L’utilizzo dello strumento della Responsabilità Estesa del Produttore come policy principle risale agli anni Ottanta: nato – idealmente – come strumento strategico per promuovere la riduzione della produzione di rifiuto, sostenere il raggiungimento dei sempre più ambiziosi obiettivi di raccolta, riciclo e recupero, nonché ridurre l’impatto ambientale di un prodotto, è nella realtà dei fatti divenuto uno meccanismo per assicurare il finanziamento di un sempre maggiore numero di flussi di rifiuto.
Negli ultimi 20 anni, la crescente ambizione da parte del legislatore Europeo e di diversi governi Nazionali, hanno portato infatti all’adozione del principio di EPR per molti flussi di rifiuti in Europa. Ad oggi i sistemi EPR – e se ne contano a centinaia in Europa – coprono i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), le batterie, i veicoli a fine vita, gli pneumatici fuori uso, gli imballaggi, ma anche nuovi flussi di rifiuti come i rifiuti tessili, le reti da pesca, i rifiuti da costruzione e demolizione.
Seppure con diverse configurazioni organizzative in merito al tipo di responsabilità (solo finanziaria o anche organizzativa), all’approccio alle operations, alla natura della concorrenza, alla copertura dei costi o alla trasparenza e sorveglianza implementate, tali sistemi rappresentano ad oggi un nuovo paradigma nella gestione dei rifiuti, talvolta spartiacque tra due diverse filosofie ed approcci: una “storica” in cui la gestione era interamente affidata ai soggetti pubblici o ai privati a cui ne veniva demandata la gestione, ed una “nuova” in cui i produttori del bene diventano parte attiva nell’intero processo di gestione.
Le sfide per i sistemi EPR
Nonostante l’implementazione di sistemi EPR abbia contribuito in maniera significativa a rendere la gestione dei rifiuti più efficace ed efficiente, le sfide più importanti rimangono, a distanza di quasi tre decenni, quelle legate:
- alla progettazione eco-sostenibile dei prodotti, e
- all’implementazione di paradigmi diversi dal mero recupero di materia.
Il primo aspetto rimane in parte legato alla mancanza di un legame diretto tra gestione del rifiuto e il singolo produttore, in quanto il costo per la gestione dei rifiuti (che non vengono raccolti e trattati distinti per brand) sostenuto dai produttori non beneficia delle singole iniziative di miglioramento del design dei prodotti. Nonostante i tentativi di re-istituire tale legame attraverso il concetto di eco-modulazione delle tariffe, è utopico pensare il design ti prodotto possa essere influenzato esclusivamente dalle tariffe legate alla gestione rifiuti; alcuni studi hanno infatti evidenziato come, per prodotti complessi, il beneficio economico derivante da una eco-progettazione, non sia una leva sufficiente per attuare una riprogettazione del prodotto.
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una graduale crescita della richiesta di prodotti maggiormente sostenibili da parte dei consumatori: McKinsey ha rilevato come il 75% dei consumatori europei consideri l’utilizzo di materiali sostenibili un rilevante fattore di scelta durante l’acquisto; Nielsen ha rilevato come il 66% dei consumatori siano eventualmente disposti a pagare un premium per prodotti venduti da brand maggiormente sostenibili e che oltre il 50% dei millennials sia disposta a mettere il “brand” di un prodotto in secondo piano in favore di un prodotto che sia ambientalmente compatibile. Tali dinamiche, unite alle nuove regolamentazioni Europee che mirano a promuovere e sostenere l’adozione di pratiche di Economia Circolare quali il Regolamento sulla progettazione ecocompatibile per prodotti sostenibili (ESPR), offrono sicuramente una piattaforma migliore per le aziende che vogliano e possano davvero migliorare la circolarità, le prestazioni energetiche e la sostenibilità ambientale, incluse le fasi di produzione. Tali approcci possono senza dubbio contribuire al superamento dei limiti delle attuali delle politiche basate esclusivamente sul concetto di EPR con le attuali implementazioni organizzative.
Oltre il recupero di materia
Il secondo aspetto è in parte legato alla possibilità di limitare down-grading e down-cycling, cercando invece di reimpiegare i materiali (o eventualmente alcuni componenti) in applicazioni di alto livello, incluse le possibilità di effettuare vero e proprio ricondizionamento e/o remanufacturing del prodotto. Il focus va posto sul miglioramento della qualità del materiale estratto dai processi di recupero, in particolare per materie prime critiche.
In questo caso EPR potrebbe diventare uno strumento per la gestione della filiera di approvvigionamento e l’ottimizzazione delle risorse: tra i principali stakeholders che sostengono questa transizione ci sono le grandi aziende che ne riconoscono la strategicità ed il legislatore Europeo, che mirano a posizionare l’Europa come un polo produttivo dove l’approvvigionamento dei materiali di alta qualità sia garantito da un riciclo adeguato, in particolare per i materiali necessari alla transizione energetica. Tale scenario, ben visibile nella filiera automotive – con un numero di produttori molto limitato – per i metalli necessari nella produzione delle batterie, non è tuttavia ipotizzabile per flussi di rifiuto ove il numero di produttori annoveri decine di migliaia di soggetti che spaziano dal fabbricante, all’assemblatore fino al semplice importatore/distributore; in tal caso EPR è, e molto probabilmente rimarrà sempre, un semplice ma importante strumento di finanziamento per la gestione dei rifiuti non avendo, nella maggior parte dei casi, i soggetti obbligati leve decisionali ed operative per implementare i necessari cambiamenti lungo la filiera di progettazione, approvvigionamento e produzione.
Sebbene le attuali politiche EPR, sia nella loro evoluzione come strumento di policy che nell’implementazione operativa, abbiano garantito progressi significativi ed importanti, nell’ambito della gestione e del riciclaggio dei rifiuti, non possono rappresentare l’unico strumento per rispondere alle crescenti sfide che ci attendono, incluse la scarsità di materiali necessari alla transizione ecologica e per soddisfare a livello globale la crescente domanda di prodotti e la riduzione degli impatti legati alla produzione ed utilizzo di tali beni. Aziende, su settori industriali diversi, hanno negli anni dato un contributo importante, riducendo progressivamente l’impatto dei loro prodotti o dei processi produttivi, o implementando su base volontaria o a valle di obblighi di legge, a livello individuale o collettivo sistemi di raccolta dei rifiuti generati dai propri prodotti.
Distribuire correttamente la responsabilità
È fondamentale, tuttavia, la creazione di piattaforme di policy organiche, a livello di filiera, che allochino responsabilità in modo organico, senza creare distorsioni di mercato per soggetti che operano in fasi o geo-localizzazioni diverse della supply chain e che identifichino di volta in volta il soggetto cardine per il conseguimento dei benefici attesi: l’esperienza ha dimostrato che non coincida necessariamente ed esclusivamente con il “produttore” nella sua accezione più ampia. Talvolta è il detentore del rifiuto, talvolta è il fabbricante, talvolta è il soggetto che effettua il processo tecnologico di trattamento o chi sviluppa tecnologie e processi per la produzione o il riciclo.
Distribuire in modo corretto la responsabilità non significa negarla o ridurla, ma semplicemente renderla più efficace e questo è forse il ruolo più importante che ci si aspetta dal legislatore.
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