VENEZIA – Fra diplomazia internazionale e attivismo civico, è in corso la mobilitazione per Alberto Trentini. Il cooperante di Venezia, arrestato il 15 novembre in Venezuela, rimane per ora nel limbo della desaparicion forzada: una sparizione forzata che, secondo i riscontri della Commissione interamericana dei diritti umani, rientra nell’attività di repressione svolta dal regime di Caracas, con il pretesto di rispondere al fantomatico piano di «omicidio contro il presidente Nicolás Maduro». La mamma Armanda, che insieme al marito Ezio attende invano da due mesi notizie sul 45enne, cerca motivi di speranza: «Lui ora è ostaggio di quel Paese, ma è solo una pedina. Bisogna forzare il silenzio su questa vicenda, forse l’interrogazione parlamentare ha cominciato a smuovere le coscienze». Il ministro Antonio Tajani ha raccolto l’appello dei genitori: «Ho fatto convocare stamani (ieri mattina, ndr.) l’incaricato d’affari del Venezuela per protestare con forza per la mancanza di informazioni sulla detenzione del cittadino italiano Alberto Trentini e per contestare l’espulsione di 3 nostri diplomatici da Caracas. L’Italia continuerà a chiedere al Venezuela di rispettare le leggi internazionali e la volontà democratica del suo popolo».
Responsabilità e ponte
Il fatto è che l’Italia, così come l’Unione Europea e la maggior parte degli altri Stati, non riconosce la legittimità democratica di Maduro come presidente, vista l’impossibilità di verificare i risultati elettorali, il che le costa sprezzanti accuse di «ostilità» e «ingerenza» da parte del Venezuela. Ma il titolare degli Esteri rassicura: «Stiamo lavorando con discrezione e responsabilità. Il clamore non serve a risolvere i problemi. Comunque abbiamo chiesto tutte le garanzie attraverso il nostro segretario generale incaricato di affari in Venezuela, andiamo avanti cercando sempre e comunque di aiutare i nostri concittadini come abbiamo fatto con tutti, lo stiamo facendo già da parecchi giorni». Poi la chiosa del vicepremier: «Non si tratta di rappresaglia, non è questo il momento di fare polemiche, stiamo lavorando». Il timore della famiglia Trentini è però che Alberto, oltre che «prigioniero in una struttura di detenzione» non meglio precisata, rimanga pure intrappolato nella tenaglia internazionale. Ecco dunque il nuovo appello, condiviso con l’avvocata Alessandra Ballerini: «Nel pieno rispetto della sovranità territoriale del governo bolivariano e senza voler interferire nella diplomazia delle relazioni tra Italia e Venezuela, invochiamo l’attenzione di tutte le istituzioni dei due Paesi circa la drammatica situazione di Alberto Trentini e chiediamo la sua liberazione affinché possa tornare a casa e all’affetto dei suoi familiari e amici. Alberto Trentini è un cooperante e proprio questa sua missione umanitaria in Venezuela deve costituire “un ponte di dialogo” che consenta di raggiungere il risultato del suo pronto rientro in Italia. Lo chiediamo con forza e speranza. La tradizione di familiarità tra italiani, una delle più importanti comunità nel Paese sudamericano, e venezuelani impone questo segnale di pacificazione».
Petizione e attestazione
Dal mondo della cooperazione sono in tanti a sostenere la petizione, lanciata dall’amica Maria Giulia Palazzo su Change.org, che in poche ore è arrivata a superare le 4.000 sottoscrizioni. I firmatari chiedono alle istituzioni «il massimo impegno» per Trentini, allo scopo di «ottenere il suo rilascio immediato e la piena tutela dei suoi diritti fondamentali», compresa dunque la garanzia di «regolare assistenza consolare, legale e medica». Numerose le attestazioni di stima da parte di persone conosciute in giro per il mondo. Marcelo Arana l’ha incontrato in Ecuador, «sempre impegnato a favore di gruppi in situazioni vulnerabili». Roberto Cavallo ha collaborato con lui in Libano: «È meno fortunato di altre figure che hanno subìto sorti analoghe e per questo ha ancor più bisogno della vicinanza di tutti noi». Piero Fabbri lo conosce da oltre vent’anni: «Questa situazione mi colpisce profondamente». Francesca Serra l’ha incrociato in Libano: «Lavoratore instancabile e persona eccezionale». Silvia Favaron concorda: «Un ex collega fantastico». Le associazioni delle ong Aoi, Cini e Link2007 si uniscono al coro: «È inaccettabile che cittadini italiani, impegnati a lavorare all’estero per migliorare le condizioni di vita delle persone, si trovino privati dei loro diritti fondamentali senza poter ricevere alcuna tutela effettiva dal nostro Paese».
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