A Faenza incontro di Legambiente sui Piani Speciali per la ricostruzione: risorse in ritardo e Ponte delle Grazie non prima del 2026

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Si studia, ci si chiariscono le idee, si progetta, ma l’impressione è che le aree alluvionate tra il 2023 e il 2024 a Faenza e dintorni non siano al sicuro da eventi disastrosi innescati da forti fenomeni atmosferici e dalla passata trascuratezza del territorio.

L’incontro “Il fiume: una risorsa da gestire”

All’incontro conclusivo “Il fiume: una risorsa da gestire” del progetto “Controcorrente – la NET generation e la sfide del clima che cambia” organizzato da Legambiente Emilia-Romagna in una delle aule del complesso ex-Salesiani di Faenza nella mattinata di sabato 18 gennaio di fronte a un centinaio di persone è intervenuto fra gli altri, come relatore, l’ingegner Andrea Colombo, dirigente del Settore Tecnico valutazione e gestione dei rischi naturali dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, il quale ha presentato l’attività in corso rispetto allo sviluppo dei Piani Speciali.

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Un territorio ancora a rischio

Se da una parte è risultato chiaro che alla luce del cambiamento del clima climatico e degli eventi alluvionali degli ultimi due anni nulla va trascurato e tutto va tenuto in considerazione, dall’altra è emersa l’evidenza che ci vorranno più di dieci anni per rimettere a posto il territorio adeguandolo alle sfide meteorologiche che già hanno sferrato i loro colpi.

L’importanza dei ponti nelle strategie di ricostruzione

Fra i temi toccati da Colombo c’è stato quello dei ponti colpiti in maniera diversa a seconda delle situazioni dalle alluvioni: dai distrutti, ai pesantemente danneggiati, ai “sopravvissuti” come il Ponte delle Grazie di Faenza.

L’ingegnere ha spiegato come viene inquadrato il problema: “I ponti hanno avuto un ruolo centrale in tutto ciò che è successo durante l’organizzazione regionale. Purtroppo noi abbiamo molte criticità di manufatti interferenti con il deflusso delle acque e abbiamo nel Piano Speciale predisposto quella che io chiamo ‘direttiva’ di fatto: l’allegato 12 del Piano Speciale dove abbiamo definito dei criteri, delle prescrizioni per fare le verifiche di compatibilità aerobica dei ponti. Per fare in modo che ciascun ente proprietario o gestore del ponte faccia la verifica di compatibilità. Gestore e proprietari sono abituati a fare delle verifiche sismiche, ma non è pensabile di ricostruire un ponte danneggiato dall’alluvione solo con la verifica sismica, cosa che purtroppo è successa. Ci vuole anche la verifica idraulica, soprattutto se un ponte è stato danneggiato da un’alluvione. È chiaro che, se il ponte è inadeguato, non avremo le risorse immediatamente per adeguare anche quelli nelle medesime condizioni, ma la ‘direttiva’ prevede che siano definite delle condizioni di esercizio transitorio, cioè delle condizioni scritte rispetto alle quali sia chiaro qual è l’interferenza del ponte, sia chiaro che cosa bisogna fare quando c’è l’allerta rossa, in termini anche di chiusura del ponte, in termini anche di presidio delle zone maggiormente critiche, cioè uno strumento chiaramente più di protezione civile, ma che ci consente di gestire la criticità del ponte in modo in modo consapevole”.

Ponte delle Grazie: cantiere nel 2026

Andando sul piano pratico, ma di questo Andrea Colombo non si è occupato, perché si possa vedere aprire un cantiere “del Ponte delle Grazie” occorrerà attendere almeno il 2026 inoltrato: con la rimozione del ponte Bailey provvisorio in acciaio, la demolizione dell’agonizzante Ponte delle Grazie salvaguardandone gli elementi storico-architettonici, quindi l’avvio della costruzione del nuovo che sarà in capo alla Sogesid, la società di ingegneria e assistenza tecnica specialistica interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (nata come Società di Gestione di Impianti Idrici), come previsto dalla Struttura Commissariale incaricata della ricostruzione in Romagna, Marche e Toscana.

Una pianificazione strategica e programmatica per il futuro

Nell’ottobre 2023 era stato detto da più di autorevoli voci che Università di Bologna, Università di Ferrara, Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po e Regione Emilia-Romagna avrebbero messo in fila tutto quello che avrebbero ritenuto opportuno che servisse per i 23 fiumi che sono esondati il 16 e il 17 maggio: nel “pacchetto” era compresa la “cornice” entro la quale deve inserirsi il progetto del nuovo Ponte delle Grazie.

La “cornice” è in pratica l’altezza a cui deve collocarsi il piano stradale del ponte, oltre naturalmente a molto altro: prevista per la primavera del 2024 deve ancora essere messa in mostra. Il tutto nella preoccupazione che il nuovo Ponte delle Grazie debba viaggiare anche solo un metro in più dell’attuale: cosa che comporterebbe interventi notevoli sulla viabilità nelle sue vicinanze. Infine, ma non ultimo argomento, di finanziamenti “veri” non ce n’è ancora traccia. Gli enti coinvolti e in particolare il Comune di Faenza confidano nella nota operatività del nuovo Commissario Curcio, che da qualche giorno ha sostituito il generale Figliuolo.

L’ampiezza del territorio colpito e il cambio di paradigma nella pianificazione

L’intervento dell’ingegner Colombo ha toccato i punti salienti del Piano Speciale.
“Ciò che ha colpito di più è stata la vastità del territorio interessato: 23 fiumi hanno rotto gli argini e ci sono state oltre 80.000 frane censite. Alcune aree hanno registrato densità di 250 frane per chilometro quadrato, coinvolgendo più di 3.000 edifici e molte infrastrutture stradali e ferroviarie – ha esordito -. Il Piano Speciale, sancito dal Decreto Legge 61 e convertito nella Legge 100 nel luglio 2023, punta a interventi per il dissesto. All’inizio non era chiaro a tutti cosa dovesse includere. Da luglio 2023 è iniziata un’attività con la Struttura Commissariale e la Regione Emilia-Romagn per definire i contenuti, andando oltre un semplice elenco di interventi, tipico degli eventi passati. L’alluvione ha richiesto un cambio di paradigma: non si poteva semplicemente raccogliere le richieste dei Comuni colpiti e sommarle. Si è cercato di dare un taglio pianificatore e programmatico al Piano, delineandolo come uno strumento strategico. L’ordinanza 22 del Commissario Straordinario, emessa nel febbraio 2024, ha stabilito cosa dovesse essere il Piano Speciale e chi dovesse redigerlo”.

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Strategie di intervento e linee guida del Piano Speciale

Il Piano è stato redatto da un ampio gruppo di lavoro, comprendente Autorità del Bacino, Regione, ISPRA, Università, e altre istituzioni. Il documento preliminare è stato predisposto a marzo 2024 e approvato a giugno, ma è ancora in attesa di approvazione definitiva. I temi affrontati nel Piano includono l’analisi degli eventi del maggio 2023, il quadro delle criticità, gli interventi urgenti finanziati, le strategie di intervento, e un piano decennale di azioni che richiedono investimenti di circa 4,5 miliardi di euro, distribuiti su un arco di 12 anni.

Un aspetto centrale del piano è rappresentato dalle strategie di intervento, suddivise in ambiti specifici:
Interventi strutturali sui fiumi: aumentare lo spazio per i fiumi, rivedere le arginature e creare aree di espansione.
Gestione della vegetazione ripariale: trovare un equilibrio tra esigenze ecologiche e necessità di deflusso.
Animali fossori e attraversamenti: affrontare le criticità legate a manufatti e infrastrutture che interferiscono con il deflusso.
Consolidamento dei versanti: gestire le frane con interventi mirati, distinguendo le situazioni semplici da quelle complesse.
Delocalizzazione e pianificazione urbanistica: spostare insediamenti a rischio e rivedere gli strumenti urbanistici.
Reticolo idrografico secondario: ottimizzare il sistema consortile per la gestione delle acque.

“Sulle strategie di difesa, emerge la necessità di gestire il rischio minimizzando i danni al di fuori delle arginature – ha spiegato Andrea Colombo -. Ad esempio, per il reticolo idrografico principale, si è reso evidente che lo spazio attualmente destinato ai fiumi è insufficiente. Le arginature storiche, costruite per massimizzare l’uso agricolo del territorio, devono essere riviste. Le soluzioni includono arretrare gli argini, creare aree di laminazione e delocalizzare insediamenti quando necessario. Per i corsi d’acqua arginati, si stanno definendo le portate limite di progetto, ossia la quantità di acqua che può transitare in sicurezza. Interventi locali mirano ad adeguare le arginature, modellare i piani di campagna e creare zone di espansione controllata. Per eventi superiori alle portate limite – ha aggiunto il relatore – è necessario prevedere strategie di allagamento controllato, confinando l’acqua in aree meno esposte e assicurando il drenaggio rapido”.

Infine, il piano include linee guida per la gestione forestale sui versanti. Gli eventi recenti hanno dimostrato che una pianificazione proattiva è essenziale per mitigare i rischi futuri.





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