L’alto di gamma gonfia i prezzi? Chi ci guadagna è il premium

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Le nuove sneakers 3XL Extreme Lace di Balenciaga costano 1.090 euro, le hoodie in cotone di Loewe sono in vendita a partire da 750 euro e arrivano fino a 1.400 euro per i modelli in lana; la borsa ‘Galleria’ di Prada nella versione mini viene proposta a 3.300 euro. Proprio Andrea Guerra, CEO del Gruppo Prada ha dichiarato che negli ultimi anni è stato commesso “un errore gigante” sui prezzi, sbagliando ad aumentarli tanto “solo perché era facile”. Interpellati da Pambianco Magazine i buyer di alcune delle più note boutique italiane hanno riflettuto sulla risposta dei clienti all’aumento eccessivo dei prezzi che sta inevitabilmente spostando i trend di acquisto verso prodotti di fascia leggermente più bassa, denominata ‘premium’. Indumenti, calzature e accessori di buona qualità che non hanno lo stesso allure aspirazionale delle griffe di alta gamma ma che vantano un ottimo rapporto qualità/prezzo. Si tratta di brand, spesso italiani, disposti a investire meno in marketing ma in grado di intercettare i bisogni quotidiani dei consumatori appassionati di moda ma lontano dagli eccessi – in termini di spesa – dei ‘fashion victim’.

Ok! Il prezzo è (in)giusto

“Le persone sono stremate dall’aumento sempre incalzante dei costi – dichiara Flavia Magnoli, dirigente della boutique varesina Base Blu -. L’ultima risposta di una cliente big spender è stata ‘io preferisco un cappotto che duri il giusto’, il capospalla da 10mila euro si vende comunque ma a fatica, la gente è stanca della corsa ai rincari, c’è qualcosa di malato. Bisogna stare attenti anche alla merce da scontare, The Row e Prada non li mettiamo online, vanno preservati. Per smuovere indumenti che non performano in modo corretto può invece essere giusto aderire a iniziative come il black friday”.

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Licia Bonesi degli store Coltorti, tra Marche e Abruzzo, fa ricerca non solo durante fiere e fashion week ma ogni giorno attraverso il proprio smartphone, così scova i marchi che fanno leva sui desideri della Z Generation, attenta alla moda ma con potere d’acquisto limitato. “A farla da padrone in questo momento c’è Totem, marchio contemporary con un costo medio di 500 euro che performa bene e, a differenza dei marchi del lusso, non aumenta i prezzi. Oggi il consumatore è molto più attento, monitora i prezzi online e guarda le piattaforme di second hand. Nel menswear spicca Our Legacy mentre Alaïa si distingue per borse appena sopra i mille euro, una rarità. Interessanti anche le proposte di Acne Studios e lo sportswear di Patagonia. Chi non bada a spese non rinuncia a The Row che sta attraversando una fase d’oro; la svolta creativa di Valentino apportata da Alessandro Michele è appena approdata nei negozi ma ho subito notato alcune categorie merceologiche con prezzi idonei, ad esempio i denim proposti a 1.200 euro, prezzo retail”, conclude Bonesi.

“Il trend ci sta dicendo che il cliente, soprattutto quello europeo che sta sentendo meno la crisi internazionale, sta privilegiando prodotti con un prezzo di acquisto normale, che non è aumentato negli ultimi periodi. In alcuni casi si sente preso in giro perché capisce possano esserci degli aumenti ma ultimamente sono stati eccessivi. Alcune borse sono passate da 2.500 a 4mila euro in tre stagioni. La voglia di spendere in abbigliamento è calata, si scelgono le borse di Pinko o Stella McCartney che propone modelli sotto i mille euro. Per il mondo maschile è molto più facile optare per marchi premium. Si compra Brunello Cucinelli perché il prezzo è elevato ma giustificato, altrimenti si sceglie Emporio Armani che resta Armani ma a un prezzo accessibile”, spiega Federico Giglio, AD degli store palermitani Giglio e dell’e-tailer giglio.com.

“Tutto il segmento alto ha fornito uno stacco di prezzi così ampio da lasciare un vuoto nel mezzo subito riempito dai marchi premium che, rispetto al alcuni anni fa, si sono molto aggiornati, sono guidati da manager importanti che conoscono bene il mercato e offrono un prodotto accattivante. Non raggiungono i livelli dei luxury brand ma hanno saputo avvicinarsi ai gusti del consumatore finale – riflette Carla Cereda, anima di Biffi a Milano -. Comunque anche i big cercano all’interno delle collezioni di avere delle offerte affordable pur mantenendo i prezzi alti, per avere un minimo di equilibrio che si traduce in entry price più bassi su alcuni prodotti”.

“Credo da sempre nei valori della moda, cerchiamo di proporre beni che abbiano un prezzo proporzionato alla qualità. Il percepito della gente è a rischio a causa di sconti importanti come quelli proposti durante il black friday; parallelamente i prezzi del lusso sono diventati per molti inaccessibili, ciò sta avvantaggiando i marchi premium che in questo momento possono attrarre una fetta di mercato importante. La gente non si è disinnamorata della moda ma solo di questa moda a prezzi eccessivi. Il sistema deve fare uno sforzo e basare il commercio su criteri di prezzo, qualità e percepito corretti”, si auspica Beppe Nugnes dalla sua maxi boutique di Trani.

“Il pubblico finale non è più disposto a spendere cifre fuori misura, vogliono prezzi adeguati al prodotto, un ritorno alla verità. Il logo non può giustificare tutto. È vero che dopo il Covid il consumatore si è sfogato senza badare a spese ma adesso che le cose si sono stabilizzate – osserva Michele Franzese, founder dell’omonimo store nel cuore di Napoli -. Marchi come C.P. Company, Stone Island, Herno e Barbour sono in ascesa perché sinonimo di un rapporto qualità-prezzo equilibrato. Prodotti che hanno un entry price e una filosofia di pricing adeguati al mercato. Questo momento lo abbiamo già vissuto, quando c’è un ritorno al no-logo scatta la crisi, si passa agli acquisti-rifugio ma la moda è altro, dobbiamo dare spazio all’emozione ecco perché credo molto in Loewe, Miu Miu e attendo con ansia il nuovo Tom Ford di Haider Ackermann”.



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