Chi è Eugenio Palermiti, 20enne nipote del boss. Larresto mentre preparava la vendetta: «Sempre in giro armato»

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«Gli stavo uscendo il fumo da dentro la tasca, glielo stavo dando, come giro la testa: “wrumm”, allora faccio così (e mima il movimento con la mano destra, come a prendere qualcosa dal cinto). Io neanche il tempo di mettere la mano, già mi ha dato (cioè, che è stato attinto). Io stavo a mettere la mano alla cosa…». Chi parla, non sapendo di essere intercettato, è il 20enne Eugenio Palermiti, nipote del boss omonimo di Japigia, arrestato ieri dai carabinieri assieme al 28enne Savino Parisi, il giovane rapper conosciuto come «Onivas», per detenzione e porto abusivo di armi nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Antonella Lopez, 19 anni, uccisa per errore da Michele Lavopa nella discoteca Bahia Beach di Molfetta, nella notte del 22 settembre scorso. Nei loro confronti i militari della compagnia di Molfetta hanno eseguito una misura cautelare, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Francesco Vittorio Rinaldi, su richiesta del pubblico ministero antimafia Federico Perrone Capano. I reati, aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa, si riferiscono sia a quella serata, quando Palermiti, amico della vittima, sarebbe entrato armato nel locale, sia a un episodio avvenuto diversi mesi prima, in un’altra discoteca, il Divinae Follie di Bisceglie. Anche in quell’occasione Palermiti junior, ritengono gli investigatori, era armato.

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«Gli piaceva che le persone lo dovevano vedere armato e dovevano dire: “Mo’, il figlio di Gianni è malato, cammina già armato”, “lui voleva far vedere il prestigio del loro cognome”», ha detto di lui il collaboratore di giustizia Gianfranco Catalano. Ad aiutarlo, in quell’occasione, l’amico Parisi junior, gente di mafia che comanda a Japigia, dalla notte dei tempi. I due sono i nipoti omonimi di Eugenio Palermiti, detto «U ‘Nonn», capace di «uccidere un pitbull a mani nude», e di Savino Parisi, per tutti «Savinuccio», considerato dagli inquirenti baresi l’uomo che per anni ha sovrinteso agli affari illeciti della Camorra barese. Palermiti junior, «con riferimento all’arma detenuta e portata presso la discoteca Bahia di Molfetta – è scritto – ha confessato il possesso dell’arma, indicata col termine criptico “cosa”, riferendo di essere sul procinto di “mettere la mano alla cosa”».

Non solo: in una conversazione intercettata nella sala di degenza tra Gianmarco Ceglie (uno dei quattro ragazzi feriti) e Palermiti, quest’ultimo «rievocando i fatti di quella sera – si legge – ha confessato di aver puntato la pistola in faccia a Lavopa, con il braccio alzato, in seguito perdendola per effetto dei colpi esplosi dallo stesso Lavopa. Nella circostanza, Palermiti ha riferito di aver perso un oggetto indicato con il genere femminile “mi è volata”, mimando l’atto di impugnare una pistola», probabilmente una Beretta 7.65. Per gli investigatori – le indagini sono state effettuate dai militari del capitano Danilo Landolfi – «la circostanza che l’oggetto cui alludeva Palermiti si debba identificare con una pistola è confermato dalla circostanza che poco dopo lo stesso Ceglie, commentando l’esplosione di colpi di arma da fuoco a loro indirizzo da Lavopa, ha paventato la possibilità di essere arrestati anche loro», è scritto. «Sennò – ha detto Ceglie – dovevamo andare in galera anche noi. Cristo ha voluto che non usciva neanche un colpo da noi». Quell’arma, però, non è mai stata ritrovata. E non sarebbe stata l’unica: Palermiti, infatti, avrebbe detenuto altre due armi da sparo. Una di queste sarebbe stata introdotta diversi mesi prima in una discoteca di Bisceglie, il Divinae Follie, con la complicità dell’amico Parisi. «Grazie alla compiacenza di alcuni buttafuori» i due sarebbero riusciti a nascondere l’arma eludendo i controlli, con l’utilizzo di ingressi e uscite secondari. «Ci siamo trovati noi al Divinae. Eugenio – le parole di Parisi -, ti ricordi quel giorno? Che abbiamo litigato? A Eugenio e a me niente, tengo un rapporto diverso, usciamo dall’altra parte. Lo hanno fatto a me… non lo fanno agli altri? Perché vogliono pure loro queste cose!». Per gli inquirenti, attraverso questa operazione è stato possibile fare luce «sulle fasi e sulle motivazioni dell’omicidio» di Lopez. Quella sera il gruppo di Palermiti entrò «senza pagare e con prepotenza» nella discoteca, incrociando la comitiva di Lavopa «con la quale c’erano precedenti dissapori». La situazione sarebbe degenerata e Palermiti avrebbe portato «la mano alla cintura, o alla tasca, inducendo Lavopa a estrarre la pistola che deteneva e ad aprire il fuoco tra la folla». Così avrebbe centrato Antonia Lopez, uccisa per errore. Secondo il gip di Bari Francesco Vittorio Rinaldi, i due arrestati meditavano anche vendetta. Parisi, infatti, si sarebbe riferito a Michele Lavopa chiamandolo un morto che cammina.

© RIPRODUZIONE RISERVATA – SEPA





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