammontano a 82,4 milioni di tonnellate, con un’incidenza relativa del 43% sul totale;

  • – i principali rifiuti minerali, per 78,1 milioni di tonnellate (41%)
  • I restanti 29,1 milioni di tonnellate sono, invece, ascrivibili a rifiuti di origine domestica (urbani), per un peso relativo del 15%.

Guardando alle tendenze di medio periodo si notano due andamenti paralleli. Da un lato, i rifiuti prodotti dalle attività economiche sono aumentati, passando dai 71,8 milioni di tonnellate nel 2012 agli 82,4 milioni nel 2022, con un incremento del 15%. Dall’altro lato, la loro incidenza relativa sul totale dei rifiuti generati in Italia è diminuita, scendendo dal 46% del 2012 al 43% del 2022. 

Primari e secondari: i rifiuti delle attività economiche in Italia

Un importante distinguo da fare è quello che intercorre tra i rifiuti primari e i rifiuti secondari. I rifiuti primari sono quelli prodotti direttamente dalle attività economiche. Quelli secondari, invece, originano dai processi di trattamento dei rifiuti stessi ed includono materiali residui derivanti da operazioni di recupero e smaltimento, come i residui dell’incenerimento e del compostaggio.

Seguendo tale categorizzazione, gli 82,4 milioni di tonnellate di rifiuti da attività economiche del 2022 possono essere così ripartiti: 57,2 milioni di tonnellate di rifiuti primari (69%) e 25,2 milioni di tonnellate di rifiuti secondari (31%). I rifiuti secondari denotano una crescita relativa superiore, pari al 18% tra il 2012 e il 2022, rispetto al 14% dei rifiuti primari e al 15% dei rifiuti da attività economiche nel loro insieme.

I rifiuti secondari appaiono meritevoli di un approfondimento dedicato, poiché l’andamento della loro produzione costituisce una proxy dell’efficacia del ciclo di gestione dei rifiuti in tutte le sue declinazioni: industriali, istituzionali e normativo-amministrative.

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In primo luogo, la produzione di rifiuti secondari rappresenta un tratto di virtù, poiché i trattamenti intermedi sono la contropartita degli elevati livelli di avvio a riciclaggio dei rifiuti. Un ambito, nel quale, l’Italia è ai primi posti nelle graduatorie europee. Gli ingenti volumi di rifiuti da rifiuti derivano, quindi, dall’intensa attività di preparazione al riciclo.

Di contro, lo stesso dato può nascondere qualche ombra, giacché l’elevato ricorso a trattamenti intermedi può essere anche il segnale della mancanza di impianti per il recupero energetico degli scarti e/o del mancato sviluppo dei mercati delle materie prime seconde (Mps), inclusa la normativa End of Waste (EoW), e/o del mancato sfruttamento dei sottoprodotti, con il risultato che scarti dei processi produttivi che potrebbero ancora essere reimpiegati divengono rifiuti (si veda Position Paper n. 258).

Il picco produttivo è stato raggiunto nel 2018 con 26,7 milioni di tonnellate, con un’incidenza sul totale che scende dal 2014 in avanti. Ciò indica che – negli anni più recenti – qualche passo avanti è stato compiuto, anche se gli spazi di miglioramento sono con ogni probabilità ancora ampi.

PIL e rifiuti prodotti dalle attività economiche: manca (ancora) il disaccoppiamento

La sostenibilità dello sviluppo economico di un determinato Paese passa dall’affrancamento della produzione di rifiuti dalla creazione di valore aggiunto. Tale tema, noto come “decoupling” o “disaccoppiamento”, sta acquisendo centralità nelle politiche ambientali, quale cartina di tornasole degli avanzamenti verso un’economia realmente circolare.

Il decoupling si verifica quando, a fronte di una crescita economica, la produzione di rifiuti aumenta ad un ritmo inferiore, si stabilizza o diminuisce.

A parità di orizzonte temporale (2012-2022), il raffronto tra le due grandezze (rifiuti, PIL) permette di valutare il conseguimento – o meno – del disaccoppiamento. Tale metodologia è stata applicata sia all’Italia, sia ai principali Paesi dell’Unione (Germania, Francia, Spagna). Nel periodo 2012-2022, l’Italia si conferma l’unico grande Stato europeo a non aver centrato il disaccoppiamento tra produzione di rifiuti e crescita del PIL. In particolare, il nostro è il Paese dove la produzione di rifiuti da attività economiche è aumentata maggiormente (14,8%), a fronte dell’incremento più contenuto del PIL (7,2%).

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Analizzando il periodo più recente, ovvero il quadriennio 2018-2022, l’Italia fa registrare performance decisamente migliori rispetto al trend di medio-lungo periodo (2012-2022). Tra il 2018 e il 2022, a fronte di una crescita del PIL del 4,3%, la produzione di rifiuti da attività economiche aumenta dello 0,5%. Un dato che segnala che anche il nostro Paese si sta avviando in una direzione coerente con il disaccoppiamento tra produzione di rifiuti e crescita del PIL. Le tendenze recenti sembrano, dunque, indicare una prima inversione di rotta (per ulteriori approfondimenti, rimandiamo alle uscite: 258, 232, 230, 189 e 152 dei nostri Position Paper).

L’Italia è un Paese ad alta intensità di produzione di rifiuti

Al fine di individuare una o più spiegazioni del mancato decoupling dell’Italia, abbiamo analizzato l’andamento della produzione di rifiuti da attività economiche per migliaia di euro (unità) di PIL. Tale indicatore rappresenta una misura dell’efficienza ambientale, poiché riflette quanto valore economico un Paese riesce a creare, minimizzando l’impatto ambientale legato ai rifiuti. Valori più bassi di tale variabile esprimono una migliore performance economico-ambientale, laddove numeri più elevati sottendono una maggiore presenza di attività economiche ad alta intensità di consumo di risorse.

L’Italia presenta la produzione di rifiuto per unità di PIL più elevata tra i grandi Paesi europei considerati, lungo tutto il decennio 2012-2022. Un trend che ha raggiunto il picco nel 2020, ove l’indicatore si è attestato a 54,7 kilogrammi per migliaia di euro di PIL – complice anche l’impatto negativo del COVID-19 sull’economia – per poi diminuire fino ai 48,7 kilogrammi nel 2022.

Nei confronti di tutti e tre gli Stati considerati, il gap dell’Italia nel 2022 si è allargato rispetto alla distanza iniziale del 2012. Inoltre, il nostro Paese è l’unico ove l’indicatore è aumentato – anziché diminuire – nel periodo di riferimento. Tuttavia, nell’ultimo biennio (2020-2022), l’Italia è lo Stato, ove la produzione di rifiuti da attività economiche per unità di PIL è diminuita maggiormente: -6 kilogrammi per migliaia di euro di PIL, tornando al di sotto dei 50 kilogrammi per la prima volta dopo il 2012.

Cosa può fare l’Italia per produrre meno rifiuti?

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Nonostante i progressi fatti registrare dall’Italia nella riduzione dei rifiuti prodotti, specialmente dei quantitativi derivanti dal trattamento degli stessi, appare opportuno riflettere su una strategia di policy che consenta di consolidare le tendenze più recenti. Quindi, occorre:

  • rafforzare le misure di prevenzione già previste nell’ordinamento italiano, a partire dalla promozione dell’istituto giuridico dei sottoprodotti, attraverso il quale gli scarti produttivi possono tornare ad essere impiegati nei processi produttivi in sostituzione di altri input. In tal senso, è necessario rafforzare la conoscenza/consapevolezza da parte degli operatori e sostenere le pratiche di simbiosi industriale;
  • sostenere il recupero di materia, a partire dal miglioramento della normativa EoW, valorizzando i benefici emissivi associati all’uso di Mps in sostituzione di materie prime vergini, potenziando ed estendendo gli strumenti economici già in uso in ambito energetico (i.e. Certificati Bianchi). Si tratta di evitare l’accumulo di prodotti riciclati invenduti, che comporta trattamenti intermedi non necessari (ad esempio funzionali allo stoccaggio), dando origine ad ulteriori rifiuti secondari, come conseguenza della mancanza di un mercato di sbocco;
  • potenziare l’impiantistica per il recupero energetico, per valorizzare le frazioni non riciclabili, altrimenti destinate allo smaltimento in discarica, evitandone anche qui trattamenti intermedi non necessari.

a cura di Andrea Ballabio, Donato Berardi e Nicolò Valle



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