Il rischio che la geopolitica prevalga sul benessere delle persone Idrammatici avvenimenti di questi anni (guerra in Ucraina, conflitto in Medio Oriente, i fatti della Siria, le elezioni americane, l’instabilità politica in alcuni Paesi europei…) sembrano consegnarci a una stagione prebellica con economia stagnante. Se si guarda all’Europa, anche a causa di un probabile allentamento dell’impegno americano nella Nato, si sente parlare spesso di “investimenti” in armi. Senza entrare nel merito di tali affermazioni, c’è una questione che più di altre merita di essere considerata con attenzione: si può pensare al riarmo senza preoccuparsi prioritariamente del benessere delle comunità? Essere presidente della Federazione delle associazioni familiari cattoliche in Europa (Fafce), che raggruppa organizzazioni di 22 Paesi europei e svolge la sua attività anche a li-vello internazionale nell’Onu, aiuta ad analizzare l’attualità da una prospettiva spesso diversa.
Parlando con le famiglie dei vari Paesi europei unitamente ai responsabili di varie istituzioni (nazionali, europee, ecclesiastiche) emerge infatti un dato comune: la solitudine e la precarizzazione delle famiglie e dei giovani sono un fattore disgregativo per le nostre comunità. Da ciò deriva innanzitutto la paura del diverso, dello straniero, come confermato per l’Italia dal recente Rapporto Censis 2024. Emergono inoltre interessi particolari, presi spesso a pretesto per diffondere una descrizione negativa della nostra casa comune europea. Proprio per bloccare questo processo di disgregazione occorre fermarsi e riflettere, rifiutando di considerare come inevitabili le derive conflittuali attualmente in atto. Gli individui, quando sono soli, senza legami di appartenenza, in una situazione di incertezza (spirituale, economica e sociale), hanno spesso paura, e il confronto di ogni tipo – sociale, politico, economico – diventa scontro.
La diplomazia degli Stati cede il passo al conflitto, mentre l’ipotesi di confronto armato diventa sempre più oggetto di discussione. In una simile prospettiva, finisce per non essere strano considerare come prioritario per uno Stato “investire” in armamenti, senza dover prima risolvere i problemi delle singole comunità. Purtroppo c’è l’impressione di star vivendo questa esperienza. Le nostre comunità sono fragili, spaventate, chiuse in sé stesse e senza figli. Ciò nonostante, sempre di più si parla di Europa solo come attore geopolitico che, per la sua sopravvivenza, deve conquistare, da un punto di vista economico e militare un posto autonomo nello scacchiere internazionale. Non è un caso che il richiamo all’unità degli Stati membri sia visto più come circostanza che permetterebbe all’Europa di raggiungere massa critica per “contare” a livello internazionale. Allo stesso modo, le uniche ricette economiche oggi proposte a vari livelli si concentrano sulla produttività come fattore funzionale alle esportazioni nel mercato globale, accettando così il rischio della competizione sleale con Paesi non sempre in linea con gli standard europei di tutela dei lavoratori.
Ciò detto, vale la pena ricordare che i padri fondatori dell’Europa hanno aderito al comune progetto continentale per “contare” di più nel contesto geo-politico internazionale e costruire un futuro di benessere e di pacifica convivenza. Si tratta di un progetto che pareva impossibile: eppure, l’Europa di oggi è nata grazie proprio alla cooperazione tra popoli un tempo nemici. Questo obiettivo è stato perseguito intervenendo anche sulla coesione sociale, che non a caso rientra nella competenza europea. Non valorizzare l’unicità di una tale esperienza significa andare contro la storia europea, “rovesciando la piramide”, ovvero ponendo al primo posto non le aspirazioni delle comunità e delle famiglie ma il volere di chi nel contesto internazionale mira a rafforzare istituzioni e multinazionali europee. Se non si esce da questo equivoco, il rischio di disgregare l’Europa rimane forte. Lo ribadiamo: rinnovare gli armamenti e aumentare la produttività rappresentano obiettivi giusti che non sono però né esclusivi né principali. Al contrario, a mantenere viva la fiducia attorno al progetto comune europeo sono necessarie politiche demografiche, azioni di sviluppo territoriale e di incremento della domanda interna.
Vedere l’Europa solo nell’ottica geopolitica è dunque riduttivo: significa porla in una pericolosa competizione economica, sociale e militare che rischia di cambiarla, e, se perdente, di trasformarla in terra di conquista. In altri termini, il perseguimento di intenti egemonici, anziché consolidare la nostra Europa, potrebbe modificarne la natura con il rischio dell’acuirsi di rivalità e diffidenze tra i Paesi membri, che già oggi rappresentano il vero ostacolo al completamento del processo europeo. L’Europa è invece altro rispetto a una superpotenza: esempio di convivenza pacifica, cultura, spiritualità, generosità, sussidiarietà. Su questo patrimonio di esperienza proprio l’Europa potrà svolgere, anche in un contesto internazionale, una funzione di servizio al bene comune.
Presidente Fafce, Federazione europea dei Forum delle famiglie
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